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La Repubblica Rassegna Stampa
30.07.2006 Trattare con i terroristi se sono abbastanza forti, blandire le dittature, se manovrano i terroristi
il cinismo suicida di Eugenio Scalfari

Testata: La Repubblica
Data: 30 luglio 2006
Pagina: 1
Autore: Eugenio Scalfari
Titolo: «Hanno fatto un deserto e lo chiamano pace»
Seicento morti "civili"in Libano. E' anche da questo dato manipolato, perché non distingue i civili disarmati dai terroristi di Hezbollah, "civili" in quanto non inquadrati in nessun esercito regolare, ma armati,  che si può misurare  la parzialità dell'editoriale di Eugenio Scalfari pubblicato dalla REPUBBLICA del 30 luglio 2006.
La condanna di Israele traspare a ogni riga. Più volte ricorre l'espressione "strage degli innocenti" riferita ai bombardamenti israeliani in Libano, ma non alle vittime del terrorismo di Hezbollah in Israele.
Vengono riprese le parole del primo ministro libanese, che citando Tacito accusa Israele e Usa: "Hanno fatto un deserto e lo chiamano pace".
Ma la retorica di Siniora  è migliore, più ingannevolmente persuasiva,  della sua capacità di governo. Il premier libanese non è infatti privo di responsabilità nell'attuale tragedia del suo paese, per averlo lasciato di fatto senza una reale sovranità, ostaggio delle armi di Hezbollah e della sua propensione per le avventure jihadiste contro  Israele.
Scalfari non prende nemmeno in considerazione questa circostanza, a lui interessa solo biasimare Israele e Stati Uniti per aver cercato, a Roma, la "pace dei vincitori sui vinti". Non lo sfiora il dubbio che la vittoria sul progetto di distruzione di Israele che Hezbollah incarna (insieme ad Hamas) possa essere una precondizione per la pace. Al contrario, sostiene la necessità di cedere al ricatto dei terroristi.Nemmeno il paragone con le BR del caso Moro   lo turba, e proprio per i motivi che rendono il terrorismo di Hamas ed Hezbollah, in realtà,  molto più pericoloso di quelli brigatista (non certo innocuo): il sostegno popolare di cui gode e il rapporto con due stati, Siria e Iran che a giudizio di Scalfari dovevano essere invitati a Roma, proprio perché erano chiare le loro responsabilità nello scatenamento della crisi libanesi.
Come dire: premiamo gli aggerssori e impediamo a Israele di difendersi.
Trattiamo con tutti i riguardi dittature, terrorismi e fanatismi e condanniamo sempre e comunque le democrazie aggredite.
E questa la politica mediorientale propugnata da Eugenio Scalfari.
Inutile dire che è fatta per condurre al disastro, rafforzando  nemici  mortali delle democrazie liberali europee e indebolendo chi (Israele ) oggi deve combatterli per difendere la propria esistenza.

Ecco il testo:


C´è stato il vertice romano sul Libano, c´è stata la richiesta dell´Onu di una tregua di 72 ore per poter attivare i convogli umanitari, c´è stato l´incontro «risolutivo» di due giorni fa tra Bush e Blair che hanno incoraggiato il Consiglio di sicurezza a studiare «immediatamente» un piano di pace per il Medio Oriente a cominciare dall´invio d´una forza militare dell´Onu che si interponga «attivamente» tra i due Stati allo scopo di disarmare Hezbollah e mantenere la pace che ne seguirà.
Condoleezza Rice è rientrata a Gerusalemme per la seconda volta dopo appena cinque giorni di assenza. Massimo D´Alema è lì arriva oggi per incontrare il governo d´Israele e l´Autorità palestinese. L´altro ieri Abu Mazen, presidente della suddetta Autorità, era a Roma dove ha discusso per oltre un´ora con Prodi e poi con Napolitano.
Insomma il lavoro politico e diplomatico di tutta la Comunità internazionale e soprattutto delle potenze che contano procede «freneticamente» per arrivare al più presto ad un cessate il fuoco in Libano e nella striscia di Gaza e instaurare una pace «stabile e sostenibile» in tutta la regione.

