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La Stampa Rassegna Stampa
10.08.2006 Dopo le dolorose verità di di Bernard Lewis, arriva l'anestesia di Farian Sabahi
che ripete: "L'Iran non è un pericolo"

Testata: La Stampa
Data: 10 agosto 2006
Pagina: 3
Autore: Farian Sabahi
Titolo: «Ahmadinejad non vuole l'Apocalisse»

Farian Sabahi sulla STAMPA del 10 agosto 2006 polemizza con Bernard Lewis in un articolo intitolato "Ahmadinejad non vuole l'Apocalisse".
Lewis aveva spiegato, in un articolo pubblicato dal Wall Street Journal e in Italia dal Foglio, che la dissuasione derivante dalla minaccia della reciproca distruzione non potrebbe funzionare con un Iran dotato di armi atomiche e animato da una prospettiva religiosa apocalittica.
Aveva anche lanciato l'allarme circa la possibilità che il regime provi a concretizzare l'apocalisse a partire dal 22 agosto, giorno in cui è prevista la definitiva risposta sul nucleare.
Data scelta, secondo Lewis, perché secondo il calendario islamico commemora l'ascensione di Maometto da Gerusalemme al Paradiso.
Secondo la Sabahi, invece, perché è in quella data che rientreranno dalle ferie !
Non è l'unica amenità dell'articolo: sempre secondo la Sabahi gli ayatollah iraniani non si riferirebbero mai al calendario islamico, arabo, dato che in Iran sono in uso quello persiano e quello occidentale.

Noi non non sappiamo che cosa il regime iraniano intenda fare il 22 agosto, nè lo sa Lewis, che infatti non fa previsioni.
Se esiste un piano per un attacco a sorpresa a Israele è compito dell'intelligence scoprirlo e prevenirlo.
La parte dell'analisi di Lewis che invece riguarda circostanze accertabili anche dagli analisti e dai mezzi di informazione è quella sulle pulsioni apocalittiche  del regime iraniano.
Che sono state espresse  nero su bianco in molteplici discorsi del presidente.

Tanto che per negarle la Sabahi deve ricorrere a un' accusa di ipocrisia religiosa lanciata contro Ahmadinejad da un esponente del clero sciita ostile alla teocrazia.
Accusa del tutto inverificabile, come ovvio.
E in contrasto con la biografia di Ahmadinejad, che  non è quella di un "uomo di Dio", ma di sicuro è quella di un sincero e pericoloso fanatico.

Altri argomenti della Sabahi: Ahmadinejad non ha accesso alla stanza dei bottoni, a comandare davvero è Khamenei, la "Guida suprema", incarnazione del potere religioso che guida la Repubblica islamica.
Il quale Khamenei, guarda caso, appoggia la linea oltranzista del presidente e rilancia i sui proclami jihadisti.
E ancora: il contrattacco israeliano a un atacco iraniano sarebbe devastante e tale da scoraggiare qualunque piano aggressivo.
Ma proprio qui interviene la messa in guardia di Lewis: la logica della deterrenza non funziona contro chi insegue la catastrofe.
Infine: la maggioranza degli iraniani è filo-occidentale e ostile alla logica del martirio.
Probabilmente vero, ma purtroppo ininfluente, perché a decidere in Iran non è il popolo, ma il regime.

Ecco il testo: 

