Secondo Abraham B. Yehoshua gli Hezbollah sono nemici dei palestinesi, quindi Israele deve trattare con Hamas l'opinione dello scrittore israeliano
Testata: La Stampa Data: 02 agosto 2006 Pagina: 1 Autore: Abraham B. Yehoshua Titolo: «I palestinesi vittime della guerra»
Da La STAMPA del 2 agosto 2006:
Se il governo israeliano vuole ottenere risultati positivi e duraturi dalla guerra cruenta che sta combattendo in questi giorni contro Hezbollah dovrà assumere l'iniziativa di organizzare a breve un incontro con i vertici della dirigenza palestinese: con il presidente Mahmud Abbas, rappresentante dell'Olp, e con il premier Ismail Haniyeh, esponente Hamas, e magari coinvolgere nel dialogo anche Marwan Barghouti, promotore del famoso documento dei prigionieri. I temi del dibattito dovranno essere concreti e realistici, ed ecco alcuni obiettivi.
1.un accordo per il completo cessate il fuoco nella striscia di Gaza. 2.la liberazione di prigionieri palestinesi - ragazzi, donne e malati - in cambio di quella del soldato israeliano Ghilad Shalit. 3.un'intesa per una valida supervisione che impedisca il passaggio di armi dall'Egitto alla striscia di Gaza. 4.l'apertura dei valichi di frontiera tra Gaza e Israele per il transito di operai e merci. 5.l'apertura di un corridoio protetto tra Gaza e la Cisgiordania, come stabilito nell'accordo di Oslo. 6.una raccolta di fondi internazionali per la ricostruzione.
Tali obiettivi saranno raggiungibili se basati sulla premessa di un riconoscimento del confine internazionale tra la striscia di Gaza e Israele. Di pari passo all'implementazione di questo accordo occorre avviare un dialogo tra palestinesi e israeliani per un'eventuale intesa riguardante anche la Cisgiordania, nel quadro del programma di ritiro unilaterale di Olmert, o della «road map».
È estremamente importante che palestinesi e israeliani operino una chiara distinzione tra il problema palestinese e quello libanese. Gli Hezbollah e l'Iran, integralisti sciiti, non conducono una lotta a favore dei palestinesi. Al contrario, la loro guerra «santa» ideologica, che invoca la cancellazione di Israele e il ritorno degli ebrei in Europa (come auspicato dal presidente Ahmadinejad), mina seriamente una possibile soluzione del problema palestinese e pospone la fine dell'occupazione israeliana. La minaccia di missili sui centri abitati di tutta Israele, infatti, nuoce alla causa palestinese in quanto non fa che dissuadere i dirigenti israeliani dal ritirarsi da alcune zone della Cisgiordania. I palestinesi devono capire che, come ai tempi di Saddam Hussein durante la guerra del Golfo, provocazioni folli quali l'occupazione del Kuwait o la creazione di arsenali con migliaia di missili in barba alla sovranità del governo libanese, non solo porteranno morte e distruzione ai fautori di tali iniziative ma procrastineranno l'eventuale creazione di un loro Stato.
Anche per Israele è importante distinguere tra Hamas e Hezbollah, malgrado l'ideologia dei due gruppi contenga linee di somiglianza. Hamas, come l'Olp, è un'organizzazione nata e cresciuta negli anni successivi alla guerra dei sei giorni in una realtà di occupazione, di insediamenti coloniali e di oppressione economica. Palestinesi e israeliani vivranno per l'eternità gli uni a fianco degli altri e anche quando un netto confine separerà le due nazioni, migliaia di legami economici, politici ed etnici (per via della presenza della minoranza araba di Israele) li uniranno. Così come l'Olp ha riconosciuto la necessità di un compromesso con Israele, anche Hamas dovrà procedere lungo quel cammino. Una vittoria, anche parziale, di Israele su Hezbollah, potrebbe portare i dirigenti di Hamas a capire che non avranno mai la forza necessaria per sconfiggere lo Stato ebraico e dovranno quindi accettare un compromesso basato sui confini del 1967. E anche se questa loro presa di coscienza non troverà espressione nell'ideologia ufficiale dell'organizzazione, potrebbe avere comunque ripercussioni pratiche e portare Israele a sfruttare il cambiamento per cercare di coinvolgere Hamas e l'Autorità palestinese in un dialogo per la pace.
In questi giorni si levano voci pessimistiche sul futuro di Israele. La situazione demografica ed economica di alcuni Stati arabi, il ritorno a un integralismo religioso che rischia di sfociare in comportamenti irrazionali e il possesso di armi tecnologiche moderne dall'ampio raggio d'azione creano nuovi pericoli. La crescente sensibilità degli israeliani per la perdite di vite umane, per la distruzione di edifici e infrastrutture e per lo sconvolgimento della loro vita dinamica ed edonistica, logorano la capacità di resistenza a lungo termine. Israele non è in grado di controllare pericolosi processi in atto in nazioni lontane o vicine come l'Iran o l'Egitto ma può neutralizzare il problema palestinese che alimenta e legittima aggressioni esterne. Un miglioramento dei suoi rapporti con i palestinesi, mediante concessioni simboliche ma significative, quali la liberazione di prigionieri, un dialogo diretto con Hamas e uno stabile cessate il fuoco nella striscia di Gaza, potrebbero portare a una collaborazione con i palestinesi contro l'integralismo ideologico che arreca danni sia a noi che a loro.
I missili di Hezbollah cadono indistintamente su centri abitati ebraici e arabi dimostrando così ai palestinesi ciò che già ben sanno. La salvezza non è mai giunta in passato dai loro fratelli arabi e non giungerà in futuro. Un riscatto si avrà solo grazie a un intensivo negoziato con Israele che salvaguardi, nei limiti della ragionevolezza, i loro diritti legittimi. Una collaborazione tra i due popoli per il raggiungimento della pace è la migliore garanzia per la sopravvivenza di israeliani e palestinesi in un mondo sempre più dotato di armi non convenzionali.
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