Da La STAMPA del 7 agosto 2006, la cronaca di Aldo Baquis:
Israele ha vissuto ieri una delle giornate più pesanti dall’inizio del conflitto con i guerriglieri filoiraniani Hezbollah. In poche ore ha subito due duri colpi. A mezzogiorno dodici riservisti sono stati massacrati dalla esplosione di un razzo katyusha che li ha sorpresi mentre si trovavano nel kibbutz di Kfar Ghiladi, in alta Galilea. In serata un bombardamento a sorpresa lanciato dagli Hezbollah ha provocato morte e devastazione a Haifa: almeno tre gli uccisi, un centinaio i feriti. Altrettanto lunga è la conta delle vittime sul versante libanese: 19 i civili morti in diversi villaggi bombardati dall'aviazione israeliana.
Nel frattempo Israele prosegue le proprie incursioni terrestri di commando in Libano (ieri ne è stata condotta una presso Tiro), prosegue i raid aerei (colpiti obiettivi Hezbollah a Beirut) ed estende la propria presenza nella Fascia di sicurezza nel Libano sud che ormai, in alcune zone, ha una profondità di 10 chilometri. La fascia si estende dal mar Mediterraneo (nella zona di Naqura, Ras Bayada) fino alla altezza del villaggio di Taybeh, 80 chilometri più a est. I guerriglieri Hezbollah uccisi ieri sono stati almeno 12, secondo fonti militari a Tel Aviv. Altri venti sono stati fatti prigionieri. Fra questi ci sarebbe uno dei rapitori dei due soldati israeliani catturati il 12 luglio scorso.
Le vittime israeliane dall’inizio del conflitto sono salite - al termine della giornata di ieri - a 96, per lo più militari. Le vittime libanesi sono stimate fra 600 e 900. Israele afferma di aver ucciso circo 400 guerriglieri Hezbollah. Ma essi confermano per ora il «martirio» di 50 combattenti in tutto.
I riservisti erano stati arruolati appena poche ore prima e a bordo delle proprie automobili avevano subito raggiunto il cimitero di Kfar Ghiladi, pochi chilometri a sud di Kiryat Shmona, per organizzarsi in vista del loro periodo di richiamo. Sul posto li attendevano alcuni camion militari, almeno uno dei quali conteneva munizioni. L’atmosfera sembrava relativamente rilassata: alcuni militari religiosi hanno colto l’occasione per recitare le preghiere ebraiche del mattino.
Nel giro di minuti l’atmosfera è repentinamente cambiata. Decine di razzi si sono abbattuti simultaneamente sulla città di Kiryat Shmona, ormai semideserta per i bombardamenti quasi quotidiani che l’hanno ridotta in macerie. Sotto l’impeto dei razzi di Nasrallah, la sinagoga centrale è stata devastata e anche il centro commerciale nel nord della città è stato distrutto. La rete elettrica ha cessato di funzionare e la polizia è stata costretta ad annunciare lo stato di emergenza.
In questa situazione apocalittica, i servizi di emergenza hanno ricevuto le prime informazioni secondo cui a Kfar Ghiladi c’erano morti e feriti. Mentre i razzi cadevano ancora, le prime squadre mediche si sono precipitate sul luogo della strage e hanno visto una scena allucinante. Fra le tombe giacevano in ordine sparso militari feriti in modo orribile: alcuni erano dilaniati, altri terribilmente ustionati, alcuni urlavano, altri erano ormai privi di sensi. Alcuni soldati erano stati uccisi dalle schegge mentre si trovavano ancora al volante delle proprie automobili. I feriti erano oltre una dozzina. Si tratta di un cimitero molto noto in Israele perché vi si trova la tomba di un eroe nazionale, Yosef Trumpeldor, ucciso in combattimento nel 1920. Sulla sua lapide c’è scritto: «Bello è morire per la nostra terra».
Sul luogo della strage sono giunti alcuni elicotteri Black Hawk e l’unità militare di soccorso 669. Malgrado la prontezza degli aiuti, alcuni soldati sono morti dopo il ricovero in ospedale. Il bilancio dell’esplosione è stato di 12 morti e altrettanti feriti. In Cisgiordania e a Gaza queste notizie sono state accolte con espressioni popolari di gioia. Gruppi di dimostranti sono scesi in strada per distribuire dolciumi ai passanti e per inneggiare a Nasrallah. «Caro Nasrallah, bombarda Tel Aviv» cantavano in coro.
Alcune ore dopo il leader degli Hezbollah ha ordinato che Haifa fosse centrata dai suoi razzi. Si è trattato di uno dei bombardamenti più massicci dall’inizio del conflitto, partito dalle case di Tiro dove si appostano i lanciarazzi della guerriglia. Uno dopo l’altro, sei razzi si sono conficcati nelle strade di Haifa, dove hanno seminato morte e distruzione. Il rione più colpito è stato quello arabo, dove una palazzina è crollata seppellendo alcuni abitanti. Tre i morti, quaranta feriti. Per il quarto giorno consecutivo, dunque, sono gli arabi israeliani a pagare il prezzo della furia dei guerriglieri libanesi. In diversi rioni di Haifa, col calare delle tenebre, si sono visti condomini in fiamme. All'ospedale Rambam è stato proclamato lo stato di emergenza.
