Dal CORRIERE della SERA del 5 agosto 2006, un editoriale di Angelo Panebianco:
È stata una singolare doppietta. Il ministro degli Esteri francese, Philippe Douste-Blazy, aveva appena lodato l’Iran esaltandone il «ruolo di stabilizzazione nella regione» e subito il presidente dello stesso Iran, Ahmadinejad, ha ricambiato la cortesia spiegando al mondo che la migliore soluzione possibile della crisi libanese è la distruzione di Israele. E Ahmadinejad, naturalmente, sa di che parla visto che l’Iran arma e manovra quell’Hezbollah che all’impresa (distruggere Israele) è da sempre votato. Le goffe avances dei governanti francesi all’Iran ben rappresentano l’atteggiamento cinico di una parte dell’Europa e ci ricordano che esiste, più subdolo e più ipocrita del «rifiuto arabo» (di Israele), anche un «rifiuto europeo», o qualcosa che gli si avvicina molto.
È proprio di chi in Europa non manca mai di premettere che, certo, per carità, Israele ha diritto di vivere in sicurezza ma poi smentisce con i comportamenti quanto affermato a parole. Lo abbiamo visto al momento del bombardamento su Cana. I mass media europei e fior di commentatori si sono tuffati sulla notizia dando degli assassini, non a Hezbollah che lancia missili su Israele facendosi scudo di civili cui impedisce di lasciare la zona degli scontri, ma agli israeliani. I quali, aggrediti da Hezbollah (i cui mandanti sono siriani e iraniani), stanno cercando di eliminare la minaccia. Se non ci fosse di mezzo il rifiuto europeo nessuno potrebbe negare che se c’è un caso a cui è lecito applicare l’antico concetto di «guerra giusta» questo è proprio il caso dell’intervento israeliano in Libano. Il rifiuto europeo si nutre di una sinergia fra atteggiamenti di settori dell’opinione pubblica e calcoli di classi dirigenti.
Per una parte dell’opinione pubblica europea Israele è, più o meno, un avamposto dell’imperialismo americano in Medio Oriente (come per il mondo arabo). È inoltre un fatto, ben presente alle classi dirigenti, che l’Europa ha rapporti più vitali, di ordine geo-economico, con arabi e persiani di quanti non ne abbia con Israele. Se un giorno Israele venisse cancellato dalla carta geografica, una parte degli europei lo considererebbe un dramma (e un colpo mortale inferto a tutto l’Occidente) ma un’altra parte penserebbe, senza dirlo, che un ostacolo alle armoniose relazioni fra Europa e Medio Oriente è stato tolto di mezzo. Sarebbe dire il falso sostenere che questo sia l’atteggiamento prevalente in Europa. È però un atteggiamento presente con il quale bisognerebbe fare i conti apertamente, date le sue continue ricadute politiche. Lo si vede anche in questa crisi.
Chi non si preoccupa per la sicurezza di Israele vuole, nella sostanza, un cessate il fuoco che sia preludio alla ricostituzione dello status quo precedente alla crisi (che sarebbe una minaccia mortale per Israele, amplificata dal fatto che Hezbollah uscirebbe vincente dalla partita). Chi invece ha a cuore la sicurezza di Israele vuole radicali cambiamenti, a cominciare dall’applicazione della risoluzione Onu 1559 sul disarmo di Hezbollah. C’è un’Europa per la quale la sicurezza di Israele viene molto dopo, nella scala delle priorità, dei buoni rapporti, quale che ne sia il prezzo, con il mondo islamico mediorientale, Stati canaglia compresi. C’è però, per fortuna, anche un’altra Europa, diversa dalla prima. Forse, non resta che attendere i risultati delle elezioni presidenziali francesi di primavera. Sperando che indeboliscano il fronte del rifiuto europeo.
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