«C'è una differenza sostanziale tra la Repubblica islamica dell'Iran e gli altri Paesi che possiedono armi nucleari: la concezione apocalittica che caratterizza la visione del mondo degli attuali governanti dell'Iran», scriveva due giorni fa sul Wall Street Journal lo studioso Bernand Lewis, professore emerito alla Princeton University, in un articolo riproposto dal quotidiano Il Foglio. «Questa concezione», osserva Lewis, «influenza le posizioni e le politiche di Ahmadinejad e dei suoi seguaci e per questo il deterrente della distruzione reciproca, valido tra Stati Uniti e Unione Sovietica durante la Guerra fredda, è inutile».
La tesi di Lewis non convince però l'hojatolleslam Mohsen Kadivar, un esponente del clero sciita che rifiuta la teocrazia perché incompatibile con la democrazia, una tesi che gli è costata 18 mesi di carcere durante la presidenza del riformatore Khatami. Kadivar, che porta il turbante nero dei discendenti del Profeta e il 23 settembre sarà ospite della manifestazione «Torino spiritualità», non crede alla visione apocalittica di Ahmadinejad e tantomeno alla sua devozione: «Si dimostra religioso, in realtà non lo è perché esterna troppo la propria fede. Ed è assolutamente impensabile che abbia incontrato il Mahdi, come ha affermato in occasione del discorso alle Nazioni Unite: chi incontra l'ultimo Imam non va certo a raccontarlo in giro!»
E ora una precisazione. Ad avere l'ultima parola in Iran è il leader supremo Khamenei: controlla le forze armate, la polizia, le milizie islamiche, tv e radio di Stato, e decide nell'interesse della nazione, anche a costo di accantonare i principi islamici. Ahmadinejad invoca la distruzione di Israele ma non è nella stanza dei bottoni, la sua strategia è volta a distogliere l'attenzione dalla disoccupazione e dall'inflazione al 25 per cento. Minaccia l'Occidente di chiudere i rubinetti del petrolio, ma in autunno gli iraniani dovranno comprare il carburante a prezzi di mercato: il 40 per cento della benzina è raffinata all'estero e l'attuale budget del governo non consente la vendita sottocosto se non per quantità limitate.
È improbabile che i vertici iraniani abbiano programmato l'apocalisse per il 22 agosto, la data entro cui daranno una risposta all'Ue sul nucleare. Lewis ipotizza l'apocalisse per il 22 agosto perché corrisponde al 27 del mese islamico di Rajab, nella cui notte si commemora il viaggio notturno di Maometto a Gerusalemme e l'ascensione in paradiso. Ma in Iran a essere in uso non è il calendario lunare islamico ma quello solare persiano, per cui forse gli ayatollah hanno banalmente scelto di dare una risposta al rientro dalle ferie, il 31 del mese di Mordad. Oltre al calendario persiano, gli iraniani usano quello occidentale, non certo quello arabo.
Lewis azzarda che «Ahmadinejad potrebbe spingersi ad attaccare Israele». Per Nader Barzin, docente di Strategia all'Ateneo parigino «Hec» e autore del saggio «L'Iran nucléaire», «equivarrebbe a decretare la fine dell'Iran: se non fossero intercettati dai radar, l'aviazione iraniana potrebbe colpire lo Stato ebraico al massimo una volta. La risposta sarebbe durissima: l'arsenale fornito dagli Usa a Tel Aviv permetterebbe ai caccia e ai sottomarini israeliani di scaricare centinaia di bombe sulle città iraniane e sulle centrali nucleari in fase di costruzione a Bushehr e Natanz».
Lewis ha comunque ragione quando sostiene che c'è una differenza sostanziale tra la Repubblica islamica dell'Iran e gli altri Paesi che possiedono armi nucleari: «Nella teocrazia iraniana ogni cosa trova giustificazione nella religione e gli ayatollah rivendicano, sulla base dell'Islam, il diritto al nucleare a scopi civili, mentre queste spiegazioni teologiche non sono state fornite dal Pakistan, un Paese islamico che si è già dotato dell'atomica», spiega Anna Vanzan, docente di lingua persiana alla Statale di Milano. «Rispetto al resto della regione», aggiunge la studiosa, «gli iraniani sono la popolazione più filo-occidentale e più istruita. Lo stile di vita è simile al nostro, in caso di attacco sarebbero pronti a difendersi ma non certo auspicando il martirio».
«L'unica speranza - conclude Lewis - è far leva su tutti i musulmani che non condividono la visione apocalittica di Ahmadinejad». Le vicende iraniane dimostrano che la democrazia non è fatta solo di elezioni, soprattutto se i candidati devono passare sotto le forche caudine del Consiglio dei Guardiani. È necessario, in parallelo, creare una società civile in grado di dar voce al dissenso. Ed educare al rispetto del diritto internazionale i cinquanta milioni di iraniani che hanno meno di trent'anni e rappresentano il futuro. La distruzione del Libano da parte di Israele non è stato un buon esempio. Bombardare l'Iran non farebbe altro che creare consenso attorno a un presidente che, nel giro di un anno, ha raggiunto un'insperata notorietà.

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