Mentre la diplomazia cerca di mettere a punto un cessate il fuoco, le violenze sul terreno si moltiplicano. In Israele la tentazione di ripagare Nasrallah con la sua stessa moneta era era più forte che mai. Di pari misura cresce in Israele la collera verso i dirigenti libanesi, che per anni hanno consentito ai guerriglieri di immagazzinare indisturbati 15 mila razzi che da un mese costringono due milioni di israeliani a chiudersi nei rifugi oppure a sfollare in altre zone di Israele
La vita dei riservisti israeliani nel reportage di Fiamma Nirenstein:
I dodici uccisi falciati da un missile nel kibbutz Kfar Giladi, al nord, erano soldati del «miluim», le riserve appena arrivati al posto di arruolamento. Erano tutti paracadutisti nell’esercito, ma normali impiegati, avvocati, attori, medici, professori universitari nella vita di tutti i giorni... gente che compone il puzzle variegato della società israeliana, che per legge e per passione compie ogni anno, in tempi normali un mese di servizio nell’esercito,il «miluim» le riserve, e che quando la guerra chiama, lasciano tutto all’improvviso, gettano nella borsa un po’ di biancheria e afferrano il sacco a pelo e partono. Incoraggiano la moglie che li accompgana alla base, sono contenti di rivedere gli amici che servono con loro da quando avevano 18 anni; e alla morte, non pensano. Vanno a rischiare la vita; ma si preoccupano di dove lasciare il cane, o di come avvertire i pazienti che l’appuntamento è cancellato.
Per loro non esiste nessuna altra alternativa: «C’è un senso di responsabilità reciproca, c’è una gara per aiutare il Paese e l’un l’altro». Così la pensa uno di loro: ha la faccia stanca e gli occhiali scuri, la barba grigia quasi sempre nasconde un sorriso. Sotto un eucalipto e in mezzo ai resti di picnic familiari che i soldati hanno fatto nel fine settimana su quei tre tavoli di legno scassati, fuori della base, racconta soprattutto di grano, ulivi, pesche, mucche. Non di guerra. E’ un agricoltore, anzi, come gli piace civettare «un vecchio agricoltore». Avshalom ha 47 anni, potrebbe aver smesso da sette anni di servire nell’esercito, perchè il servizo è fino a 40 anni, e invece ieri sera, dopo alcuni giorni di esercitazioni, si è avviato verso il Libano insieme a una grande unità di riservisti di tutte le età. Si sente più tranquillo ora che ha raggiunto i suoi due figli dentro questa guerra, si fanno compagnia anche se i figli servono in altre unità.
E’ uno dei 18 mila che nelle ultime tre settimane sono stati richiamati per la guerra? «No, io non sono stato richiamato. Sono venuto da solo. Ognuno di noi sa dove andare esattamente. Siamo squadre compatte dal tempo dell’altra guerra del Libano, serviamo insieme, siamo amici per la pelle anche fuori di qui, insieme ne abbiamo passate di tutti i colori. Mai avrei potuto abbandonarli in una guerra senza scelta, come questa. Ero in vacanza in America, a Los Angeles, con mia moglie e i miei due figli, quando il 12 luglio abbiamo visto alla CNN quello che stava succedendo. Proprio in quel momento mi telefonano i miei dalla fattoria, che è nel Moshav Arbel. “Tutta la vallata è in fiamme”, mi dice mia madre “uno dei cani è bruciato vivo, gli animali sono fuggiti”. Sembra stano che ne parli adesso adesso mentre dodici dei nostri compagni sono stati uccisi, ma gli alberi, gli animali sono tutte conquiste che abbiamo fatto su una terra brulla, inospitale. Un albero qui è molto importante, quando brucia è la mia vita intera che viene messa in discussione. Aloora abbiamo preso il primo aereo».
L’esercito ha probabilmente quasi 500 mila riservisti, ma il numero è segreto e forse imprecisato: «Quando è cominciata la guerra, in questa base è arrivato il 30 per cento in più delle persone che ci si aspettava. Questo lì per lì ha provocato scompiglio anche rispetto alle attrezzature, divise, fucili, automezzi,posti letto... ci sono state lamentele, ma poi lo spirito di iniziativa e di adattamento ha aiutato. Piace a qualcuno pensare che siamo gente viziata, perchè il tenore di vita è occidentale, viviamo nel capitalismo,ci piace divertirci e vivere bene. Ma è un errore credere che questo sia il nostro carattere principale. Noi siamo abituati a essere l’uno per l’altro, non importa quale sia il prezzo».
Mentre parliamo, passano ragazzini di poco più di vent’anni: «Nel miluim ci sono di tutti i tipi: il servizio militare finisce a venti, ventuno anni. Quindi io mi trovo con compagni dell’età dei miei figli. Sono un po’ gelosi: sanno che mi piace fare da babbo ai loro coetanei che magari sono tesi, sono a volte anche impauriti dalla responsabilità e dal pericolo di vita. Uno di questi mi chiama appunto “abba” papà».
«La cosa più buffa però riguarda il mio “abba”: ha settantacinque anni, mi ha chiamato dalla fattoria per chiedere se può magari guidare un Rio (uno dei pickup da trasporto ndr)” o rendersi utile in qualche altro modo». Che ci va a fare in Libano? Non gli è bastata una volta? «Certo, non c’è niente per noi in Libano...» suona il telefono. Risponde: dalla fattoria, sua madre gli fa sapere che di nuovo un paio di katiushe, in questo giorno terribile in cui ne sono cadute tante uccidendo, ferendo, distruggendo, hanno distrutto e appicato fuoco intorno alla fattoria. «Lo vede? Non mi faccia domande di storia, il presente è quello che conta. E il presente è quello in cui l’odio di Nasrallah dà fuoco alle foreste, e distrugge le vite».
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