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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
04.08.2006 La forza multinazionale dovrà combattere?
o dovrà rimanere neutrale tra aggressori e aggrediti ?

Testata: Corriere della Sera
Data: 04 agosto 2006
Pagina: 2
Autore: Alessandra Coppola - Roberto Zuccolini - Martin Van Creveld
Titolo: «Grossman: Nel vostro stesso interesse, mandati soldati pronti a sparare - La missione deve essere neutrale - Dialogo con l'Iran ? Impossibile - Ma la pace si vince al negoziato»
Dal CORRIERE della SERA del 4 agosto 2006, Alessandra Coppola intervista intellettuali israeliani (dai romanzieri Grossman e Yehoshua agli storici Michael Oren e Benny Morris)

GERUSALEMME — È una guerra vicina, anche all'Italia: David Grossman affida al Corriere un messaggio per Roma e per l'Europa che è quasi un appello. «Da Firenze o da Milano possono sembrare vicende distanti — dice —. E invece vi riguardano, è nel vostro stesso interesse: mandate qui i soldati, in una forza internazionale che sia autorizzata a combattere».
Pacifista, sostenitore del dialogo con i palestinesi, autore un tempo anche di libri per bambini, attore alla radio, ora uno dei più celebri scrittori israeliani, Grossman su questo conflitto al confine nord ha meno esitazioni che nel passato: «Siamo stati costretti a difenderci — ha scritto —. È stata un'aggressione».
Può non essere del tutto d'accordo con Ehud Olmert, e con la strategia tracciata dal governo, ma dell'intervista che il premier ha dato al Corriere e che ha sentito ieri ripresa alla radio condivide un punto centrale: il contingente internazionale dispiegato nel Sud del Libano dopo il ritiro israeliano «dovrà essere molto forte». «Non potrà assomigliare all'Unifil (osservatori Onu nella zona dal '78, ndr) — chiarisce —, una forza che finora si è dimostrata totalmente impotente. Questa è un'area violenta».
In Europa e anche all'interno del Parlamento italiano non sono, però, tutti disposti a una missione «combattente»… «Capisco la riluttanza europea a mandare i propri soldati — risponde Grossman — ma voglio spiegare che questo fronte tra Israele e le milizie dell'Hezbollah è il più significativo aperto ora e in futuro tra uno Stato libero e democratico e uno schieramento fondamentalista islamico guidato dall'Iran». Tutt'altro che un problema regionale, è la sua tesi.
«Gli Stati dell'Europa occidentale — continua — non possono raccontar
i che ciò che accade qui è irrilevante. Se lo dicono, ne sottovalutano l'importanza. E ignorano le conseguenze che potrà avere sulla vita dei loro cittadini». Dunque, sostiene, sarebbe un grave errore tirarsi indietro: «L'Europa ha un netto interesse affinché quest' area sia stabile e non precipiti in un conflitto su larga scala. Sembrerà lontano, ma quello a cui stiamo assistendo qui è solo l'inizio di qualcosa di molto più grande…».
Nessuna possibilità di mediazione con le milizie sciite, da escludere un negoziato con Iran o Siria, massima attenzione al pericolo del fronte Nord: su questa guerra all'Hezbollah lo storico israeliano Benny Morris è persino più preoccupato e deciso di Grossman. Potrà semmai esserci un tentativo di sganciare la questione palestinese da quella libanese e un'apertura di dialogo con Hamas, come auspica lo scrittore Abraham Yehoshua (trattare con il presidente Abu Mazen e il premier Haniyeh per una tregua a Gaza). Ma, innanzi tutto, dice Morris al Corriere, il Libano Sud va «ripulito» dalla guerriglia. Subito dopo, nella fascia «bonificata», deve entrare in azione una forza multinazionale combattente.
Può anche non essere simile a Enduring freedom (il contingente a guida Usa in Afghanistan) «che va alla caccia dei talebani», continua Morris, ma le regole di ingaggio devono essere chiare: «Poter rispondere al fuoco».
Studioso di fama in Israele, sensibile al dramma palestinese, poi slittato su posizioni più dure con la Seconda intifada, Morris condivide in pieno la linea Olmert. Addirittura la supera: «Il premier ha detto militari Onu dispiegati due ore dopo il cessate il fuoco? Ma anche due minuti dopo — dice — altrimenti l'Hezbollah torna ad occupare l'area». Ci sarà tensione, «la guerriglia metterà alla prova la forza internazionale — prevede —. Bisognerà sparare. Solo davanti a una reazione decisa le milizie si faranno indietro».
Potrebbe andare così. Ma potrebbe essere anche peggio. Lo storico militare israeliano Michael Oren, grande esperto dell'area, immagina uno scenario più inquietante: «Ci saranno lunghi scontri e anche vittime, l'Hezbollah non accetterà mai di cedere le armi pacificamente». L'incubo Iraq: «Una missione come quella dell'Unifil si è dimostrata inutile se non dannosa, inevitabile questa volta combattere. I governi che invieranno soldati dovranno necessariamente mettere in conto delle perdite...».

