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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Il Foglio Rassegna Stampa
05.08.2006 Perché le classi dirigenti di Francia, Spagna e Italia stanno dalla parte di Hezbollah
e contro Israele?

Testata: Il Foglio
Data: 05 agosto 2006
Pagina: 1
Autore: Giuliano Ferrara
Titolo: «Una domanda»
Dal FOGLIO del 5 agosto 2006:

Questo non è un corsivo o un editoriale. Questa che leggete è una domanda. Perché le classi dirigenti di Francia, Spagna e Italia stanno dalla parte di Hezbollah, e contro Israele? Direte che la domanda è mal posta, che non è vero l’assunto. Formalmente, infatti, Chirac, Zapatero e D’Alema non sono pro-Hez-bollah e anti-Israele. Vogliono piuttosto mettere fine alla violenza scatenata dall’attacco del “partito di Dio” con l’incursione e i rapimenti del 12 luglio, seguiti dalla guerra contro Na-srallah in Libano. Lavorano per una soluzione pacifica, a parti-re da un “immediato” cessate il fuoco, e dichiarano di farlo an-che nell’interesse di Israele, che la comunità internazionale, co-sì dicono, conosce a volte meglio degli israeliani stessi. Valgono, e non possono non essere apprezzati, motivi umanitari, perché il costo della guerra per il Libano è molto alto. Per una certa Europa composta di forze diverse, socialisti e gollisti, contano poi motivazioni politiche se vogliamo meno formali. E’ vero che alla guida di Israele non c’è più il generale di Sa-bra e Shatila, Ariel Sharon, a capo del partito di destra, il Likud, bensì un avvocato, Ehud Olmert, che è lo stratega del ritiro uni-laterale da Gaza e dalla Cisgiordania, che è a capo di un partito di centro alleato con la sinistra di Peres e Peretz, un premio Nobel per la pace autore del negoziato di Oslo e un sindacalista di sinistra oggi titolare del ministero della Difesa. Ma la logica di Israele, cioè la salvaguardia della sua deterrenza contro la sfi-da aperta dei mullah iraniani, contro il revival sciita che si estende alla Palestina conquistata da Hamas e all’Iraq insidiato da Moqtada al Sadr e dalle sue squadre della morte di ispi-razione iraniana, non è la stessa logica dei governi di Parigi, Ma-drid e Roma. Loro chiedono all’Iran di rinunciare all’atomica, votando all’Onu compatti con l’occidente e con Russia e Cina, dopo il fallimento di anni di trattative affidate alla troika euro-pea, ma vogliono parlare con l’Iran, continuare a negoziare con la Repubblica islamica, pensano che l’unica vera deterrenza contro il radicalismo islamista è il dialogo, l’offrire ad Ahmadi-nejad una quota azionaria nel business della stabilità medio-rientale e mondiale, farlo emergere come una potenza regiona-le e riconoscergli quello stesso status politico, al di là della re-torica antisionista, che in fondo si riconosce agli Hezbollah, che rappresentano un terzo dei libanesi e siedono in Parlamento e nel governo, e ad Hamas, che ha vinto le elezioni in Palestina e può essere addomesticato, così dicono. Non è forse vero che a Bonn, dopo la caduta dei Talebani invisi all’Iran sciita, i mullah di Teheran hanno partecipato al riassetto dell’Afghanistan che, tutto sommato, regge? In più, questi governi europei pensano che la linea di Bush e di Blair e di Israele dopo l’11 settembre è fallita, che la guerra in Iraq ha rafforzato Teheran e gli estremisti di ogni latitudine, che occorre contrastare l’unilateralismo americano accettato da-gli inglesi (con riserva) per il bene della pace e della stabilità in medio oriente e nel mondo. Come afferma l’emergente studioso americano di origine iraniana Vali Nasr sul Wall Street Journal di ieri, Bernard Lewis aveva torto quando convinse Cheney e Bush che la caduta di Saddam sarebbe stata l’inizio della fine per gli ayatollah di Qom. I neoconservatori hanno commesso er-rori fatali, pensano a Parigi, a Madrid e a Roma. Infine, questi paesi vogliono difendere la pace interna dai rischi legati all’im-migrazione e agli insediamenti islamici in Europa, e proteggere interessi economici importanti nelle relazioni commerciali con l’Iran, un paese ricco di petrolio che strizza l’occhio all’imprenditoria europea. Si chiama strategia dell’appeasement o del containment, due termini inglesi per definire una politica, legittima, che va giudicata senza scandalo moralistico. Eppure la domanda iniziale re-sta ferma. Se gli appeasers avessero mostrato una qualche ener-gia nel contrastare il riarmo di Hezbollah decretato alle Nazio-ni Unite, nel denunciare le responsabilità siriane e iraniane (e libanesi, per grave e comoda omissione) in questa guerra per procura, se avessero contestato il diritto di Hamas a crescere co-me partito armato e terrorista finanziato dall’Unione europea, se avessero creato una loro rete di dura deterrenza diplomatica con Russia e Cina per intimidire e contenere i teocrati di Tehe-ran, se avessero capito che il fronte iracheno è un fronte comu-ne quali che siano i dissensi anche gravi sulla guerra, ora gli ap-peasers avrebbero l’autorità per una mediazione efficace, forse. Invece finora hanno sempre e sistematicamente parlato e agito contro gli omicidi mirati di Israele, i muri difensivi di Israele, i ritiri unilaterali di Israele, le politiche militari di smantella-mento delle reti terroristiche da parte di Tsahal, hanno sempre e sistematicamente condannato come atti contro l’umanità le azioni difensive di Israele, definite stragi qualunque governo le abbia ordinate, mentre gli stragisti islamisti e i loro mandanti statali sono stati sistematicamente compresi, dopo formali con-danne, e qualificati come possibili partner di un’iniziativa di pa-ce. Chirac sgridò il suo primo ministro, cacciato a pedate da Ra-mallah, perché aveva osato parlare contro i bombardamenti Hezbollah nel nord di Israele. Un partito di governo di Roma (il Pdci) si considera partner politico di Nasrallah, e il suo capo ha partecipato ai convegni di quel partito armato. Gli appeasers hanno celebrato Arafat fino e oltre la sua fine, hanno condan-nato e boicottato senza indicare alternative la guerra a Saddam, hanno diffamato Israele imputandole massacri inesistenti come a Jenin, hanno esaltato una presunta coscienza umanitaria e pa-cifista universale che nega i fatti sgraditi e li copre con una re-torica dei diritti fatta apposta per blandire i cosiddetti oppressi e dannare i cosiddetti oppressori, e ancora oggi la loro strategia fa perno su un armistizio immediato che viene chiesto all’uni-sono dai loro governi, da Hezbollah e da Teheran dopo che que-sti governi hanno incontrato i nemici di Israele e dell’occidente e li hanno lodati come forza eminente di stabilità e di pace nel-la regione mediorientale. La domanda, scremata di ogni moralismo e posta dopo aver analizzato senza malizia la legittima strategia dell’appeasement, dunque resta purtroppo salda, saldissima. Perché le classi dirigenti di Francia, Spagna e Italia stanno dalla parte di Hezbollah, e contro Israele?

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