domenica 24 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






 
Giorgia Greco
Libri & Recensioni
<< torna all'indice della rubrica
Tom Reiss - L’orientalista 07/08/2006
L’orientalista – Tom Reiss
Casa Editrice: Garzanti


Un lungo cappotto bianco, bandoliera di traverso e un colbacco di
pelliccia, sotto il quale spunta un visetto arguto e già un po’ spavaldo.
Così appariva Lev Nussimbaum a sei anni, in una fotografia scattata a Baku,
nel Caucaso, dove probabilmente era nato. Due anni dopo, nel 1913, lo si
rintraccia in una foto di gruppo popolata di bambini e adulti, durante una
singolare festa ebraico-musulmana, con albero di Natale. Un vuoto di alcuni
anni (non casualmente quelli della Rivoluzione) e ritroviamo il nostro Lev
a Berlino, dove  è fuggito col padre, assieme ai suoi compagni del liceo
russo, e in una foto tessera scattata ai grandi magazzini KaDeWe: qui
compaiono già, aggiunti a penna da un amico, i suoi nuovi pseudonimi:
AssadBey e KurbanSaid. Poco dopo, splendido ritratto di Lev in tenuta da
“orientalista da caffè”, con turbante bianco decorato da una piuma,
orecchini sovradimensionati, occhi bistrati e sguardo seducente. Ma eccolo
a New York – la foto appare sull’Herald Tribune – di nuovo in cappotto
lungo e bandoliera come “Essad Bey, che odia i guai ma è pronto a tutto”. E
infine la triste immagine di un uomo già vecchio a trentacinque anni,
prossimo alla fine, a braccetto di un equivoco trafficante d’armi e di
stupefacenti. Per ultima, la lapide musulmana sulla panoramica scogliera di
Postano, rivolta verso la Mecca.
Nel suo volume L’orientalista, Tom Reiss collaboratore del New York Times e
del Wall Street Journal, propone la figura di Lev Nussimbaum come un’icona
dell’inquietudine e dei travestimenti del secolo XX. Certo, la biografia di
quest’ebreo reazionario per necessità, trasformista confessionale e
scrittore di vena generosa e arabescata, ha tutti gli elementi per imporsi
come modello di eccentrica incostanza. Innanzitutto le origini, nel
Caucaso, poi la fuga in Germania: costretto a lasciare la vita agiata a
causa della rivoluzione bolscevica, agli inizi degli anni Venti Nussimbaum
si rifugiò a Berlino. Nel 1923, mise in atto il suo gran colpo di scena,
convertendosi all’Islam. Davvero una strana conversione la sua, consumata
più per estetismo tardo-romantico, e per nostalgia verso l’ormai tramontato
cosmopolitismo ottomano, che non per vera convinzione religiosa.
Forte del proprio carisma intellettuale, Nussimbaum riuscì ben presto a
entrare nell’élite intellettuale, della Repubblica di Weimar, divenendo uno
dei collaboratori più importanti della prestigiosa rivista “Literarische
Welt”. Furono gli anni del glamour, dei successi di vendita dei suoi libri
in tutta Europa e delle cronache mondane. Tuttavia, sebbene avesse messo la
propria penna al servizio di un acceso anticomunismo – la sua tagliente
biografia di Stalin divenne presto un bestseller – l’ascesa al potere dei
nazisti decretò la fine della sua carriera pubblica in Germania. Quando si
scoprì che era in realtà ebreo i suoi libri furono vietati nel Reich.
Si spostò allora a Vienna, ma dopo l’annessione del 1938 fu costretto a
riparare in Italia, da dove continuò a pubblicare con lo pseudonimo di
Kurban Said. Cercò persino di avvicinare Mussolini, offrendo i propri
servigi come biografo del Duce. La sua origine ebraica lo rendeva però
sospetto anche nell’Italia delle leggi razziali. A Postano, suo estremo
rifugio, contrasse una rarissima malattia del sangue e passò gli ultimi
anni in miseria, cercando conforto nella morfina e in un lungo romanzo,
rimasto inedito e ora riscoperto da Reiss.
Scritto con vivacità, L’orientalista pecca a tratti di eccessiva ansia
didattica, con lunghi passi di sapore enciclopedico, che annacquano il
racconto.ma anche qualche svista editoriale di troppo (l’anno della
conversione, per esempio, è indicato più volte erroneamente) non impedisce
di appassionarsi ai casi di questo intelligente e sfortunato saltimbanco
della cultura.

Giulio Busi

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT