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La Stampa Rassegna Stampa
31.07.2006 Disinformazione con la cronaca di Giuseppe Zaccaria e l'editoriale di Igor Man
ignorano o negano la responsabilità di Hezbollah nella strage di Cana

Testata: La Stampa
Data: 31 luglio 2006
Pagina: 2
Autore: Giuseppe Zaccaria
Titolo: ««Ammazzano i bambini Allah punisca gli assassini»»

Da La STAMPA del 31 luglio 2006, la cronaca di Giuseppe Zaccaria.
I nostri commenti inseriti nel testo:

CANA. Se questo è un luogo di miracoli forse adesso produrrà il miracolo di porre fine a un simile carnaio. Basta guardare alla fila di corpi straiati nella polvere, ai soccorritori che escono portando in braccio cadaveri imbiancati, a pupazzi di bambini morti nel sonno con le braccia spalancate di chi si arrende alla morte ingiusta, alle membra umane che affiorano da coperte insanguinate, basta vedere tutto questo e ci si rende conto che quest'ecatombe resterà incisa nella storia. Quanti sono i morti, cinquantasette, sessanta? E fra loro quanti erano i bambini? Alla fine sembra trentasette. Ma a ogni ora che passa le cifre aumentano, si continua a scavare, dalle macerie emergono altri resti. L'aereo israeliano che l'altra notte ha distrutto quello che era un palazzo di tre piani alla periferia del villaggio ha mirato in basso per raggiungere le fondazioni, in basso perchè l'edificio crollasse avvitandosi su sé stesso.

una affermazione che non trova riscontro su altri quotidiani

Era un palazzotto alle estreme propaggini del paese, privo di intonaco come tutti quelli che lo circondano solo che il seminterrato brulicava di rifugiati infilatisi lì per sfuggire alla guerra.

Nessuno sa dire quanti fossero, il conto sarà possibile solo dopo il recupero dell'ultimo braccio, dell'ultimo resto, dell'ultimo brandello umano. Sta calando la sera e si cerca ancora, è arrivata una benna ma uomini della Croce Rossa, volontari della protezione civile, persone del villaggio continuano a infilarsi sotto piloni crollati, scendono nella catacomba, spostano mattoni e blocchi di cemento. Più sopra, dove la strada sterrata si allarga in una sorta di piazzale hanno ammassato barelle e coperte macchiate di ogni sorta di residuo umano. I corpi restano lì anche per essere esibiti all'occhio del mondo celati da coperture di fortuna, alcune lenzuola restano ritte perchè chi si trova sotto è rimasto pietrificano in un gesto d'orrore o in uno scomposto tentativo di fuga, un braccio levato, una gamba protesa, le mani alzate a proteggersi il viso. Ahmed, l'elettrauto del paese, guarda i soccorsi da lontano e dice che lì sotto dovevano essere almeno un centinaio di persone: «Molti si erano nascosti lì proprio ieri sera perchè tutt'intorno continuavano a bombarbare...gente terrorizzata che pensava di essere più al sicuro, anch'io avevo cercato di riparare in quel posto e ho visto pochi uomini, quasi tutti verso l'ingresso del seminterrato come a proteggere le donne e i loro bambini».

Fino a ieri Ahmed doveva essere soltanto un arabo molto magro, adesso pare uno spettro e mentre racconta le mani gli tremano in modo irrefrenabile: «C'era gente del paese ma anche famiglie sconosciute che venivano dai villaggi qui intorno - continua - non c'era più posto per stendersi così me ne sono andato intorno a mezzanotte quando molti bambini piangevano e le madri cercavano di calmarli...». Tutt'intorno, dice, c'era l'inferno e per tutta la notte ha invidiato quanti si trovavano al sicuro in quel sotterraneo, adesso non sa più cosa provare. Corpi, polvere, pianti, urla, fetore. Alcuni agenti tengono lontani i giornalisti mentre fotografi e operatori invece vengono incitati ad avvicinarsi, passa la telecamera di una tv araba e un esagitato scopre oscenamente i resti di un bambino che non avrà avuto più di quattro anni. Queste scene devono fare il giro del mondo, le guerre non vanno combattute dove possono arrivare le tv.

