Siniora deve scegliere tra l'amicizia americana e l'asse Siria- Iran l'analisi di Maurizio Molinari
Testata: La Stampa Data: 08 agosto 2006 Pagina: 1 Autore: Maurizio Molinari Titolo: «Il dilemma di Siniora»
IN queste ore a Beirut è in atto un duro braccio di ferro. A svelarlo sono da un lato il discorso di Crawford con cui George W. Bush ha indicato negli Hezbollah i responsabili del conflitto libanese e dall'altro la richiesta di Iran e Siria di apportare una radicale modifica della risoluzione Onu in discussione al Palazzo di Vetro. Il braccio di ferro è fra Washington e l'asse Damasco-Teheran ed in palio c'è lo schieramento di Fuad Siniora, premier libanese, nelle cui mani è l'esito della crisi e, dunque, anche l'assetto del Medio Oriente. Siniora nelle ultime 72 ore ha più volte cambiato posizione in una rapida successione di colpi di scena. Sabato mattina aveva dato luce verde al testo della risoluzione francoamericana che sancisce la fine delle ostilità con Israele aprendo la strada al disarmo degli Hezbollah ma nella notte seguente ha ceduto alle forti pressioni di Siria ed Iran, chiedendo l'indomani modifiche che allontanano nel tempo la resa dei conti con i miliziani in camicia nera di Sayyed Hassan Nasrallah. Infine ieri ha annunciato in solitudine il possibile futuro invio nel Sud di 15 mila soldati delle forze regolari, poco addestrati e difficilmente in grado di ripristinare condizioni minime di sicurezza. Le incertezze di Siniora spingono tanto il presidente americano Bush che Siria ed Iran ad accrescere la pressione su Beirut. Damasco e Teheran gli impongono di sbarrare la strada a tutti i costi al nuovo assetto delle regioni del Sud previsto dalla risoluzione Onu - incluso lo schieramento di una robusta forza di stabilizzazione internazionale - perché vogliono far continuare agli Hezbollah una Jihad per procura contro Israele. Washington invece chiede al premier di comportarsi da premier, aderendo ad una risoluzione dell'Onu che ripristinerà la sovranità del governo nazionale nel Sud smantellando le milizie armate e suggellando così la tanto agognata indipendenza. Su entrambi i fronti il valore della decisione finale di Siniora non potrebbe essere più alto. Perdere il Libano significherebbe per Damasco e Teheran rinunciare ad avere un'ipoteca permanente sugli equilibri regionali mentre per Washington comporterebbe il fallimento della speranza di trovare nel premier il leader di una giovane democrazia araba, perno del progetto del Nuovo Medio Oriente. Se Bush ha chiesto al mondo di «unirsi contro gli Hezbollah ed i suoi sponsor Siria ed Iran» è per far comprendere all'oscillante premier libanese che l'America del dopo-11 settembre andrà fino in fondo all'Onu contro Nasrallah e non ha intenzione di subire, né al Palazzo di Vetro né altrove, diktat da parte di Mahmud Ahmadinejad e Bashar Assad. La titubanza di Siniora ha così trasformato da potenziale a reale una resa dei conti in Libano fra l'America ed i suoi nemici giurati. Aprendo lo scenario ad una possibile crisi regionale di più vasta portata, evidenziata dal drone hi-tech «made in Iran» con cui gli Hezbollah hanno tentato di raggiungere il cuore di Tel Aviv.
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