Un' "informazione" che fa il gioco di Hezbollah cronache e commenti incitano all'odio per Israele
Testata: La Repubblica Data: 31 luglio 2006 Pagina: 4 Autore: Antonio M. Cassese - Bernardo Valli - Daniele Mastrogiacomo - Arturo Zampaglione Titolo: «Chi È colpevole del sangue degli innocenti - Oltre ogni regola del diritto - Cana, la strage dei bambini 60 morti in un raid israeliano - La guerra diversa sulle Tv Usa e arabe»
La REPUBBLICA del 31 luglio 2006 pubblica a pagina un articolo di Antonio M. Cassese che costituisce un perfetto esempio dell'uso distorto del diritto internazionale, oggettivamente favorevole al terrorismo e alle sue spietate tattiche, denunciato da Alan M. Dershowitz Ecco il testo:
Nel conflitto in Libano i nodi sono politici e militari. Per scioglierli occorre la forza della diplomazia e della politica. Ma prima di arrivare alla soluzione negoziale, che deve intervenire il più presto possibile, è indispensabile imporre alle parti al conflitto di attenersi alle «regole del gioco» dettate dalla comunità internazionale. Queste regole stabiliscono cosa si può fare e cosa invece è vietato. In tempo di guerra sono essenziali, perché perseguono due scopi importantissimi: interdire certi comportamenti per rendere meno disumana la barbarie della guerra; evitare che la violenza causi tali orrori e inasprisca tanto gli animi, da rendere difficile il ritorno alla pace. L´ultimo episodio terribile dell´uccisione di 54 civili da parte di Israele, a Cana, rende necessario chiedersi come le parti al conflitto mediorientale hanno calpestato quelle regole, sin dai primi giorni del conflitto. L´uccisione di tre militari israeliani e la presa in ostaggio di altri due da parte di Hezbollah, il 12 luglio, è un atto grave, che però in tempi normali legittimerebbe, tra Stati sovrani, solo il ricorso al negoziato per la restituzione degli ostaggi e la richiesta che il Libano punisse i colpevoli di quei crimini. In questo caso, però, la reazione iniziale di Israele, il ricorso alla forza armata in legittima difesa, era giustificata. Infatti quegli atti non promanavano da uno Stato, ma da forze armate che operano in Libano sfuggendo al controllo del governo libanese: non sarebbe dunque servito a niente esigere dalle autorità di Beirut la riparazione dell´illecito. Quell´attacco si inseriva poi in una serie di episodi violenti da parte di Hezbollah. Inoltre Israele legittimamente collegava il rapimento dei due militari all´azione di Hamas nei territori occupati e vi leggeva un piano concertato di azione violenta. Ma quella reazione israeliana, se inizialmente legittima, è poi andata al di là di ciò che è consentito dal diritto umanitario. Kofi Annan e D´Alema, tra gli altri, hanno parlato di reazione «sproporzionata». Un eminente politico italiano che è anche un fine giurista, Giuliano Amato, ha ritenuto invece assurdo chiedersi se quell´azione fosse «proporzionata», «come se si trattasse di ragioneria e non della sopravvivenza di uno Stato»; a suo avviso «è ipocrita accusare ogni volta di eccesso chi viene aggredito». Ieri vari statisti hanno condannato il massacro di Cana, e il ministro degli Esteri britannico l´ha definito un attacco sproporzionato. Sin dall´inizio Israele ha addotto varie ragioni per giustificare la sua azione militare: il bombardamento dell´aeroporto di Beirut sarebbe stato diretto a «negarne l´uso ad Hezbollah per il trasporto di armi» e per «un eventuale trasferimento dei militari israeliani catturati al di fuori della zona»; la distruzione di decine di ponti, autostrade, viadotti, di centrali elettriche e di impianti radiotelevisivi, sarebbe giustificata dalla necessità di impedirne l´uso da parte di Hezbollah, così come il bombardamento di tutta Beirut