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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
31.07.2006 Conclusioni affrettate e ingiuste
sull'esito della guerra e sulle responsabilità di Israele

Testata: Corriere della Sera
Data: 31 luglio 2006
Pagina: 1
Autore: Gianni Riotta - Antonio Ferrari - Guido Olimpio
Titolo: «La feroce verità - Per il villaggio martire è la seconda volta - Tra bombardamenti e scudi umani, a pagare sono i civili»
In un editoriale pubblicato in prima pagina dal CORRIERE della SERA del 31 luglio 2006 Gianni Riotta dà per scontato che le operazioni militari isrealiani dovranno interrompersi lasciando ad Hezbollah una consistente forza militare e una vittoria politica.
Ma non si tratta di un esito scontato. Su di esso influiranno certamente la posizione della comunità internazionale e gli orientamenti dell'opinione pubblica,
Sta ai politici e ai giornalisti dire con chiarezza che la pace in Medio Oriente richiede il completo disarmo di Hezbollah
Ecco il testo:
  

 Leader confusi, diplomatici impotenti, osservatori ingenui, chiunque si illudeva di una pace a breve tra Israele ed Hezbollah libanesi si scontra a Cana con quella che lo scrittore russo Vasilj Grossman chiamava «La feroce verità della guerra». Tv e Internet ammoniscono: «Le riprese possono turbarvi» e non riesco a immaginare chi non sia straziato, nell’anima, dai corpi senza vita dei bambini di Cana, occhi sbarrati, manine impolverate, povere magliette che dovremmo vedere all’asilo, lacerate in sudario. La strage di innocenti, donne troppo povere per sfuggire con i figli alla guerra aerea, pesa sulla nostra coscienza. I cadaveri non sono ancora calati nella insanguinata terra libanese e già comincia la controffensiva psicologica. Il governo di Beirut, gli europei, l’Onu di Kofi Annan accusano Israele di non avere ascoltato gli inviti alla moderazione nel reagire alla tempesta di razzi che lo sceicco Nasrallah scatena sul Nord del Paese. Hezbollah, e la poderosa armata della propaganda fondamentalista sul web, arruolano quei volti strappati alla vita nella campagna di odio contro «gli ebrei e il Satana americano». Israele riconosce il tragico errore sospendendo i bombardamenti per 48 ore, ma ricorda che Hezbollah intreccia miliziani e civili, rampe di missili e case, moschee e ospedali, rendendo impossibili raid senza vittime tra i non combattenti. La feroce verità della guerra è che Hezbollah vuole attirare Israele in dieci, cento, mille Cana, come predicava Guevara, maestro di guerriglia. Nasrallah lancia i suoi missili per innescare una replica che—ne è cosciente—farà poi strage cieca di cittadini inermi, diffondendo odio contro Gerusalemme e solidarietà per le sue gialle bandiere di vendetta. La diplomazia, ostaggio della guerra, dall’Onu, alla testarda signora Rice, agli europei, al ministro D’Alema (l’Italia si sta impegnando con generosità) è premiata dall’esile tregua di oggi e domani. Il premier israeliano Ehud Olmert ripete «servono almeno 15 giorni» per demolire le fortificazioni Hezbollah, erette in spregio della risoluzione 1559 dell’Onu. Nessuno sa come ingaggiare Iran e Siria, sponsor di Hezbollah, nel dialogo. Si proverà ora a convincere Gerusalemme a prolungare il cessate il fuoco per più di due giorni, riaprendo colloqui con il governo di Fouad Siniora, schiacciato dalle stragi su Hezbollah, con la Siria pronta però a rifornire di missili gli arsenali. Ma anche Olmert deve riflettere sulla feroce verità della guerra: i suoi blitz non bastano a disarmare Hezbollah. Malgrado le profezie del generale Giulio Douhet, il Clausewitz dell’aria, nessuna campagna, tranne quella contro Milosevic nel 1999, è stata vinta solo dall’aviazione. E scatenare la fanteria precipiterebbe l’intera regione nel caos. Siano due, o più, le giornate di tregua, è alla trattativa che si dovrà tornare, con Hezbollah rafforzata dalla violenza che ha scatenato ad arte. La feroce verità della guerra del luglio 2006 si chiama morte per i bambini libanesi, terrore per le città di Israele e fine di ogni precario equilibrio in Medio Oriente.

Antonio Ferrari, in un articolo che ricorda la tragedia di Cana nel 1996, condanna con troppa fretta Israele per quella di dieci anni dopo, negando di fatto il suo diritto di difendersi dagli attacchi di Hezbollah, il vero responsabile della strage.
Ecco il testo: 


Sembrava scritto negli immutabili disegni del destino che la nuova tragedia, e insieme la svolta della guerra avvenissero a Cana, che da dieci anni è il villaggio-simbolo del martirio libanese. Nel 1996 il bombardamento israeliano di un centro profughi delle Nazioni Unite costò la vita a 100 innocenti e la vittoria elettorale al premier Shimon Peres, perché gli alienò il sostegno degli arabi-israeliani. Il governo di Gerusalemme e l'agonia del processo di pace, nato con gli accordi di Oslo, furono consegnati all'alfiere della destra più intransigente, Benjamin Netaniahu, che era stato l'avversario politico più ostinato di Yitzhak Rabin, il primo ministro ucciso pochi mesi prima da un estremista ebreo, Yigal Amir.
Già dieci anni fa alcuni si affrettarono a indicare la Cana libanese e non la più probabile Cana della Galilea come il luogo dove Gesù, secondo la tradizione cattolica, compì il miracolo di trasformare l'acqua in vino alle nozze. Lo sostennero perché il Nazareno soggiornò per un breve periodo nella vicina Tiro. Nelle scene di devastazione e di disperazione che sfilarono davanti ai nostri occhi di testimoni vi era, per intero, il senso di una tragedia che molti, soprattutto cristiani, vollero vestire di richiami evangelici. Èpur vero che nel villaggio libanese, allora come adesso, si nascondevano i guerriglieri dell'Hezbollah, ma la diffusa convinzione di essere vittimedi una punizione collettiva prevalse sul resto. Il sacrificio di Cana divenne l'icona della resistenza libanese: medaglie emonete, coniate dalla zecca della Repubblica, la celebrarono «per non dimenticare».
Ma se la strage del 1996 fu quasi un episodio isolato, e non fu difficile, da parte israeliana, attribuirlo a un «imperdonabile errore», quella di ieri non ha giustificazioni militari o strategiche. Le immagini dei corpi straziati di altre decine di vittime innocenti, soprattutto bambini, che si trovavano nella palazzina bombardata, vanno ad alimentare il crescente rancore della popolazione libanese, prostrata da tre settimane di guerra, dalla distruzione sistematica delle infrastrutture del proprio Paese che era risorto dopo sedici anni di conflitto civile, dalla moltiplicazione biblica dei rifugiati in casa propria, dal prorompente sentimento di sentirsi vittime non soltanto dei bombardamenti israeliani, giustificati dalla necessità di difendersi legittimamente dai missili dell'Hezbollah, ma dell'indifferenza del mondo. Il premier libanese Fouad Siniora, che tutto il mondo aveva salutato con entusiasmo come il capo di un governo democratico, è così infuriato da accusare Israele d'essere «criminale di guerra» e di ringraziare l'Hezbollah e il leader Nasrallah per «sacrificare la propria vita all'indipendenza e alla sovranità del Paese». E la gente, accecata dall'ira, si scaglia contro il palazzo dell'Onu, nel centro di Beirut, considerato monumento all'impotenza, all'indifferenza, all'ipocrisia.
Il ministro della Difesa israeliano, il sindacalista e leader laburista di origine marocchina Amir Peretz, sostiene che i terroristi dell'Hezbollah «si fanno scudo della popolazione civile». In parte ha ragione, ma forse sottovaluta che la stragrande maggioranza dei libanesi è vicina ai combattenti. Oggi più di ieri. Il gravissimo rischio, insomma, è che il fronte del consenso alla guerra contro lo Stato ebraico cresca esponenzialmente, producendo l'allargamento di un conflitto chiaro nelle sue motivazioni, oscuro nei suoi obiettivi.
Di quel cessate il fuoco, che la conferenza di Roma non era riuscita ad imporre, è ormai convinta anche Washington. «È giunto il momento della tregua», ha dichiarato, a Gerusalemme, il segretario di Stato Condoleezza Rice. Compito difficile il suo, non soltanto nei confronti del premier israeliano Ehud Olmert, refrattario ad accettarla, ma della stessa amministrazione Usa, al cui interno si sono prodotte visibili divergenze. È imperativo fermare gli oltranzisti, ovunque si trovino. Perché se non si riesce ad imporre un minimo di ragionevolezza, vuol dire che dietro questa guerra vi sono forse altre motivazioni, che neppure i governi più potenti del mondo riescono a controllare e a neutralizzare.

