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Il Foglio Rassegna Stampa
01.08.2006 Così l'Occidente sta perdendo la guerra asimmettrica
con un nemico che chiama "martirio" le stragi

Testata: Il Foglio
Data: 01 agosto 2006
Pagina: 1
Autore: la redazione
Titolo: «L’abuso politico delle emozioni - Da Khomeini a Beslan, nella mistica del martirio c’è l’“uso” dei bambini»

Dal FOGLIO del 1 agosto 2006, un editoriale sull'uso politico della tragedia di Cana:

Le lacrime non c’entrano. Di fronte a quel che è successo a Cana, e in questi venti giorni di guerra in Libano e in Israele, il dolore umano non può che essere smisurato. Ma la dismisura delle emozioni è in diretto conflitto con la ragione. La annulla, e apre la via al rischio più infame: l’abuso politico delle emozioni. Quella di Cana non è una strage, è il risultato tragico di un atto di guerra. E della guerra, lo diceva Montesquieu con pieno diritto, non è responsabile chi la dichiara e la combatte ma chi la rende necessaria. Esistono i crimini di guerra e le stragi terroriste: la strage di Srebrenica con l’obiettivo della vendetta e della pulizia etnica, i bombardamenti di Sarajevo sui civili, la decimazione etnica nel Ruanda o nel Darfur, il carnaio senza senso in atto nel Congo, l’attacco alle due torri del World Trade Center, gli attentati suicidi negli alberghi e nelle pizzerie di Gerusalemme, nelle stazioni di Londra e Madrid, l’uccisione dei bambini a Beslan, l’uso dei bambini come onda d’urto suicida fatto dai mullah iraniani durante la guerra con l’Iraq, le autobomba contro le moschee e gli ospedali e i posti di polizia in Iraq, il rapimento e la tortura e la decapitazione degli occidentali e dei filippini e dei nepalesi a Baghdad, i bombardamenti terroristici degli Hezbollah nel nord di Israele, la posizione tra i civili usati come scudi umani delle rampe di lancio dei missili Katiusha eccetera. I bombardamenti israeliani sul Libano non sono crimini, sono una guerra di autodifesa attraverso la quale un paese libero, minacciato nella sua esistenza da eserciti islamisti e dagli stati canaglia che li sostengono e li armano, cerca di fermare i criminali che ridono delle risoluzioni dell’Onu sul loro disarmo, che sono pronti pronti a far saltare gli accampamenti delle forze internazionali di interposizione come fecero 23 anni fa, che credono in una sola legge e in una sola convenzione, quella del jihad in attesa dell’arma atomica iraniana. A Teheran campeggia in questi giorni un manifesto gigante con la faccia di Nasrallah e la frase chiave della nuova stagione jihadista: Israele deve essere cancellata dal mondo. Chi non riconosce questo stato di fatto si rende colpevole, naturalmente con le migliori intenzioni, di uno spregevole abuso politico delle emozioni. I bambini di Cana muoiono due volte quando sono usati per la richiesta di un immediato cessate il fuoco, nel tentativo di isolare e dividere Israele e di contrastare lo sforzo diplomatico angloamericano perché alla tregua si arrivi con la sconfitta degli Hezbollah e dei loro mandanti siriani e iraniani. La divisione dell’occidente sta andando verso un punto di non ritorno, se è vero che il ministro degli Esteri francese in visita a Beirut ha dichiarato che l’Iran è un grande paese e una forza decisiva di stabilizzazione del medio oriente. Un coacervo di interessi mascherato da ideologia umanitaria che procede a senso unico sta dietro a questa deriva diplomatica e politica. E il fronte più importante su cui si attesta la battaglia per impedire questa deriva, alla pari con quello politico e militare, è la conquista dell’opinione pubblica internazionale, devastata dalla cultura del piagnisteo coltivata dai media. I jihadisti chiamano martirio le loro stragi e i loro crimini, sacralizzandoli, noi chiamiamo stragi le azioni di guerra che tentano di sradicare gli eserciti della guerra santa. Se questa è la guerra asimmetrica, l’abbiamo già persa. E non solo nel campo di battaglia del linguaggio.