Intervistato sull'argomento Ugo Intini , sottosegretario agli Esteri chiarisce che per lui la forza di interposizione deve essere "neutrale" tra Israele ed Hezbollah. Aggiunge che il dialogo con la Siria non basta. Bisogna trattare direttamente con l'Iran.
Ecco il testo:


ROMA — Ugo Intini, lei che è viceministro con delega per il Medio Oriente, che cosa pensa della richiesta di Olmert di inviare nel Sud del Libano una forza sul modello di Enduring Freedom?
«Non ci può essere in quella regione un intervento tipo Nato in Afghanistan. Occorre inviare una forza internazionale che abbia la caratteristica di una netta neutralità tra Israele e il mondo arabo. Non dimentichiamo che la partita in corso si gioca quasi più sulla propaganda che sul piano militare. E i danni, purtroppo, si sono già determinati: gli arabi moderati sono sotto una forte pressione e ora anche il governo iracheno critica duramente Israele».
Occorre quindi trattare con Hezbollah?
«Una cosa è certa: l'accordo con il governo libanese è indispensabile per qualsiasi tipo di missione e a Beirut in Parlamento sono presenti anche loro. Del resto situazioni analoghe si sono riscontrate anche a Bagdad: non dimentichiamo che il capo del partito sciita iracheno è parente di Nasrallah».
Olmert è convinto dell'impossibilità di un dialogo con Iran e Siria.
«Non mi convince l'idea che si possano separare i due Paesi puntando sulla divisione tra sunniti e sciiti. Se quelle due nazioni sono parte del problema costituiscono anche una parte della sua soluzione. E comunque se l'Iran è cresciuto come potenza regionale ciò è dovuto anche al fatto che, dopo la guerra, non c'è più l'Iraq a fare da contrappeso».
Il premier israeliano sfida anche Prodi chiedendosi che effetti abbiano avuto le sue telefonate con Assad.
«I risultati di un dialogo così complesso si vedono nell'arco di settimane e di mesi. Sono appena uscito da una colazione in onore di Gol, l'ex ambasciatore israeliano a Roma. Tutti attribuiscono all'Italia il ruolo di tradizionale interlocutore sia per quanto riguarda Gerusalemme che per il mondo arabo. Anche gli americani ce lo riconoscono. E noi cerchiamo di sfruttarlo al meglio delle nostre possibilità».

Più lucido (non ci vuole molto) Umberto Ranieri, che riconosce l'impossibilità di una trattativa con il regime di Teheran.
Esclude però che si possa inserire Hezbollah nella lista delle organizzazioni terroristiche.
Ecco il testo:

ROMA — Il presidente della commissione Esteri della Camera, Umberto Ranieri (Ds), è convinto di una cosa: «Non era nei piani di Israele trascinarsi in questa guerra.
L'attuale governo ha vinto le elezioni con l'idea di continuare i ritiri dal territorio palestinese, anche se in modo unilaterale».
E quindi?
«Gerusalemme è stata costretta a prendere le armi dalle provocazioni di Hezbollah. Detto questo ora deve riflettere su un dato indiscutibile, vale a dire la sofferenza dei civili che alimenta l'odio verso Israele e mette in crisi i governi dei Paesi arabi moderati».
Olmert è però convinto che la sicurezza di Israele, non appena terminata la guerra in corso, possa essere garantita solo da «unità combattenti».
«Capisco le preoccupazioni di Gerusalemme.
Ma è necessario che abbia maggiore fiducia nella comunità internazionale. La volontà di inviare una forza di peace-keeping è una grande novità, proprio perché per la prima volta si farebbe realmente carico della sicurezza di Israele e renderebbe possibile attuare la risoluzione 1559 dell'Onu. Ciò però potrà avvenire solo dopo un accordo tra i belligeranti, cioè dopo un cessate il fuoco negoziato».
Un accordo da ottenere dialogando anche con l'Iran e la Siria?
«Molti sono convinti che per giungere al disarmo sia necessario l'assenso di Teheran. Ma come si fa a dialogare con chi continua a chiedere, anche nelle ultime ore, la distruzione dello Stato di Israele? Con la Siria il discorso è diverso: si può tentare di chiamare Damasco perché assuma un atteggiamento positivo nella soluzione della crisi».
C'è anche però chi chiede all'Unione Europea di essere più severa con Hezbollah inserendola nella lista nera dell'Unione.
«In questo momento è meglio concentrarsi su ciò che conta: la cessazione delle ostilità, la garanzia di una sicurezza per Israele e di una tutela per il Libano».