Guido Olimpio, nel suo commento, si dice certo che Israele potesse sapere della presenza di civili nell'edificio di Cana.
Un assunto indimostrato al servizio di una conclusione ingiusta: se gli Hezbollah si fanno scudo di civili libanesi, Israele deve astenersi dal difendersi e lasciare che vengano uccisi i suoi civili?
Ecco il testo:

Purtroppo era solo questione di tempo. Una strage come quella compiuta a Cana sembrava inevitabile, a causa del comportamento dei due contendenti e in particolare dal massiccio uso di raid aerei sui centri abitati.
Gli scudi. L'Hezbollah si fa scudo dei civili. E' una tattica deliberata. Lo provano le immagini diffuse in queste giorni: i camion-lanciatori sparano razzi da un villaggio, poi si nascondono in garage ed edifici. In altri casi i guerriglieri hanno organizzato i loro uffici in palazzine abitate da famiglie e nel sud ottengono ospitalità — con la forza, con il denaro e volontariamente — dalla popolazione. I militanti, quando non proteggono le roccaforti, sono fantasmi. Si definiscono «il partito di Dio», ma hanno poco rispetto verso il prossimo. L'Hezbollah ha tenuto giornalisti in ostaggio per sette anni, molti occidentali finiti nelle sue mani non sono più tornati e i kamikaze hanno messo a segno attentati con centinaia di vittime. A Beirut e Buenos Aires. Quindi niente prediche da questo pulpito.
I raid. Neppure Israele usa i guanti e il massacro non ha giustificazione alcuna perché Gerusalemme ha gli strumenti per evitarlo. Gli israeliani vanno orgogliosi della loro intelligence, mostrano immagini tridimensionali del territorio nemico, dispongono di aerei-spia, affermano di sapere cosa si nasconde in un anonimo edificio.
L'aviazione ha colpito la casa di Cana — è la versione ufficiale — perché gli Hezbollah tiravano razzi da quella posizione. Sostengono che le mura sono crollate dopo 7 ore dal raid, insinuando che vi sia stata un'esplosione di munizioni. Ora, se sono stati capaci di smascherare l'inganno, dovevano essere in grado di scoprire la presenza dei civili o forse presumerla. Una cautela suggerita dalla stessa accusa mossa al nemico di «nascondersi dietro i civili». E che non può essere una scusa per demolire un edificio. Certo, ribattono i pragmatici, questa è la guerra. Ma Israele non ha deciso come combatterla. Da un lato colpisce in modo pesante, dall'altro si trattiene da usare tutto il potenziale. Alla fine pagano gli innocenti.
Altro dato. Negli ultimi giorni sono decine i casi di auto con civili centrate dai missili israeliani. Di nuovo. Sicuramente gli Hezbollah si servono di mezzi normali per trasportare le katiuscia verso sud, ma questo non autorizza a incenerire tutto quello che si muove. Perché insieme ai militanti si cancellano intere famiglie senza però riuscire a fermare i lanci di razzi. Qualcosa non funziona nella strategia. Dopo settimane di incursioni, gli Hezbollah riescono a spararne dozzine alla volta. Ieri 147, malgrado Cana.

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