* * *
Nel frattempo la strage degli innocenti prosegue e non si sa se e quando avrà termine. Prosegue in tutto il Libano, prosegue nella striscia di Gaza e prosegue naturalmente a Bagdad. Per quanto riguarda la capitale irachena i morti ammazzati quotidiani sono diventati una rubrica alla quale non si fa più caso. Cinquanta, cento, centocinquanta? C´è un titolo da qualche parte del giornale e qualche riga di notizia. Eppure quello di Bagdad è il tumore centrale, le altre sono metastasi salvo la strage tra israeliani e palestinesi che dura da almeno sessant´anni con intervalli sempre più ravvicinati. Da quattro anni è anch´essa diventata quotidiana come a Bagdad.
Ci si è domandato in questi giorni se il vertice di Roma sia stato un successo oppure un fallimento. Se abbia dato il disco verde al proseguimento della strage degli innocenti in Libano o ne abbia predisposto la cessazione.
Insomma se è servito a produrre qualcosa di nuovo o soltanto una breve merenda nei saloni della Farnesina di un prestigioso gruppo di Vip internazionali, frastornati dall´anticiclone africano.
Bisogna esser chiari su questioni così delicate.
Distinguere fra ciò che proclamano i protagonisti interessati e ciò che realmente è avvenuto. Diciamo questo:
1. Dal punto di vista italiano il vertice è stato un reale successo. Ha visto il rientro del nostro paese tra le potenze europee che hanno un ruolo.

