L’orientalista – Tom Reiss Casa Editrice: Garzanti
Un lungo cappotto bianco, bandoliera di traverso e un colbacco di pelliccia, sotto il quale spunta un visetto arguto e già un po’ spavaldo. Così appariva Lev Nussimbaum a sei anni, in una fotografia scattata a Baku, nel Caucaso, dove probabilmente era nato. Due anni dopo, nel 1913, lo si rintraccia in una foto di gruppo popolata di bambini e adulti, durante una singolare festa ebraico-musulmana, con albero di Natale. Un vuoto di alcuni anni (non casualmente quelli della Rivoluzione) e ritroviamo il nostro Lev a Berlino, dove è fuggito col padre, assieme ai suoi compagni del liceo russo, e in una foto tessera scattata ai grandi magazzini KaDeWe: qui compaiono già, aggiunti a penna da un amico, i suoi nuovi pseudonimi: AssadBey e KurbanSaid. Poco dopo, splendido ritratto di Lev in tenuta da “orientalista da caffè”, con turbante bianco decorato da una piuma, orecchini sovradimensionati, occhi bistrati e sguardo seducente. Ma eccolo a New York – la foto appare sull’Herald Tribune – di nuovo in cappotto lungo e bandoliera come “Essad Bey, che odia i guai ma è pronto a tutto”. E infine la triste immagine di un uomo già vecchio a trentacinque anni, prossimo alla fine, a braccetto di un equivoco trafficante d’armi e di stupefacenti. Per ultima, la lapide musulmana sulla panoramica scogliera di Postano, rivolta verso la Mecca. Nel suo volume L’orientalista, Tom Reiss collaboratore del New York Times e del Wall Street Journal, propone la figura di Lev Nussimbaum come un’icona dell’inquietudine e dei travestimenti del secolo XX. Certo, la biografia di quest’ebreo reazionario per necessità, trasformista confessionale e scrittore di vena generosa e arabescata, ha tutti gli elementi per imporsi come modello di eccentrica incostanza. Innanzitutto le origini, nel Caucaso, poi la fuga in Germania: costretto a lasciare la vita agiata a causa della rivoluzione bolscevica, agli inizi degli anni Venti Nussimbaum si rifugiò a Berlino. Nel 1923, mise in atto il suo gran colpo di scena, convertendosi all’Islam. Davvero una strana conversione la sua, consumata più per estetismo tardo-romantico, e per nostalgia verso l’ormai tramontato cosmopolitismo ottomano, che non per vera convinzione religiosa. Forte del proprio carisma intellettuale, Nussimbaum riuscì ben presto a entrare nell’élite intellettuale, della Repubblica di Weimar, divenendo uno dei collaboratori più importanti della prestigiosa rivista “Literarische Welt”. Furono gli anni del glamour, dei successi di vendita dei suoi libri in tutta Europa e delle cronache mondane. Tuttavia, sebbene avesse messo la propria penna al servizio di un acceso anticomunismo – la sua tagliente biografia di Stalin divenne presto un bestseller – l’ascesa al potere dei nazisti decretò la fine della sua carriera pubblica in Germania. Quando si scoprì che era in realtà ebreo i suoi libri furono vietati nel Reich. Si spostò allora a Vienna, ma dopo l’annessione del 1938 fu costretto a riparare in Italia, da dove continuò a pubblicare con lo pseudonimo di Kurban Said. Cercò persino di avvicinare Mussolini, offrendo i propri servigi come biografo del Duce. La sua origine ebraica lo rendeva però sospetto anche nell’Italia delle leggi razziali. A Postano, suo estremo rifugio, contrasse una rarissima malattia del sangue e passò gli ultimi anni in miseria, cercando conforto nella morfina e in un lungo romanzo, rimasto inedito e ora riscoperto da Reiss. Scritto con vivacità, L’orientalista pecca a tratti di eccessiva ansia didattica, con lunghi passi di sapore enciclopedico, che annacquano il racconto.ma anche qualche svista editoriale di troppo (l’anno della conversione, per esempio, è indicato più volte erroneamente) non impedisce di appassionarsi ai casi di questo intelligente e sfortunato saltimbanco della cultura.