sud, dove Hezbollah ha le sue centrali operative, sarebbe inteso a distruggere gli immobili in cui si annidano i dirigenti di quella milizia politico-militare. Queste argomentazioni non convincono. Se una singola operazione militare può apparire giustificata, è il loro insieme che rende palese la radicale sproporzione tra il fine che ci si prefiggeva (porre termine agli attacchi di Hezbollah ed ottenere la restituzione degli ostaggi) e i mezzi usati (la distruzione immediata e su vasta scala di tutta la infrastruttura libanese, con gravissimi effetti sulla popolazione civile). La proporzionalità è un principio che intende non solo introdurre un minimo di ragionevolezza in quella «summa» di irrazionalità che è la guerra, ma soprattutto limitare lo scempio. La proporzionalità non si può certo misurare con il bilancino. Essa però intende impedire almeno gli eccessi clamorosi. Se, per difendermi da un uomo che mi ha inferto una pugnalata e sta per vibrarmene un´altra uccido non solo lui ma anche la figlia che gli sta accanto, compio un atto sproporzionato. Se, per uccidere un pericoloso terrorista, lancio di notte, quando tutti dormono, una bomba di una tonnellata su un edificio a tre piani, ammazzando insieme al terrorista 15 civili e ferendone 120, compio un atto sproporzionato (è quel che è successo, a Gaza, il 22 luglio 2002, e per quell´azione è in corso un processo civile negli Usa contro A. Dichter, allora capo dello Shin Beth e ora ministro per la Sicurezza in Israele). Quanto al bombardamento di Cana, esso è palesemente contrario all´obbligo di adottare tutte le precauzioni necessarie per evitare l´uccisione di civili che si trovano nei pressi di obiettivi militari: ovviamente invitare con volantini la popolazione civile ad evacuare un´intera regione, non basta. Inoltre la sproporzione tra la morte di quei civili e la necessità di neutralizzare militanti Hezbollah che lanciavano razzi da edifici vicini, è palese. Hezbollah non è da meno, nel violare il diritto umanitario. La presa di ostaggi è un grave crimine internazionale (i due militari israeliani catturati sono ostaggi e non prigionieri di guerra perché vengono usati come mezzo di scambio, ed inoltre è negato alla Croce Rossa Internazionale di avere accesso ad essi). Oltre a ciò, i razzi che Hezbollah ha cominciato a lanciare nel nord di Israele il 13 luglio, quasi contemporaneamente alla violenta reazione militare di Israele, sono armi oggettivamente indiscriminate, come le V2 che i tedeschi lanciavano su Londra. Quei razzi non sono tanto precisi da colpire solo obiettivi militari e quindi uccidono indiscriminatamente civili e militari. Il loro uso costituisce un crimine di guerra. La grave e continua violazione, da entrambe le parti, delle più elementari regole sulla condotta della guerra sta avendo conseguenze catastrofiche per i civili, ha riportato il Libano indietro di venti anni ed ha messo in ginocchio le economie libanese e nord-israeliana. Il conflitto ha assunto le proporzioni di una guerra all´ultimo sangue. Una delle condizioni essenziali per il ritorno alla pace è la cessazione immediata degli intollerabili eccessi in corso. Il ministro D´Alema, che ha già promosso un´importante iniziativa di pace, dovrebbe premere sui belligeranti perché si attengano ai principi elementari del diritto umanitario. Egli potrebbe anche riprendere l´ammonimento dei giorni scorsi di L. Arbour, l´Alto Commissario dell´Onu per i diritti umani: le violazioni gravi del diritto umanitario costituiscono crimini internazionali e rendono dunque penalmente responsabili i loro autori. D´Alema dovrebbe ricordare alle parti che tutti i tribunali del mondo potranno (in certi casi dovranno) processare i presunti responsabili di quei crimini.