A pagina 33, l'analisi dello storico militare israeliano Martin Van Creveld sulla possibilità per Israele di raggiungere i suoi obiettivi nella guerra in corso:

N el 1979, con otto divisioni ben armate, l'Urss impiegò solo qualche giorno a conquistare Kabul, ma passò altri 10 anni a combattere i mujaheddin prima di essere costretto a gettare la spugna. Con quello che aveva fama di essere l'esercito meglio armato, addestrato e guidato mai visto al mondo, nel 2003 gli Usa impiegarono solo tre settimane a conquistare Bagdad, ma potrebbero essere costretti a ritirarsi senza aver raggiunto i loro obiettivi. Se si guarda al passato, l'Urss e ancor più gli Usa si sono cacciati in guerre del tutto inutili e perfino stupide. Nessun afghano aveva mai minacciato il territorio sovietico. Non esisteva (né esiste) assolutamente alcuna prova che Saddam Hussein fosse coinvolto in azioni terroristiche contro gli Usa, e le sue presunte armi di distruzione di massa si sono rivelate un mito.
Il caso di Israele è molto diverso. Nel 1968, dopo vent'anni di calma quasi assoluta, dal Libano iniziarono a verificarsi incursioni terroristiche in territorio israeliano. Il risultato fu un maggior coinvolgimento di Israele negli affari del suo vicino, finché, nel 1982, fu lanciata una vera e propria invasione. Le truppe israeliane impiegarono solo una settimana a raggiungere Beirut. Dopo altri 18 anni e infiniti alti e bassi, le ultime truppe si ritirarono dal Libano, oltre un confine segnato dall'Onu sul terreno. Di certo l'attacco di Hezbollah del 12 luglio 2006, in cui 5 soldati israeliani sono stati uccisi e due rapiti, non era, o almeno non avrebbe dovuto essere, inaspettato. E, di certo, non era stato provocato.
La guerra contro Hezbollah di Israele, costretto a reagire, non si sta dimostrando facile. In parte perché il nemico sta usando razzi, costruiti e forniti dall' Iran, per sferrare attacchi indiscriminati verso l'area settentrionale di Israele, cosa di cui né i mujaheddin afghani né i vari gruppi di insorti iracheni erano o sono minimamente capaci. In parte perché gli israeliani, non volendo subire troppe perdite, stanno avanzando lentamente e con cautela. Ma molte difficoltà nascono anche dal tentativo di ridurre al minimo le vittime tra i civili libanesi. Un esempio di questa intenzione si vede nelle azioni dell'aviazione israeliana: nel cercare di bloccare l'aeroporto di Beirut, che è una delle vie principali attraverso cui Hezbollah riceve rifornimenti, si è scelto di colpire le piste e i depositi di carburante, dove vi sono pochissime persone. Un altro esempio è la frequente diffusione di volantini per invitare i civili che vivono vicino a bersagli Hezbollah ad andarsene, benché in questo modo si allerti anche il nemico.
Gli effetti della campagna finora non sono stati piacevoli. Come è accaduto agli Usa in Kosovo, in Vietnam e altrove, alcuni degli ordigni israeliani hanno mancato il bersaglio e hanno ucciso non combattenti, come a Cana, suscitando grida di dolore non solo in Libano, ma in gran parte del mondo. I guerriglieri Hezbollah, che occupano un terreno infido e operano da fortificazioni costruite nel corso di anni, si sono dimostrati un osso duro. Anche perché hanno combattuto bene e non sono scappati come hanno fatto tanti eserciti arabi in passato. Ma soprattutto perché, sparsi e nascosti tra una densa popolazione civile, sono difficili da scovare.
Il fatto che Hezbollah sia appoggiato dalla Siria e dall'Iran, entrambi nemici non solo di Israele, ma anche degli Usa, non è un segreto. Più difficili da accertare sono i legami tra la «resistenza» libanese (a che cosa? Il Libano non è un Paese occupato) e il terrorismo mondiale. Certamente esistono dei legami tra Hezbollah e altri movimenti terroristi anti-israeliani come Hamas, e certamente Hezbollah fornisce a Hamas addestramento e fondi. Anche se non si hanno certezze, sarebbe strano se non esistessero legami tra Hezbollah e alcuni dei numerosi gruppi in guerra in Iraq, compresi gli esponenti locali di Al Qaeda.
Se la storia può insegnare qualcosa, Israele non sarà in grado di ottenere una vittoria completa, eliminando Hezbollah — la pace si ottiene con i negoziati, non con le armi. Potrebbe però raggiungere qualcun altro dei suoi obiettivi. Anzitutto dimostrare ai libanesi i rischi a cui li ha esposti Hezbollah e di diminuire così il sostegno che riceve — cosa che, secondo alcuni, si sta già verificando. Poi potrebbe costituire una fascia di sicurezza lungo i confini settentrionali. Con o senza una forza internazionale, questa fascia impedirebbe che missili a corto raggio e altre forme di attacco ai confini raggiungano il suo territorio: a questo proposito è importante notare che, dal 1982 al 2000, nessun gruppo di combattenti libanesi è riuscito a raggiungere Israele. Soprattutto, Israele può dare ai suoi vicini (e in particolare alla Siria) una significativa dimostrazione delle conseguenze che potrebbero subire se gli muovessero un'altra guerra. In effetti, considerando che, nonostante le proteste, per ora nessun altro Paese ha alzato un dito per aiutare il Libano, questo obiettivo potrebbe essere stato già raggiunto.

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