Un vigile del fuoco esce barcollando dal sotterraneo e porta in braccio il corpo di un bambino che anche nella morte ha mantenuto una grazia drammatica, quasi pompeiana, il grigio dei calcinacci lo fa sembrare una statua. Una donna magrissima che indossava una tunica a fiori è morta accucciata nel sonno o in un gesto istintivo di protezione, le membra sono già irrigidite, devono estrarla dalle macerie come un burattino. C'è chi urla, chi piange, chi maledice Israele e il resto del mondo, una donna grassa esce dal sotterrane su una barella già celata da una coperta però il corpo sembra schiacciato a metà e la galleria degli orrori continua, continua, continua aprendo spazio ogni volta a sequenze più terribili. I corpi estratti per primi erano rimasti più un superficie, quelli sotto sono ancora più devastati, un vigile del fuoco sta dicendo a un collega: «Lì c'è qualcuno schiacciato come una sogliola...», poi barcolla, si siede e scoppia a piangere.

Un uomo leva le braccia in alto e continua a gridare: «Ammazzano anche i bambini, li ammazzano tutti, Allah fino a che punto potrai punirli mai?». Un caposquadra della protezione civile che si chiama Imbrahim Fayat racconta che dovrebbero esserci almeno una ventina di superstiti.

«Un uomo era vicino all'ingresso del sottoscala e l'esplosione lo ha scaraventato fuori, abbiamo trovano una donna che è riuscita a scavare una via d'uscita con le mani trascinandosi dietro un bambino di due anni ed era disperata perchè un altro figlio è rimasto lì sotto». Due cameraman anglosassoni si allontanano commentando che immagini così crude non saranno mai trasmesse in Occidente.

Ma com'è stato possibile che un pilota israeliano abbia colpito un'abitazione civile di notte, quando si suppone che ci siano persone indifese che dormono? Le radio stanno fornendo prime imbarazzate spiegazioni di Tel Aviv: «Da quella palazzina solo tre giorni fa erano stati sparati razzi sulla Galilea, non potevamo sapere che adesso lì si trovassero dei civili e poi avevamo avvertito la popolazione libanese di abbandonare i villaggi di frontiera».

Abbandonarli? E come, se i medesimi aerei hanno bombardato le strade, distrutto i ponti, fatto saltare i distributori di benzina?

Centinaia di migliaia di profughi, stando a quanto riferito dalla stampa, sono riusciti, talora con mezzi di fortuna o a piedi, a raggiungere Beirut o il nord del paese.
Gli episodi nei quali convogli civili sono stati colpiti da Israele sono  stati  causati degli incessanti lanci di razzi da parte di Hezbollah e di tragici ritardi nell'evacuazione.
Inoltre, gli avvertimenti alla popolazione del sud del Libano sono stati lanciati fin dai primi giorni di guerra.

Come, se da tre giorni vengono presi di mira anche i convogli protetti dalle Nazioni Unite? 

Israele non prende di mira i convogli dell'Onu

 Se da questa periferia desolata gli hezbollah avevano sparato contro la Galilea (il confine dista meno di sette chilometri) da almeno tre giorni dovevano essersi spostati ma gli aerei-spia, si sa, rilevano armi e traiettorie e non si curano degli umani.

Se Israele avesse colpito immediatamente, appena rilevata la traiettoria dei razzi, avrebbe avuto  una maggiore sicurezza di colpire Hezbollah, ma sarebbero anche cresciuti i rischi di colpire civili.Invece ha prima lanciato gli avvertimenti che si sono purtroppo rivelati inutili.
Accettando un ritardo della sua legittima reazione che viene anche utilizzato, incredibilmente, come capo d'accusa.


Sta per calare la sera e intorno alla palazzina dell'ecatombe si scava ancora, è arrivata una benna però il lavoro va fatto a braccia, da in fondo alla discesa un soccorritore sta facendo ampi segni come a dire che ha visto dell'altro. In un'intera giornata di scavi non è emersa neppure un'arma, un razzo, il calcio di un Kalashinov.