Equiparazione morale tra Israele ed Hezbollah anche nell'editoriale di Bernardo Valli pubblicato in prima pagina, che con una retorica incitante all'odio descrive un'Israele macchiato del sangue innocente dei bambini libanesi. Ecco il testo:
Il sangue di Cana è schizzato in faccia a tutti. E´ sangue di innocenti (trentasette bambini su sessanta vittime) e non sarà facile cancellarlo. Domenica mattina è traboccato dai teleschermi su cui da diciannove giorni si inseguivano le immagini dell´Europa in vacanza e quelle del Libano sotto le bombe e degli israeliani nei rifugi di Galilea. Erano diventate una routine. La strage di innocenti ha rivelato, imposto il crudo orrore di quel conflitto, abbattutosi su un paese appena ricostruito, e già semidistrutto. Un paese che ospita una guerriglia indomabile, ma anche la sola società (quasi) democratica del mondo arabo. Va detto subito che il sangue si è riversato su una platea molto vasta di responsabili: protagonisti diretti e indiretti, spettatori potenti e impotenti. Ha imbrattato gli israeliani, certo, poiché israeliani erano i missili che hanno provocato il massacro. Ed ora sull´immagine dello Stato ebraico risalta vistosa, non soltanto per gli occhi arabi, una macchia di sangue. Questa nuova strage non fa certo scendere nella regione il mercurio che misura l´odio nei suoi confronti. Il desiderio di vendetta dilaga, è palpabile nelle società arabe dove si assiste al lamento straziante, riproposto senza sosta da tutti i teleschermi, di Mohamed Chaloub, che ha perduto i cinque figli, di cui uno di due anni. La rabbia è subito esplosa a Beirut e si è accanita contro la sede dell´Onu, simbolo dell´impotenza, anche se era diretta contro gli Stati Uniti e Israele. L´eco di quella collera arriva forte, assordante anche a Gerusalemme, a Haifa, a Tel Aviv, dove si avverte con chiarezza quanto quell´esplosione di odio sia annunciatrice di altre tragedie. Cana è un nome maledetto: dieci anni fa, nell´aprile 1996, un´incursione di rappresaglia israeliana, promossa in seguito ad azioni di hezbollah, fece cento morti. E costò al laburista Shimon Peres una inaspettata sconfitta elettorale, poiché gli arabi israeliani alcuni giorni dopo non gli perdonarono quell´incursione e gli negarono i voti indispensabili. La vicenda mediorientale si ripete nella sua tragica monotonia. Spesso in peggio. Questa volta la strage riguarda soprattutto degli innocenti. La macchia non risparmia neppure gli hezbollah, che muovendosi tra la popolazione civile la espongono alle rappresaglie. La usano come uno scudo. I militari israeliani si sono naturalmente prodigati nel dimostrare che da quella casa di Cana presa di mira della loro aviazione partivano i missili diretti su Kiryat Shmona e Aufula, due località della Galilea occidentale. E´ assai probabile che l´accusa sia esatta. Ma Israele, che dispone di una forza militare molto più potente e sofisticata dell´avversario, ha anche responsabilità alle quali uno Stato sovrano (e in questo caso democratico), non può venir meno. Un errore «collaterale» come quello di Cana assomiglia a una rappresaglia collettiva e indiscriminata. Ad essa assomiglia del resto l´intera operazione libanese, cosi come viene condotta dallo Stato maggiore israeliano. Venti giorni fa, all´avvio dell´operazione contro gli hezbollah, furono in molti a definire giusta o giustificata la reazione israeliana. Dietro gli hezbollah ci sono la Siria e soprattutto l´Iran, si disse, e quindi la risposta alle loro provocazioni, non può che essere forte e immediata. Tre settimane dopo quella risposta giusta è diventata qualcosa che assomiglia, appunto, a una rappresaglia collettiva. La strage degli innocenti di Cana appesantisce questa impressione. Nelle crisi più acute le critiche rivolte a Israele possono apparire spesso dettate da un moralismo spicciolo, che non tiene conto della realtà mediorientale. Ma c´è una costante che solleva molte perplessità anche nella società israeliana. In particolare l´abitudine, ormai quasi un dogma, con cui i governi di Gerusalemme agiscono unilateralmente, ossia senza trattare con le forze che si trovano di fronte. Nel 2000 Israele si ritirò unilateralmente dal Libano meridionale, e così l´estate scorsa si è ritirata da Gaza. Senza rendere partecipe Abu Mazen, il leader palestinese moderato, in quell´occasione umiliato e squalificato agli occhi dei suoi, che alle elezioni gli hanno poi preferito i leader di Hamas. Non pochi nell´opposizione israeliana attribuiscono a questo atteggiamento («sprezzante») parte dell´ostilità di cui è circondato lo Stato ebraico. E parlano di un´arroganza ancor più evidente su un piano militare, dove la superiorità è schiacciante. Il sangue di Cana, come dicevo all´inizio, è tuttavia schizzato sulla faccia di tutti. Non solo su quella dei protagonisti diretti. Gli spettatori potenti, in prima linea gli Stati Uniti, ne hanno ricevuto una buona dose. Dopo la strage degli innocenti, rifiutando di ricevere a Beirut Condoleezza Rice, come previsto, Fuad Siniora, il primo ministro libanese, ha denunciato con coraggio la responsabilità americana nel dramma. Soltanto la superpotenza può pesare in modo determinante sul governo israeliano. E´ cosi da decenni. In questo caso non poteva fermare bruscamente un´operazione militare, che interrotta avrebbe perduto la sua efficacia, ma era senz´altro in grado di imporre un certo ritegno nelle azioni militari. E comunque avrebbe potuto impegnarsi di più nel tentare di convincere Israele a trattare con gli avversari. Con chi si tratta se non con i nemici? Per ora l´America ha ottenuto una sospensione dei bombardamenti di 48 ore, per permettere ai civili di lasciare il sud Libano sotto attacco. Una semplice parentesi nel dramma? L´unilateralismo è una prerogativa degli onnipotenti. In queste occasioni ricordo sempre quel che dice Amos Oz: ai finali shakespeariani, in cui la scena è cosparsa di cadaveri, lui preferisce i finali cecoviani, in cui sulla scena restano personaggi melanconici e scontenti, ma vivi.
