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La Stampa Rassegna Stampa
05.08.2006 Così combatte Tsahal
Fiamma Nirenstein intervista un giovane soldato israeliano

Testata: La Stampa
Data: 05 agosto 2006
Pagina: 9
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: ««Ro’i si è gettato sulla bomba per salvarci»»
Da La STAMPA del 5 agosto 2006, un articolo di Fiamma Nirenstein che riporta  un colloquio con uno dei soldati israeliani che combattono contro Hezbollah:

Gerusalemme, ospedale Hadassa. Israel Friedler ha un bel buco sul braccio destro, anzi due: da uno la pallottola del kalashnikov degli Hezbollah è entrata, e dall’altro è uscita. «Ho avuto fortuna, non ha leso l’osso, solo un po’ il muscolo, ma quello si riforma». Duole? Figurarsi se un soldato dei Golani può dire che gli duole qualcosa. Ha solo sentito una botta che lo ha fatto barcollare, e poi ha perso parecchio sangue. Ma subito gli infermieri da campo gli hanno messo una fascia «e mi sono sentito bene». Era mercoledì, lui ha accettato di uscire dal teatro di guerra soltanto giovedì quando hanno ordinato alla compagnia di cessare il fuoco e tornare. È accaduto nella città sudlibanese di Bint Jbail dove si è svolta una delle battaglie più difficili: otto soldati vi sono stati uccisi, ventidue i feriti. Friedler ha 27 anni, è venuto in Israele dal Brasile nel 1990, ed è già comandante di uno dei tre battaglioni della 51esima compagnia dei Golani: «Spero mi lascino tornare dai miei soldati subito. Non posso pensare che entrano e escono dal Libano senza di me; che combattano senza che io li guidi; so che mi vogliono vedere là davanti, io li conosco, ognuno dei ragazzi ha la sua storia, i suoi punti interrogativi» Le sue paure? «Domande, non paure. Durante la battaglia non hai mai paura. Semmai, prima e dopo. Ma non pensi a morire, pensi solo che non hai altra scelta e combatti. E i miei soldati - sorride Israel - sono coraggiosi». In battaglia gridi in coro, ci si fa coraggio incitandosi? «In battaglia c’è molto rumore» taglia corto Israel. Ma il rumore più cocente e clamoroso è stato, ascoltato in tutta Israel tramite i media, quello di una granata che ha ucciso il suo migliore amico Ro’i Klein, comandante dell’altro battaglione che marciava accanto al suo: «Avanzavamo di pari passo e questo mi dava forza, ci intendevamo in tutto, passavamo molte serate insieme, spesso con le mogli. La battaglia era molto dura. Da parte nostra c’erano già morti e feriti che tiravamo dentro le porte degli edifici mentre ci sparavano da tutte le parti. Avevamo già distrutto parecchi depositi di armi e vari lanciamissili, e ucciso sette Hezbollah. Ro’i mi ha detto alla radio “Da questa parte non va tanto bene”. Dopo un pò mi ha anche annunciato “Passo la radio”. Sono state le sue ultime parole». Ma quelli che erano vicino a lui, raccontano ben altro, e Israel lo riporta senza enfasi: «Un uomo degli hezbollah ha tirato una granata verso i suoi; lui ha detto “Shema Israel” la preghiera più importante per gli ebrei, quella che proclama l’unicità di Dio, e si è gettato sulla granata per proteggere i soldati». È tutto vero? «Era certo la persona che poteva farlo: silenzioso, deciso, sapeva sempre quello che voleva. Stavolta ha voluto salvare i suoi. Sua moglie Sara con i due bambini è come lui, non si lamenta». Accanto a lui, sul letto dell’Ospedale Hadassa di Gerusalemme con un gran pancione, ascolta senza fare una piega la moglie Dvora. Ma Israel, voi israeliani siete giovani totalmente occidentali, che amano divertirsi, fare musica, stare con la propria ragazza, ridete di tutto e di tutti, vi opponete a ogni idea preconfezionata... Eppure sulla guerra, in particolare su questa, siete compatti, la combattete come fosse la cosa più naturale del mondo e anche da eroi: come se non fosse senso comune in Occidente l’idea che la guerra è la cosa più brutta che gli uomini abbiano inventato dall’inizio della storia.. «Noi in realtà la detestiamo, e molto di più di chi non l’ha mai provata. Si immagini in che stato sono in questi giorni le madri che seppelliscono i loro figli di 18 e 19 anni. Ma due questioni ci costringono ad accettare il combattimento: intorno abbiamo cinquecento milioni di arabi che ci vogliono morti. Con tutti quelli che hanno voluto fare la pace l’abbiamo fatta. In secondo luogo, c’è la casa qui, la mamma, il mio bambino che sta per nascere... C’è Israele, e noi non vogliamo l’Uganda. Devo lasciare che Hezbollah mi uccidano con i missili Fajar? Il segreto è uno solo: non abbiamo scelta». Mentre al lato destro di Israel marciava Ro’y, sul lato sinistro, nel terzo battaglione c’era il suo fratello minore Dani: «Sto sempre anche attento a lui; stavolta era difficile. In genere, passato il pericolo uno dei due manda un sms alla mamma per dire che tutti e due stiamo bene. Stavolta, lui ha scritto “tutto bene” quando io ero già stato ferito. Ora la mamma non si fida più di noi». Lei non pensa mai alle madri libanesi prese dentro questa guerra, fra due fuochi? «Io ci penso, ma Hezbollah non molla i loro figli, li tiene come scudo umano, e viene un momento in cui io devo decidere se mi sparerà anche la prossima katiusha. Adesso, scusi, visto che non sono i vostri figli a essere in guerra, non potreste usare con noi un tono un pò più sommesso? Smettere di sdottoreggiare su una guerra contro il terrorismo che dovreste almeno capire, e in cui invece siamo lasciati così soli?».

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