I guerriglieri hezbollah continuano nella tattica del mordi e fuggi, gli israeliani a colpire alla cieca quando il nemico si è spostato. «Gli hezbollah usano i civili come ostaggio», accusa l'armata di Gerusalemme, «gli israeliani sono dei massacratori», ribatte il ministro della giustizia libanese.

A sera da Gerusalemme la dichiarazione del capo dell'aviazione, generale Amir Esher sembra voler traformare questa tragedia in riedizione della strage di Merkale, che provocata ad arte nel mercato di Sarajevo causò nel 1995 l'intervento della Nato. «Un nostro aereo ha compiuto l'incursione all'una di notte -dichiara il generale - e il palazzo è crollato sette ore dopo. Cos'è accaduto nel frattempo?». Sicuramente è accaduto che questa rivoltante tragedia abbia spinto il mondo a chiedere subito un cessate il fuoco.

Zaccaria vuole neutralizzare l'effetto della denuncia del capo dell'aviazione. Invece di limitarsi a riferire i fatti, e  a chiedersi che cosa nascondono, introduce un paragone con Sarajevo e fornisce una risposta polemica e liquidatoria a una domanda più che legittima

Igor Man nell'editoriale "Questo non è difendersi" si scatena contro Israele.
Nega che possa esserci stato un errore all'origine della strage di Cana, Israele doveva sapere che nell'edificio c'erano civili. Nega che la conferenza di Roma abbia dato "luce verde" alle operazioni israeliane  e inventa un'indignazione di George W. Bush, in quanto cristiano, per questa interpretazione israeliana. 
Richiama alla memoria la precedente strage di Cana del 1996, senza ricordare la reponsabilità di Hezbollah che lancia i suoi attacchi facendosi scudo dei civili, allora come oggi.
Ecco il testo:  

La guerra coi filmati della tv: tanks, missili, profughi che scorrono alle spalle del bravo telecronista, ha ora un’immagine antica: la strage degli innocenti. Il massacro di Cana moltiplica il già pesante numero di civili morti ammazzati (nelle prime due settimane) di questa guerra che un po’ tutti dicono di voler fermare ma non si capisce come e quando.

Il presidente Bush, venerdì scorso, s’è detto «turbato» di apprendere che le vittime civili assommavano già a seicento morti e passa. Di più: egli, cristiano militante, avrebbe definito «oltraggiosa» l’interpretazione israeliana del risultato bianco della Conferenza di Roma. L’acrobazia semantica che ha offuscato, nella dichiarazione finale, l’imperiosità d’un cessate il fuoco immediato, la leadership israeliana l’ha interpretata come un «disco verde». Invece no, è «una lettura sbagliata», codesta, della Conferenza di Roma: lo ha detto chiaro e forte il nostro ministro degli Esteri al suo arrivo a Gerusalemme («Non possiamo giustificare quel ch’è accaduto») mentre la Signora Rice si è detta «molto rattristata» annunciando poi che il suo viaggio previsto (per ieri ndr) a Beirut «è stato per il momento sospeso». Fonti ufficiose vorrebbero che il segretario di Stato abbia anche detto: «E’ giunto il momento d’un cessate il fuoco». Vedremo. Si vuole che le immagini in diretta da Cana trasmesse dalla tv libanese abbiano «profondamente scosso» la Signora Condi, «visibilmente impaziente di comunicare col Presidente Bush». Anche perché in Medio Oriente è subito corsa la voce che la decisione di sospendere il viaggio a Beirut non sia stata una «libera scelta» del segretario di Stato americano. A fermarla avrebbero concorso l’accusa di inattendibilità mossale dal presidente libanese Lahoud e una «ruvida» telefonata del premier libanese, Siniora, sconvolto «sino alle lacrime» dalle immagini del massacro di Cana, evangelico sito in un paese, il Libano, dove i cristiani-maroniti sono una presenza invero storica.