Arringa contro Israele nella cronaca di Daniele Mastrogiacomo, secondo il quale Israele "doveva sapere" della presenza di civili nella casa (non vi è alcun motivo per avere questa convinzione: la tecnologia israeliana non è infallibile ed'è ovviamente utilizzata soprattutto per individuare gli hezbollah e le loro armi ). E, nel caso, doveva ovviamente accettare che da essa gli Hezbollah uccidessero i suoi civli. La distruzione nel corso del bombardamento della lapide della strage di Cana del 96 (provocata da un altro errore isrealiano e ancora dalla tattica criminale di Hezbollah) porta Mastrogiacomo a lanciare un'assurda accusa:Israele avrebbe ora compiuto"Una strage per cancellare la memoria" Ecco il etsto:
TIRO - I corpi arrivano a gruppi, avvolti dentro sacche di plastica trasparente. Barellieri, portantini, volontari della Mezza luna rossa li afferrano con delicatezza, se li passano di mano in mano, le braccia sollevate, in una catena che si stende dai camion all´androne dell´ospedale. Cana è devastata dal lutto e dai bombardamenti. C´è silenzio. Un silenzio che la morte, l´orrore, lo sdegno, rendono ancora più cupo, più profondo. I corpi sono scomposti, come bambole di pezza. Un piede girato su un lato, una gamba piegata dietro la schiena, una testa adagiata sulla spalla. Sono corpi di donne e di tantissimi bambini. Corpi che non hanno età, un nome, una storia. Solo un numero e un epitaffio: martire. E´ stata una strage, un massacro, una vera mattanza: 60 morti, finora. E tra questi 37 bambini, tra i 2 e i 7 anni. «Quindici di questi erano disabili mentali» ha detto all´Afp Bahia Hariri, deputata del Libano del Sud. La più grave, la più feroce, la più inspiegabile di una guerra senza più regole e senza più vergogna. Per la seconda volta in 10 anni, Cana, il villaggio dove è ambientato l´episodio evangelico del miracolo di Gesù durante un banchetto di nozze, 7 chilometri dal confine sud del Libano, paga un tributo di sangue altissimo. Lo paga ancora una volta per mano israeliana. Squadriglie di F 16 con la Stella di David hanno martellato sabato notte l´intera area e concluso il loro raid con un bombardamento massiccio su una palazzina di tre piani nei cui sotterranei avevano trovato riparo cento civili terrorizzati. Le nuove bombe, potenti e precise, fornite dagli Usa ad Israele proprio negli ultimi giorni, hanno fatto crollare l´intera struttura in cemento armato che ha sommerso di detriti il fragile rifugio. La notizia irrompe nelle case e nelle strade di un Libano ancora stordito da una pace che appare lontanissima, ha la forza di una frustata che colpisce dentro. Le tv libanesi, i grandi network arabi del paesi del Golfo trasmettono immagini raccapriccianti. Si vedono i primi soccorritori che arrancano tra i detriti della casa, scavano con le mani, s´infilano nel sotterraneo, avanzano a fatica, traballando. Cercano, guardano, muovono i detriti. Lentamente, discreti, con rispetto. Non c´è affanno. Non si urla, non si grida, non si impreca. C´è solo un grande silenzio di morte. Gambe di donne, braccia di bambini, corpi di uomini anziani. Sono spunzoni tra le macerie. I volontari continuano a scavare e continuano a trovare. Liberano i cadaveri, li puliscono dalla polvere e dal terriccio. Li sollevano, li portano all´esterno. Li coprono con stracci, coperte e lenzuoli. Alcuni bambini hanno gli occhi ancora aperti, sbarrati dall´ultimo spasimo. Molti sono morti sul colpo, sotto il peso delle tonnellate di macerie piombate dall´alto. Ma altri, chissà quanti, sono rimasti lì per ore, in agonia, soffocati lentamente dalla terra, dalla polvere, con le bombe che continuavano a cadere. Era l´una di notte. Non c´era anima viva nel villaggio. Chi era rimasto, a quell´ora, stava rintanato nelle poche case rimaste