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Il Giornale Rassegna Stampa
31.07.2006 Gli Hezbollah uccidono 37 bambini
un titolo dice la verità sulla strage di Cana, in prima pagina

Testata: Il Giornale
Data: 31 luglio 2006
Pagina: 1
Autore: Luciano Gulli - Andrea Nativi - R. A Segre
Titolo: «Gli hezbollah fanno uccidere 37 bambini - Ma Hezbollah sta subendo gravi perdite - L'escalation dela follia»

Plauso al GIORNALE per un titolo in prima pagina che indica apertamente le responsabilità di Hezbollah nella strage di Cana:

"Gli hezbollah fanno uccidere 37 bambini"

Di seguito, la cronaca di Luciano Gulli:

«Molte bambine, quelle più grandicelle, avevano giocato a fare il girotondo fin oltre mezzanotte. Certo che non avevano voglia di giocare, con le bombe che cadevano sempre più vicine. Era solo un modo per farsi coraggio. E poi non si può piangere sempre. In un altro angolo del seminterrato, ai piedi delle scale, c'era un gruppo di mamme che si erano messe insieme per accudire i più piccoli. Fuori si stava scatenando il terremoto, ma loro cercavano di tenere allegri quei bambinetti ritmando con le mani certe canzoni di qui. Cantavano una filastrocca piuttosto popolare, quella che dice: «Arrivano i cattivi, ma non ci prenderanno», quando io me la sono filata. Non c'era più posto per sdraiarsi, eravamo stretti come sardine. Così, rischiando la pelle, mi sono fiondato fuori, alla ricerca di un altro riparo». Il caso, come sempre. Ahmed, l'elettrauto del paese, magro come una cincia, il naso a becco imbiancato dalla polvere di calcina e un pomo d'Adamo che gli balla ancora in gola dallo spavento, ha la faccia dei sopravvissuti. Fantasmi con lo sguardo vuoto che si domandano, e si domanderanno per tutta la vita, perché gli altri sì e lui no. Il caso, come sempre. Qui davanti, dove c'era una bianca palazzina a tre piani, bianca come le altre che punteggiano questo desolato quartiere popolare, vetrioleggiate dalle schegge e senza più un vetro alle finestre, c'è solo una montagna di macerie. Vi si erano rifugiati in un centinaio. «Ma forse eravamo di più», corregge Ahmed. Cinquantasette sono morti. E 37 - ma altri certamente sono ancora lì sotto - erano bambini. Di questi, 15 erano disabili. Mariam, che aveva sei anni, era arrivata nei giorni scorsi con i genitori da Blida, uno di quei villaggi di confine sui quali erano caduti i volantini degli israeliani. «Andatevene prima che sia troppo tardi», c'era scritto; o qualcosa del genere, racconta chi li ha visti. Ora, la coda di cavallo di Mariam, intrisa di polvere, sobbalza nel vuoto, mentre le braccia di un soccorritore con la tuta arancione della Croce Rossa regge il suo corpicino senza vita. Escono a uno a uno dalle macerie: un bambino che avrà avuto quattro anni, i calzoncini corti con la scritta «Tiger» e una canottiera bianca; una piccolina completamente nuda, morta abbracciata a quella che forse era la sorella più grande, una decenne, si direbbe, che ha ancora gli occhi sbarrati e i calzoncini con la faccia di Barbie. Non hanno ferite da schegge. Sono morti schiacciati, soffocati, quando la bomba è caduta accanto all'edificio, scavando una buca enorme, e quello se n'è venuto giù per lo spostamento d'aria, come una scatola da scarpe finita sotto un Tir. I loro volti hanno tutti lo stesso colore: quello del cemento. Allineati per terra, coperti da un cencio, le facce di cenere, e l'altro ieri giocavano. La scena è agghiacciante. Guardi, perché non puoi farne a meno. E perché una volta nella vita hai scelto di fare questo mestiere, e ora si è fatto tardi per farne un altro. Ma la barbarie, l'orrore che sale da queste scene atroci prende alla gola, è una spada che ti trapassa lo stomaco. Qualcuno, anche fra il personale della Croce Rossa, non regge. Si allontana, curvo in avanti, vomita. Ci sono braccia e gambe che emergono dalle macerie, come manichini, pezzi di spaventapasseri abbandonati su cui ballano sciami di mosche. E quando si finisce di scavare eccoli lì: due fratellini, si direbbe, accucciati come se dormissero ancora. Si scava con le mani. Altro non c'è. «Le ruspe, le pale meccaniche sono a Tiro, 14 chilometri più in su», dice uno. «Ma non arriveranno mai. Tiro è ancora sotto i bombardamenti». C'è una mamma, portata via cinque minuti fa da un'ambulanza, che si è salvata da sola, portandosi dietro la sua bambina di un anno. Ha scavato con le mani fino a ridursele come moncherini insanguinati. Ma sono vive, tutte e due. «Dio abbia pietà di questi bambini - dice una donna vestita di nero, sciita come tutti, qui a Cana -. Erano stati messi qui perché sembrava un buon posto...». Ma perché tutti questi bambini radunati in una sola casa? E ancora: c'erano gli Hezbollah, in questa palazzina? È vero che avevano tirato da queste finestre, come sostengono a Gerusalemme? E che un furgone (gli israeliani hanno mostrato un filmato ai giornalisti) aveva sparato dei razzi dalla periferia del paese per andare poi a parcheggiare sotto una casa del quartiere bombardato? E se i miliziani dello sceicco Nasrallah avessero attirato la vendetta degli israeliani apposta, come fecero una volta i musulmani di Sarajevo, sparando un colpo di mortaio sulla loro stessa gente per incassare lo sdegno del mondo? Domande che oggi non è possibile rivolgere a nessuno, qui intorno, senza passare per una spia, «Andatevene», dicevano i volantini degli israeliani che annunciavano bassa pressione anche su Cana. «Ma dove? Con quali auto? E la benzina? E in che direzione? A dormire in un parco pubblico di Beirut, come cani rognosi?», ti urlano in faccia in una bottega vicina che sembra sia stata attraversata da una mandria imbizzarrita. C'è un inspiegabile divario temporale, dicono a Gerusalemme, tra l'ora dell'attacco (fra la mezzanotte e l'una del mattino) e il crollo dell'edificio, venuto giù sette ore dopo. Ma questo è un dettaglio che non attenua lo sdegno, la collera che si propagano per tutto il Libano come un incendio nella savana, mentre le immagini fanno il giro del mondo e il Consiglio di Sicurezza dell'Onu si riunisce d'urgenza. È una buona giornata, inshallah, per lo sceicco Nasrallah. L'Europa, il mondo islamico reagiscono inorriditi, mentre a Beirut un migliaio di dimostranti che sventolano la bandiera gialla di Hezbollah (su cui spicca un braccio che impugna un kalashnikov) assalta gli uffici dell'Onu, in pieno centro, spaccandone le vetrate e devastando tutto quel che trovano all'interno. Cana. Ancora Cana. Come il 18 aprile di 10 anni fa, quando Israele lanciò l'operazione «Furore», e 102 persone morirono sotto le macerie della caserma che ospitava gli osservatori dell'Onu, colpita come sempre «per sbaglio». La storia, le ragioni degli uni e degli altri, le dinamiche militari, perfino gli «errori» sono gli stessi di allora. Una sorta di demenziale, infruttifera coazione a ripetere. Condoleezza Rice non verrà a Beirut. Non sarebbe gradita, le fa sapere il premier Fuad Siniora, che ora elogia apertamente la resistenza di Hezbollah, accusa Israele di «terrorismo di Stato» e insiste per un cessate il fuoco immediato. Chissà, magari fra un paio di settimane, fa sapere laconico da Gerusalemme, dopo aver porto sentite condoglianze ai parenti delle vittime (e in attesa dei prossimi, inevitabili morti) il premier Ehud Olmert.