Certamente la propaganda islamica inzuppa il microfono nel sangue degli innocenti ma non per questo il massacro di Cana può trovar giustificazioni o attenuanti. E’ vero che Israele ha il diritto di reagire, la guerra è guerra, ma un paese democratico, braccio destro e maestro degli Stati Uniti, deve avere il coraggio di sottrarsi alla perversa spirale della violenza cieca. L’uso della forza va disciplinato da chi, come Israele, possiede la cultura per farlo. Un’alta fonte vaticana conviene sul «diritto della legittima difesa» mancando un’autorità internazionale dotata dei poteri «per risolvere l’evento-conflitto». Ricorda tuttavia che anche in guerra v’è un diritto da rispettare. «Esiste e sussiste un “jus in bello”» volto soprattutto a non coinvolgere civili innocenti.

Non si placa in Israele la polemica sulla strage di Cana anche se in definitiva è stragrande la maggioranza di chi si riconosce nelle parole del premier Olmert, domenica, al consiglio dei ministri. Eccole: «Desidero esprimere il mio profondo dolore per la morte di civili innocenti(...), nulla è più estraneo al nostro spirito, più lontano dai nostri pensieri o più contrario ai nostri interessi che nuocere agli innocenti». In precedenza il premier aveva però definito Cana come un «sicuro rifugio» per i guerriglieri sciiti di Hezbollah.

Francamente sconcerta la notizia secondo cui le autorità militari hanno aperto una inchiesta «per accertare come mai la presenza di civili a Cana non fosse stata notata negli ultimi giorni». A tal fine il governo di Gerusalemme ha annunciato una tregua di 48 ore. Israele mena vanto del suo esercito, un modello di efficienza, un esercito «popolare» nel senso più autentico della parola; Israele mena altresì vanto di un servizio di intelligence (civile e militare) di rara capacità nel mondo. Riesce invero difficile, dunque, immaginare che lo Shin Bet (il cui implacabile monitoraggio ha consentito a Israele di eliminare con i cosiddetti omicidi mirati una folta schiera di terroristi nati dalla costola di Hamas, di Hezbollah) non si sia accorto che quella palazzina a tre piani di Cana era gonfia di profughi disperati, in larga parte bambini.

Quali che siano le «giustificazioni» del governo, rimane il fatto, come ha dichiarato con dura secchezza Yossi Beilin, il leader del Meretz, uno dei protagonisti degli accordi di Oslo, che «è impossibile accettare la morte di innocenti civili».

Spiace dirlo ma non è la prima volta che Israele affronta una tale deriva. Il 18 di aprile del 1996 durante l’operazione «Furore» lanciata contro i guerriglieri di Hezbollah, a un passo dalla palazzina della strage di Cana, l’artiglieria israeliana centrò una base dell’Unifil dove s’erano rifugiati parecchi civili. I morti furono centodue, la metà bambini. Primo ministro, allora, era il Premio Nobel della Pace Shimon Peres, il nobile compagno di strada di Rabin, il «soldato della pace», ucciso da un giovane integralista israeliano. Peres ammise lealmente l’errore rammaricandosi (intimamente) d’essersi affidato al «criterio tecnico» dei militari. Shimon Peres si giocò l’eredità politica di Rabin e dopo una serie di primi ministri da dimenticare Sharon sembrò, proprio in fine di carriera, aver appreso la lezione della politica agendo in consonanza coi «borghesi» ma riservandosi l’ultima parola.

Grazie alle «eveline», le immagini della strage degli innocenti sono sul mercato televisivo mondiale. Immagini crudeli: il tronco d’un fanciullo pietrificato dalla morte improvvisa, il capo riverso, la bocca spalancata dall’urlo finale, le mani a cercare le gambe volate via, chissà dove. Due mani, due mani soltanto, di donna a galleggiare incrociate sul grembo ch’è un grumo di carbone: CD collateral damage, vale a dire vittime civili, secondo il linguaggio inventato per esorcizzare l’orrore della guerra che uccide gli innocenti.

Israele è un paese di centurioni dove un po’ tutti amano far politica. Ma mentre la politica si può imparare, soldati si nasce. Davanti alla strage di Cana vien fatto di pensare che, sparito Sharon, sia finita quella consonanza fra esercito e leadership cui si debbono le tante vittorie di Israele: rapide, preventive o di legittima difesa che fossero le guerre. Ora la leadership israeliana chiede «altri dieci giorni» per chiudere la partita. E’ buio in Terra Santa.


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