A pagina 2, una ricostruzione storica dell'uso jiahdista del "martirio" dei bambini. Ecco il testo:

Roma. Nell’aprile del 2003, l’inviato del Corriere della sera, Lorenzo Cremonesi, arrivato a Baghdad dopo la caduta di Saddam Hussein, pubblicò un resoconto che ben spiegava la cinica speculazione jihadista sulla morte dei bambini. Per dare forma alla leggenda – inventata e falsa – della morte di 300 mila bimbi a causa del boicottaggio imposto dall’Onu, Saddam Hussein obbligava le famiglie dei piccoli deceduti per le cause più varie a conservarne i corpi per mesi, in obitori dai frigoriferi malfunzionanti. Poi, a scadenza fissa, sotto gli occhi dei media, organizzava cortei di due-trecento piccole bare, macabre cerimonie di propaganda contro gli Stati Uniti. Ecco un esempio dell’uso strumentale della morte dei bambini come formidabile strumento di propaganda per la “piazza araba”, punto forte della pratica politica del fondamentalismo islamico. Oggi, dunque, si deve guardare alla strage di Cana tenendo presente questo retroterra: è infatti possibile che l’aviazione israeliana abbia compiuto un tragico errore e massacrato colpevolmente decine di bambini innocenti. Ma è più che probabile che invece sia vera la versione sostenuta dal leader laburista e ministro della Difesa israeliano, Amir Peretz: l’edificio colpito era sì pieno di bambini, ma proprio perché era usato da Hezbollah come piattaforma dei razzi contro Israele ed essi –in previsione di un nattacco aereo – sono stati volutamente usati come scudi umani. Uno scenario attendibile, poiché da trent’anni l’uso dei bambini come “carne da cannone” da parte dei khomeinisti iraniani, di Hezbollah e dei terroristi palestinesi è una costante fissa. Di nuovo sul Corriere della sera del 31 ottobre 2004, un’inviata raccontò il suo incontro col pericoloso terrorista Nasser Jamal, capo delle Brigate dei Martiri di al Aqsa di Nablus “in una casa in cui la televisione è accesa e trasmette un cartoon di Tom e Jerry, seguito da una schiera di bambini che sono lì a fargli da scudo”. Sono migliaia gli episodi che dimostrano come i fondamentalisti siano ormai abituati a compiere scelte feroci contro civili e bambini. Scelte che mai, assolutamente mai, sono state di altri movimenti di liberazione nazionale nel mondo. Regola d’onore di tutte le guerre popolari, le guerriglie, le lotte partigiane è stata sempre e ovunque quella di separare combattenti, covi, azioni militari dal proprio contesto sociale e famigliare. Innumerevoli episodi di eroismo, durante la Resistenza europea, raccontano di partigiani che si sono sacrificati per impedire che scontri a fuoco coinvolgessero la popolazione civile. Nell’islam fondamentalista, invece, si è radicato un fenomeno opposto, che punta volutamente a imporre all’avversario l’obbligo di uccidere anche vecchi, donne e bimbi, se vuole conseguire fondamentali obiettivi militari. Non è stata soltanto una scelta di fatto. E’ stata una scelta ideologica, addirittura concretizzata in una precisa norma di diritto islamico dall’ayatollah Khomeini che, nel 1982, durante la guerra con l’Iraq, introdusse un’orribile riforma nella mistica del martirio. Con una legge di stato, l’imam infatti stabilì che i bambini potevano essere arruolati anche se il loro padre non lo autorizzava. In un paese martellato dalla mistica della morte, in cui le fontane delle “piazze dei martiri” ribollivano di acqua rosso-sangue, questa legge degna di Erode permise al regime di convogliare al macello una torma di innocenti. Lo scrittore Amir Taheri così ne descrive le conseguenze: “Decine di migliaia di adolescenti, con una fascia rossa sulla fronte, si riversano nella zona di guerra. Alcuni bonificano i campi minati andando in avanscoperta e spesso saltano in aria. Altri agiscono come attentatori suicidi e attaccano i carri armati iracheni come kamikaze. Vengono inviati al fronte scribi per annotare le loro ultime volontà, che molto spesso sono in forma di lettera a Khomeini e parlano della luce che egli ha portato nella loro vita e della gioia di combattere “a fianco degli amici sulla via del Paradiso”. Khomeini dichiara: “Morire non significa annullarsi, significa vivere”. Questa pratica erodiaca contagiò subito Hezbollah e poi Hamas e al Fatah. Tutta l’Intifada palestinese dal 2000 al 2004 è stata così organizzata con una fanatica esaltazione del “martirio”; migliaia di adolescenti sono stati addestrati nei “campi dei martiri” da feroci “istruttori”, incitati alla morte da una martellante propaganda della televisione dell’Anp e a decine sono stati mandati a farsi saltare in aria in mezzo a civili israeliani. Il tutto esaltato dalla televisione dell’Anp con efficacissime videoclip di lode ai martiri –come Ayyat al Akhras, la prima diciassettenne kamikaze, che assassinò Rachel Levy, anche lei di 17 anni – ed elaborato in appositi talk show, accompagnati da sondaggi dal titolo inequivocabile, come questo, del quotidiano ufficiale dell’Anp Al Hayat al Madida del 18 giugno 2002: “L’ottanta per cento dei bimbi di Gaza ha espresso la volontà di diventare martire”. La strage dei bambini di Beslan a opera dei fondamentalisti ceceni ha infine segnato, nel 2004, il culmine di questa pratica di morte.

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