L'analisi militare di Andrea Nativi spiega i risultati raggiunti da Israele nella campagna contro Hezbollah.
Ecco il testo:

Quali risultati ha ottenuto Israele nella sua campagna di logoramento contro Hezbollah? Secondo alcuni, Tsahal sarebbe stato «bloccato» dall'imprevista resistenza della guerriglia, ma la realtà è ben diversa, perché gli obiettivi delle operazioni militari israeliani, fissati dal governo e non necessariamente condivisi dai generali, sono limitati. Che il nocciolo duro dell'ala militare di Hezbollah fosse molto combattivo lo si sapeva. Da parte israeliana sono stati commessi diversi errori tattici e di comando e controllo nel corso dei combattimenti, mentre la guerriglia continua a rovesciare sui centri abitati i suoi 80-120 razzi quotidiani. Tuttavia Hezbollah ha perso in combattimento, secondo Israele, 200 dei suoi migliori operativi, inclusi diversi comandanti a livello intermedio, e almeno altrettanti sono stati feriti. Possono sembrare perdite insignificanti, ma non lo sono per una formazione che non arriva a 4.000 uomini, 500 dei quali inquadrati nei reparti d'élite. In pratica il 10% degli organici più esperti è stato stati eliminato. Sulle dichiarazioni dei belligeranti bisogna sempre fare la tara, ma le cifre israeliane sono credibili, certo più dei 36 caduti, inclusi 6 di Amal, ammessi da Hezbollah. Inoltre una notevole quantità di armi e depositi di munizioni e materiali è stata individuata e distrutta, i caposaldi fortificati al confine con Israele sono andati perduti o demoliti, e per continuare a lanciare razzi su Israele la guerriglia effettua missioni rischiosissime, al limite del suicidio. I capi di Hezbollah vogliono mostrare al mondo e ai loro fedeli di essere in grado di continuare a colpire il nemico, costi quel che costi. Per lo stesso motivo politico Hezbollah ha immolato decine di uomini nella difesa delle posizioni strategiche nel Libano meridionale: in teoria la guerriglia non deve mai accettare un combattimento prolungato contro un esercito regolare, men che meno nella difesa di posizioni statiche. Ma ancora una volta la scelta politica di presentarsi come i difensori del Libano dall'invasione israeliana, confermando il controllo su una regione del Paese che si considera propria, ha prevalso sulla ragion militare. Va anche considerato che il peso maggiore delle operazioni israeliane resta affidato all'aeronautica, che effettua in media 300-350 sortite al giorno. Sul cui reale effetto i corrispondenti di guerra non possono dar conto. Lo stato maggiore, stretto tra l'esigenza di mantenere la segretezza sulle operazioni e quello di propagandare i successi ottenuti, rivela ben poco, e così sembra che i missili e le bombe israeliane colpiscano solo civili innocenti o i caschi blu. Ma non è così, e la campagna di interdizione ai confini con la Siria sta creando problemi agli uomini di Nasrallah. Quanto alle operazioni terrestri, in realtà Tsahal non impiega più di una brigata nella fascia a ridosso del confine: forse 5.000 uomini. Poca cosa rispetto all'impegno di aeronautica e marina. Inoltre, per ogni razzo hezbollah Israele spara 15-20 colpi e la precisione, e letalità delle armi israeliane è infinitamente superiore. Hezbollah potrà quindi lanciare proclami di vittoria, ma se continua a «vincere» in questo modo uscirà stremata dalla guerra di attrito, a meno che non intervenga un cessate il fuoco duraturo.

