Israele affronta unito l'aggressione di Hezbollah 03/08/2006
Per capire cosa significano i valori di un paese non serve creare un partito con quel nome. Basta salire su un aereo e scendere all'aeroporto di Tel Aviv per rendersi conto in base a quali valori vivono i cittadini dello Stato ebraico. Se non sapessimo cosa succede al confine nord con il Libano e a quello sud con Gaza avremmo l'impressione di essere arrivati in un paese normale alle prese con le vacanze estive, in un aeroporto dove ci sono piu' arrivi che partenze, un traffico turistico degno di tempi migliori. Ma la realta' ci appare qual'e' guardando i titoli dei giornali o i notiziari aggiornati a getto continuo dalla televisione. La verita' è che non ci sono due Israele. Una di facciata, che rincuora chi arriva con il timore di trovare paura e disperazione e si trova invece davanti un paese che affronta con equilibrio un momento serio, difficile, come se non fosse bombardato da Hezbollah fin quasi ai confini con Tel Aviv. Un'altra, che cerca di nascondersi di fronte ad avvenimenti che sconvolgerebbero qualunque altro paese. No, di Israele ce n'è uno solo, è quel popolo ebraico che ha saputo aspettare duemila anni per ridare il suo nome a una terra che sussurra Israele da qualunque parte la si guardi. Dalle pietre dell'antichità, che testimoniano scientificamente cinquemila anni di percorso ebraico, all'Israele della modernità, un paese dallo straordinario sviluppo economico e culturale, al quale dovrebbero guardare, per uscire dal sottosviluppo e dall' ignoranza quei paesi che invece di imitarlo vogliono distruggerlo. Un esempio di quanto Israele sappia essere forte e unito ci viene dalla risposta contro gli attacchi di Hezbollah. Abituati come eravamo a leggere le critiche più dure al governo sulla maggioranza dei giornali israeliani, fa una certa impressione trovarli oggi, Haaretz in testa, fra i più decisi sostenitori della posizione dura contro il terrorismo scatenato da Hezbollah dal Libano del sud. Giorni fa Haaretz titolava in piena prima pagina " Chi non sa proteggere la propria libertà non la merita ", citando le parole del capitano Ori Lavie, responsabile del Reggimento 51 al confine con il Libano. Stessa posizione quella di Maariv e Yediot Haharonot, i due tabloid popolari più venduti, guardati sempre con sussiego dai lettori di Haaartz, e che sovente esprimono posizioni ancora più a sinistra. Tutto finito, la linea è per tutti quella espressa dal governo. Di più, negli editoriali degli analisti politici il consiglio è uno solo " andare avanti sino alla totale sconfitta di Hezbollah ". Il che significa dare una risposta chiara non solo a Siria e Iran, che usano il terrorismo nel sud del Libano come una testa di ponte nella loro strategia di minare alla base la capacità di resistenza di Israele, ma un chiaro avvertimento a quei paesi che non capiscono, per ignoranza o malafede, che il terrorismo va sconfitto senza compromessi. Oggi la questione palestinese, nei termini che l'hanno caratterizzata in questi anni, è solo più un aspetto, peraltro minore, di un problema più grande e pericoloso. L'hanno capito quegli intellettuali israeliani che godono di fama internazionale per l'alto livello della loro produzione letteraria e che sovente leggiamo sui nostri più grossi quotidiani. David Grossman, Amos Oz, A.B. Yehoshua, per citare i maggiori, stanno analizzando la situazione politica quasi fossero nei panni del primo ministro. Li sapranno ascoltare, e capire , quelli che in Italia se ne sono sempre fatti portavoce per dire, vedete, anche Grossman, anche Oz, anche Yehoshua criticano la politica del governo israeliano, e se lo dicono loro... Adesso Grossman ha un figlio militare, sta in pena come migliaia di altri genitori che aspettano ogni giorno che il cellulare suoni per sentire se il proprio figlio è vivo. Allora l'analisi si fa più lucida, come tutti gli altri anche chi è stato abituato a lanciare messaggi per insegnare la "giusta linea" da seguire, capisce che oggi è questione di sopravvivenza, come in tutte le guerre combattute da questo piccolo grande popolo. " Guerra al Nord ", la definiscono i giornali, quindi non una Guerra dichiarata ufficialmente, ma ogni giorno i volti dei giovani soldati uccisi da Hezbollah ricordano quanto sangue deve ancora scorrere prima che l'Europa capisca da che parte si deve stare quando il nemico è il terrorismo islamico. Oggi in Israele si ricorda Tishà beAv, il nove del mese di Av, data della distruzione del primo e del secondo Tempio. E' una ricorrenza triste, forse persino inutile, perchè solo chi si augura un Israele sul genere Mullah può prefigurare oggi la costruzione di un terzo Tempio. Ma storicamente è una data istruttiva, per non ripetere gli errori del passato. Ha detto Ehud Olmert in un intervento alla Knesset all'inizio delle ostilità " Ci sono momenti nella vita di una nazione nei quali si deve guardare in faccia alla realtà e dire: Mai più! Israele non sarà ostaggio di bande di terroristi o di una autorità terrorista, fosse anche uno Stato sovrano ". Parole chiare e sagge, che qualunque capo di stato o primo ministro di un paese democratico dovrebbe condividere. Scriviamo al condizionale, perchè la risposta che finora è arrivata dall'Europa va in tutt'altra direzione. Chirac sembra preoccuparsi solo del Libano, il paese dove Hezbollah fa parte della coalizione di governo, mentre il suo ministro degli esteri dichiara che l'Iran è " una forza di stabilità nella regione ". L'Unione europea ha finora aggravato i problemi nel tentativo - inutile - di privilegiare solo gli aspetti umanitari. E l'Italia di Prodi e D'Alema, come la pulce nella criniera del leone, sembra non sapere nemmeno quell che sta avvenendo, anche se i nostri due si agitano alquanto, dando la sensazione che ritengano che basti muoversi per fare qualcosa di utile. Forse non sanno che è in Israele che si stanno giocando i destini dell'Occidente. Se i suoi nemici saranno sconfitti, sarà la democrazia a vincere. Per questo il " cessate il fuoco " potrà esserci solo dopo la sconfitta definitiva di Hezbollah