in piedi e nei garage, nei depositi dei negozi improvvisati come rifugi. Non c´erano miliziani di Hezbollah. Anche Israele traballa davanti ad una strage così efferata: «Da dietro quella casa, nei giorni scorsi, erano stati sparati decine di razzi contro le nostre città. Abbiamo le immagini che lo dimostrano». E poi una seconda motivazione che offende il buon senso: «Avevamo avvertito la popolazione che avremmo bombardato. Eravamo convinti che non ci fossero più civili». Sappiamo con certezza che il sistema di sorveglianza aereo israeliano dispone di satelliti e «droni» che fotografano ogni cosa fino a mezzo metro d´altezza. Lo fanno in piena libertà: di giorno e di notte. Il Libano è un paese cieco, senza difesa aerea, senza più radar, senza artiglieria che possa dare fastidio. I satelliti vedono tutto. Devono per forza aver visto che dentro quella palazzina, nei sotterranei, una struttura adesso indicata da Israele come un covo di terroristi, si erano rifugiate cento persone, donne e bambini. Piccoli; due, tre, quattro anni. Se fossero stati scudi innocenti di Hezbollah, tra le macerie, attorno e dietro quel rifugio, si sarebbero trovate tracce dei «katyusha». Non è stato trovato niente. Israele fornisce la sua prova: un filmato in cui si vede un camion che lancia dei razzi e poi rientra in un palazzo. Ma non si sa se sia quello di Cana. Chi ha visto ieri mattina il villaggio ha trovato ben altro. Si è affacciato su un paese come squassato da un terremoto. L´80 per cento delle case sono state distrutte, la maggioranza rasa al suolo. Non ci sono vie di fuga, le strade sono ridotte ad un colabrodo. Manca l´elettricità, i distributori di benzina sono stati colpiti e incendiati. Senza gasolio non si possono attivare i generatori, non si può pompare acqua dai pozzi, non si può fare il pane, bere, cucinare, lavarsi. Da Cana non si può fuggire. Si rischia di essere ammazzati come animali braccati. Chi dirige le operazioni punta a fare terra bruciata. Ci è riuscito. Ma chi è rimasto non lo ha fatto per solidarietà con Hezbollah. Lo ha fatto perché non aveva scelta. Non c´era più modo di uscire da quella trappola. Chi ha tentato di prendere il largo, armato di grande coraggio, ci ha rimesso la pelle. Gli «Apache» continuano a sparare su qualunque cosa si muova. Gli stessi soccorritori hanno avuto difficoltà per raggiungere Cana. Le strade sono interrotte; perfino le ruspe, i trattori, i camion con i volontari sono rimasti bloccati. Hanno scoperto questa mattanza sei ore dopo, con la luce, quando qualcuno degli scampati è riuscito a raggiungere altri paesi e ha dato l´allarme. L´aviazione israeliana non si è fatta scrupolo: ha continuato a bombardare anche durante le operazioni di recupero dei cadaveri. Mentre la gente scava tra le macerie, le bombe piovono a poche decine di metri di distanza. A Tiro vediamo arrivare sui trattori, nei pulmini sgangherati, a piedi, gruppi di profughi. Anche loro pieni di polvere, i vestiti laceri, alcuni scalzi, i bambini sporchi, gli occhi pieni di terrore. Le donne finalmente si sfogano. Alzano le braccia al cielo, invocano Allah, chiedono pietà. Scene strazianti. Che ti trascinano indietro nel tempo. Al 18 aprile del 1996. Altra operazione di Israele contro Hezbollah a Cana, in cui morirono cento civili che fuggivano verso il fortino dell´Unifil. Tsahal si difese anche quella volta. Disse che c´erano dei terroristi. L´inchiesta internazionale stabilì che si trattava di una bugia. Che l´attacco era avvenuto in modo deliberato. Cana ha dedicato un monumento a quelle vittime innocenti. Una stele che svettava al centro del villaggio. Ieri notte è stata polverizzata dai bombardamenti. Una strage per cancellare la memoria. La storia si ripete. Il mondo, impotente, piange le sue colpe.