Di seguito, l'editoriale in prima pagina di Dan Vittorio Segre:

«Vinceremo perché l'Occidente cerca la vita, noi la morte». Con questa fede gli hezbollah hanno iniziato una guerra che fa stragi come quella di Cana. Strage atroce perché ha colpito dei deboli indifesi, usati come scudi umani. Strage ingiusta perché oppone la ferrea legge della guerra alla tenue legge della solidarietà. Strage vile perché sfruttata per coprire una mostruosa verità: il disastro che gli hezbollah hanno attirato su di sé, sul mondo arabo-islamico con questa guerra follemente iniziata. Credendo una volta di più alle proprie parole - come il segretario della Lega araba nel 1948, come Nasser nel 1967 - di aver distrutto «l'invincibile esercito sionista»; credendo di avere di fronte un Paese impaurito, diviso, incapace di sostenere perdite fra i suoi soldati, che sopravvive solo grazie alle infusioni di capitale americano; credendo come i nazisti di essere demandati dal Padreterno alla missione di liberare l'umanità dal «bacillo» ebraico corruttore dell'umanità, non hanno capito il significato del movimento nazionale ebraico, il messaggio del sionismo: e cioè che con la nascita di Israele la caccia gratuita all'ebreo era finita. In questa guerra Israele si è sentito profondamente ferito. Nel suo fisico, dal momento che nessun hezbollah si è preso la briga di informare i suoi cittadini (come ha fatto l'aviazione israeliana a Cana con i libanesi a cui ha chiesto di allontanarsi da una zona di guerra da cui sono già partiti 1.300 missili). Al contrario ne ha promessi di più micidiali. Se ci sono stati «solo» 330mila sfollati in Israele, «solo» 56 morti, «solo» 500 feriti, la colpa dovrebbe forse ricadere su Israele che ha provveduto, contrariamente al Libano, a fornire alla sua popolazione adeguati rifugi e protezione aerea contro i bombardamenti islamici? Ma Israele in questa guerra si sente ferito ancora più nella sua dignità, in quanto solo membro della comunità internazionale ad essere minacciato di morte; in quanto come il solo Stato ad essere denunciato come privo del diritto alla propria sovranità nazionale. Israele si sente ferito infine nella sua atavica fede nella pace. Ferito da una opinione internazionale - non solo araba - che interpreta ogni sua concessione territoriale come provocata dalla paura; ogni sua proposta di negoziato come segno di debolezza politica e invita azioni terroriste per impedire ogni avvicinamento di posizioni con l'avversario, ogni tentativo di creare un'atmosfera di coesistenza pacifica con i palestinesi. È col dolore di queste ferite che Israele oggi combatte. Lo fa con più moderazione di qualunque Paese. Pensiamo cosa succederebbe se i terroristi baschi lanciassero missili contro la Francia per ottenere il distacco della Navarra dalla Repubblica francese. Oppure se una banda di terroristi mascherati da combattenti per la libertà che per conto di uno Stato terzo bombardasse le sue città e inviasse i suoi uomini-bomba nelle sue strade, nei suoi ristoranti, contro le sue scuole. La tragedia di Cana sta anche in questo: nel fatto che Israele ha raggiunto il livello della esasperazione senza aver ancora toccato quello della disperazione. Potrebbe però arrivarci e con effetti spaventosi per i suoi avversari. È forse per questo che gli hezbollah, Hamas,la Siria e l'Iran chiedono a chiunque è disposto ad ascoltarli una tregua che Israele non intende più dare.



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