Quando invocare la pace è solo un pretesto per condannare Israele dimenticando le colpe e la responsabilità di Hezbollah
Testata: La Stampa Data: 01 agosto 2006 Pagina: 1 Autore: Enzo Bianchi Titolo: «UN MARE IN GUERRA»
Si presenta come una invocazione della pace l'articolo di Enzo Bianchi pubblicato in prima pagina dalla STAMPA del 1 agosto 2006. In realtà, si tratta a ben guardare di una condanna unilaterale di Israele, cieca all'entità della minaccia che per essa rappresenta Hezbollah e alle responsabilità di questa organizzazione terroristica. Ecco il testo:
MEDITERRANEO, «mare tra le terre», Mare nostrum, mare che potrebbe essere un ponte fra terre, culture, religioni diverse... Mediterraneo brulicante di turisti vacanzieri dalle coste della Turchia a quelle della Spagna, dal Marocco all’Egitto: gente in vacanza festosa, turisti immersi in un cieco consumismo e sovente in un’ostentazione di ricchezza e potere, mentre al largo zattere di povera gente «che corre dove c’è il pane» vivono drammi di morte per fame e sete alla ricerca di una terra in cui essere accolti per guadagnarsi una vita degna di questo nome. Ma ancora, Mediterraneo che assiste nella terra del Libano a una guerra atroce, ingiusta come ogni guerra, illegittima se mai guerra può essere legittima. In queste ultime ore tutti alzano la voce per sospenderla, perché nella strage di Cana sono morti decine di bambini, ma nei giorni scorsi morivano forse solo guerriglieri o soldati in armi? Dobbiamo constatare che i sentimenti e gli atteggiamenti verso queste colpevoli tragedie mutano subendo il nefasto influsso dell’abitudine: basterebbe confrontare l’odierna reazione dell’opinione pubblica con quella all’epoca del profilarsi della guerra in Iraq tre anni fa. Altra atmosfera, altri sentimenti: chi nella società civile grida ancora con forza il no alla guerra? Chi tra i cristiani è ancora capace di parole e di gesti di pace? La scomparsa della voce di Giovanni Paolo II impedisce forse ai cristiani di farsi sentire, di discernere anche questa «apocalisse», questo «svelamento» di ciò di cui è capace l’uomo, oggi come ieri? Eppure Benedetto XVI e la Santa Sede hanno denunciato da subito una sproporzione di risposta, affermando che il diritto di Israele alla difesa del proprio Stato e dei propri cittadini non può cancellare la «proporzionalità» come misura che impedisce la vendetta e il vertiginoso moltiplicarsi della violenza. Ancora domenica, nel discorso dell’Angelus, il papa ha citato «l’immortale enciclica Pacem in terris di Giovanni XXIII» per ricordare come «sia profetica e, insieme, realista la voce della chiesa, quando, di fronte alle guerre e ai conflitti di ogni genere, indica il cammino della verità, della giustizia, dell’amore e della libertà» e per ribadire che «non si può ristabilire la giustizia, creare un ordine nuovo ed edificare una pace autentica quando si ricorre allo strumento della violenza». Forse siamo cambiati noi, forse ci siamo abituati anche alle guerre illegittime, alla violazione del diritto internazionale, a credere che la guerra è un male necessario che sempre ci accompagnerà nella storia... Seppure pochi, anche gli anni di questo terzo millennio sono già tragicamente eloquenti sulla crescita della barbarie, così come sull’incapacità dell’Europa a un’azione politica e di umanesimo. Diciamo ormai da tempo che la guerra non conosce il diritto, che una volta scatenata produce orrori e stragi, innescando spirali incontrollabili di odio, ritorsione, morte, che è una «via senza ritorno»... ed ecco ancora una volta levarsi questa bestia infernale che non riconosce più civili né bambini, ecco il Libano e i suoi abitanti vittime della distruzione e della violenza cieca dei bombardamenti, ecco fiumane di persone senza più casa, private di tutto, lasciate sole con l’unico bagaglio di una rabbia e un astio che presto o tardi fermenteranno in odio. E di fronte a questa sconfitta dell’umanità nel suo insieme, la difficoltà di articolare una lettura equa degli eventi che tenga conto del diritto di Israele a difendersi e a liberarsi dalla violenza terrorista che lo colpisce e, al contempo, dei diritti del popolo palestinese oppresso e umiliato, tuttora in attesa di una patria... Vi è la difficoltà di affermare con le parole ma anche con il concreto agire politico che il Libano deve essere rispettato nella sua integrità e che la sua popolazione non deve subire le ferite mortali di una guerra illegittima e inutile e, nel contempo, che Israele non può vivere sotto la minaccia costante e lo stillicidio di provocazioni da parte di forze armate che abitano e agiscono nel Paese confinante. Sì, è difficile per chiunque esprimersi e mantenere la razionalità senza cadere preda di ciechi fanatismi che vedono solo la propria posizione. I nostri giorni appaiono sempre più «cattivi», con un Mediterraneo orientale divenuto sempre più foriero di violenza, di guerra e, soprattutto, di un odio in crescita inarrestabile: perché dove attecchisce l’odio può solo nascere altra violenza e ogni terra diviene un deserto. Benedetto XVI si è rivolto con forza «a tutti i responsabili di questa spirale di violenza, perché immediatamente si depongano le armi da ogni parte», ha chiesto «di non risparmiare nessuno sforzo per ottenere la necessaria cessazione delle ostilità e per poter iniziare così a costruire, mediante il dialogo, una durevole e stabile convivenza di tutti i popoli del Medio Oriente». E in quest’ora tragica deve continuare «a elevarsi da ogni cuore la fiduciosa preghiera a Dio buono e misericordioso, affinché conceda la sua pace a quella regione e al mondo intero». Ma i credenti possono «solo» pregare? In verità, vissuta nella fede, la preghiera non è evasione dalla vicende umane, bensì una componente attiva della storia: pregare è prassi di pace perché immette nel vissuto concreto di uomini e popoli la speranza di una possibile conversione dei cuori, interrompe la spirale dell’odio e attiva quella di una solidarietà umana che tende all’amore, riafferma con la fragilità di povere voci la speranza che la pace è possibile perché nelle mani dell’uomo rimane la tragica responsabilità di scegliere ogni giorno tra il male e il bene.
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