Arturo Zampaglione a pagina 9 descrive un'informazione araba che mostra il "vero volto" della guerra in contrasto con una televisione americana che censurando le immagini più crude svolge un' opera di propaganda. La realtà è piuttosto diversa. Le televisioni arabe, infatti, non mostrano le immagini delle vittime israeliane del conflitto. Nemmeno quelle dele due bambine arabo- israeliane uccise dai katyusha a Nazarteh. Non denunciano l'uso dei civili come scudi umani da parte di Hezbollah. Ciò perché è la loro "informazione" a non essere altro che propaganda, volta ad alimentare l'odio antisraeliano e ad assicurare il successo alla spietata tattica dei terroristi. Ecco il testo:
NEW YORK - A guardare le televisioni degli Stati Uniti sembra una guerra diversa da quella che si vede sugli schermi di tutto il mondo, e in particolare nei paesi arabi. Sulla Abc ci sono immagini da lontano di soldati israeliani che sparano con i cannoni e di colonne di fumo su Beirut. La Nbc mostra le famiglie accampate nei rifugi, l´evacuazione degli americani aiutata dai marines e i palazzi ridotti in rovine. Ma sono rare le riprese di carneficine come quella di Cana, delle fosse comuni in cui le bare dei civili libanesi sono ricoperte una accanto all´altra, o delle mamme in lacrime negli ospedali accanto ai ragazzini sfigurati dalle bombe o in fin di vita. «Sono situazioni troppo raccapriccianti per essere mandate in onda», spiega il produttore della Cnn, Cal Perry, che ne è stato testimone (limitandosi però a mettere i filmati nel sito internet della rete fondata da Ted Turner). In altre parti del mondo è diverso. La guerra tra Israele e Hezbollah viene presentata senza sconti né censure, con l´effetto, ovviamente, di suscitare emozioni profonde e un senso di disperazione che nei paesi arabi alimenta la rabbia contro Israele e un violento anti-americanismo. Le riprese di Al Jazeera spiegano anche il cambiamento di umori di paesi moderati come l´Egitto e la Giordania. Non è la prima volta che si assiste a questa sfasatura. Anche l´invasione dell´Iraq nel 2003 era stata presentata al pubblico degli States in modo diverso che altrove. Sugli schermi si vedevano le cavalcate dei carri armati nel deserto e l´abbattimento delle statue di Saddam Hussein, ma molto di rado quelle dei civili ammazzati da una bomba non troppo intelligente. Molto dipendeva, in quella occasione, dal fatto che la maggioranza delle troupes televisive e dei giornalisti erano al seguito delle truppe del Pentagono e non a Bagdad. Eppure ebbe l´effetto, almeno inizialmente, di mantenere l´opinione americana dalla parte di George W. Bush, mentre all´estero si moltiplicavano dubbi e condanne. Certo, i media americani hanno altri standards rispetto ai loro colleghi stranieri. In ossequio alla tradizione puritana, sono bandite le immagini di nudi (tranne che nei canali "specializzati") e non si sentono parolacce. E la Fcc, l´agenzia federale che controlla l´emittenza televisiva, è sempre pronta a multare i network che offendono il senso comune del pudore. Ma nel caso delle guerra l´atteggiamento è più ambiguo e forse più sensibile alle esigenze politiche. Un esempio? Le tv americane non hanno esitato nel mostrare i cadaveri dei due figli di Saddam Hussein oppure quello di Al Zarqawi, perché erano una prova del successo militare del Pentagono. Un altro esempio: la Cnn continua a trasmettere documentari sulla forza militare degli Hezbollah e sulla strage dei 302 marines uccisi a Beirut nel 1983, ricordando come Ronald Reagan e George Bush senior giurarono di vendicarsi contro i terroristi (ma poi non lo fecero). Basta seguire il "popolo dei blogs" per ascoltare le proteste su questa auto-censura selettiva. «C´è un processo di disinformazione in corso nei media occidentali», scrive Furgaia su Vivelecanada. I network americani respingono sdegnosamente accuse del genere. E sicuramente hanno fatto uno sforzo, questa volta, nel trasmettere anche dal fronte libanese. Ma una conseguenza di questa guerra televisiva "diversa" è nei sondaggi d´opinione: gli americani appoggiano la posizione di Bush, nonostante l´isolamento internazionale della Casa Bianca.