Condoleezza Rice (ma anche Bush) hanno capito che il governo Prodi può essere un canale politico-diplomatico utilizzabile nei confronti dei palestinesi, dei siriani, del Libano e perfino di Hamas.
Perfino di Teheran. Come Mubarak. Anzi meglio di Mubarak.
E assai più utile di quanto non sia stata la fervida amicizia tra Bush e Berlusconi. Perfino il ritiro del contingente militare da Nassiriya è stato un fatto positivo dal punto di vista del dipartimento di Stato Usa: ha dato una preziosa credibilità al governo Prodi spendibile sul piano della diplomazia internazionale.
2. Dal punto di vista della tregua d´armi, il flop del vertice di Roma è stato totale. La Rice l´aveva esclusa addirittura dall´agenda di lavoro e così è stato, salvo uno scambio di battute piuttosto acceso tra lei e il rappresentante francese. Anche del tema di Gaza non si è parlato. Si spera che sia in agenda almeno nel secondo sopralluogo di «Condy» a Gerusalemme. Per la tregua d´armi il governo d´Israele ha risposto alla richiesta di sospensione dei bombardamenti per ragioni umanitarie dicendo che si tratta d´una richiesta priva di senso.
Eventuali accordi tecnici per la protezione dei convogli umanitari saranno presi dai dirigenti locali della Croce rossa con i comandi dell´esercito israeliano. Punto e basta. Hezbollah dal canto suo ha dichiarato che i due soldati israeliani prigionieri saranno consegnati a una «parte terza» pronta a liberarli quando si saranno verificate le condizioni per uno scambio. Che per ora non ci sono.
3. Una situazione di stallo analoga si registra a Gaza, dove Hamas ha dichiarato che il soldato israeliano rapito da una banda «amica» di Hamas, sarà reso all´avverarsi delle condizioni poste dai rapitori.
Di fatto sia Hezbollah che Hamas hanno rapito per essere riconosciuti come partiti contraenti. Esattamente la stessa richiesta delle Br allo Stato italiano nel 1978 ai tempi del rapimento Moro. Con una differenza sostanziale: dietro le Br non c´era nessuna potenza straniera e nessun movimento popolare apprezzabile; dietro i due rapitori di soldati israeliani ci sono invece siriani e iraniani e cospicui settori del fondamentalismo musulmano, sciiti, sunniti, wahabiti, unificati dal comune nemico americano.
Il vertice di Roma – tanto per dire – avrebbe dovuto tenersi al Cairo o a Sharm el Sheik ma Mubarak ha declinato l´offerta per non sollevare l´odio anti-Usa e anti – Occidente della opinione pubblica egiziana. Così, di rimpallo, siamo arrivati al vertice di Roma.
* * *
Intanto, come abbiamo già ricordato, la strage degli innocenti procede.
Siamo tornati alla brutalità dell´Iliade, anzi ancora più indietro: dopo le battaglie tra Achei e Troiani, i messaggeri dei due eserciti stipulavano una tregua per seppellire i morti con i dovuti onori e recuperare i feriti. Ma qui nemmeno questo accade.
L´altro ieri, secondo i calcoli della Croce rossa e del governo di Beirut, i civili morti sotto le bombe e le cannonate israeliane erano arrivati a seicento. Mentre scriviamo saranno certamente aumentati. I feriti sono migliaia. La distruzione di infrastrutture civili e industriali (oltre che di edifici di abitazione) è in corso in tutto il Libano dal sud al nord. Così pure prosegue il lancio dei razzi «Katyusha» sui villaggi israeliani della Galilea fino a Nazareth e a Tiberiade, su Haifa e oltre, mentre Tiro e Sidone sono stati ridotti a silenziosi cimiteri dalle bombe di Israele.
I «Katyusha» lanciati da Hezbollah in 17 giorni di guerra sono stati 1500, le perdite civili israeliane sono una ventina o poco più, ma non è questione ovviamente di contabilità tra morti ammazzati da una parte e dall´altra.
La reazione israeliana è stata sproporzionata? Chi stabilisce la proporzione? Paragonando i numeri delle vittime la sproporzione sarebbe evidente, ma il criterio non può che essere soggettivo. Per i palestinesi e per Hezbollah l´aggressore è Israele; per Israele gli aggressori sono loro. Ho già scritto domenica scorsa che la disputa sull´aggressore ci riporterebbe sessant´anni indietro se non addirittura a Caino e ai figli di Caino.
Meglio lasciar perdere.
Ma c´è un punto che mi sembra importante segnalare.
Riguarda la Rice. E Bush. E anche Blair. Hanno detto tutti e tre, quasi simultaneamente, che i «lutti collaterali» causati dai bombardamenti israeliani sono estremamente spiacevoli ma purtroppo inevitabili. Ed hanno aggiunto che proclamare un «cessate fuoco» senza varare prima un piano di pace sostenibile sarebbe del tutto inutile. Perciò si affretti la pace. La tregua d´armi verrà come inevitabile conseguenza.
Questo modo di ragionare obbedisce sicuramente a una sua logica, ma anche ad una sua follia. Sarebbe come se un poliziotto, cogliendo in flagranza un gruppo di stupratori all´opera, si astenesse dall´intervenire in attesa che il governo vari una solida legge per impedire e combattere gli stupri.
Di fatto questo è avvenuto al vertice di Roma. Il disco verde al proseguimento della strage l´ha dato la Rice postergando la cessazione dei bombardamenti alla pace, e l´hanno ribadito sia Bush sia Blair con le stesse parole del segretario di Stato. Il governo e l´esercito di Israele ne hanno preso atto continuando a sparare su «ogni cosa che si muove» nel Libano meridionale. E su ogni cosa che abbia un valore pubblico, industriale, civile, nel Libano centrale e settentrionale.
Il vertice di Roma poteva almeno imporre la cessazione dei bombardamenti nel Libano settentrionale e centrale, tollerando che la guerra continuasse nelle zone occupate da Hezbollah e soltanto in quelle. Ma neanche questo si è potuto ottenere a causa del veto a discutere la questione imposto dalla Rice.
* * *
A Roma il presidente libanese Fouad Siniora ha detto nel corso del vertice e dirigendosi al segretario di Stato americano: «Hanno fatto un deserto e l´hanno chiamato pace». Citava Tacito.
Poche ore dopo, parlando a una folta assemblea di militanti del Partito democratico, Bill Clinton è rientrato sul sentiero di guerra in vista delle prossime elezioni presidenziali e ha detto: «Bush deve dirci se intende ammazzare tutti i nemici dell´America – il che è evidentemente impossibile – oppure cominciare a parlare con qualcuno di loro».
Parole sagge, ma con chi? Il suo ex consigliere alla Sicurezza nazionale, intervistato dalla Cnn, ha detto: «Al tavolo del vertice di Roma mancavano i veri belligeranti, la Siria, l´Iran. Si può arrivare alla pace senza discutere almeno con uno di loro?».
Per il niente che vale ho scritto esattamente le stesse cose domenica scorsa nell´articolo intitolato: «Se non si vuole la guerra, chi firma la pace?».
Evidentemente si puntava alla pace dei vincitori da imporre ai vinti, ma l´obiettivo non mi sembra a portata di mano.
Perciò la strage degli innocenti continua.



Post scriptum. Avrei dovuto scrivere anche di quanto è accaduto e accade nel cortile di casa nostra. La sentenza della giustizia sportiva redatta a «furor di popolo». Il voto sulla questione di fiducia posta sull´Afghanistan e i disobbedienti domati ma non domi. Il voto trasversale sull´indulto. La questione dell´allargamento della maggioranza. La lotta dei professionisti contro il decreto di liberalizzazione di Bersani.
Si tratta di temi e problemi di grande importanza ma è altrettanto chiaro che, fin quando avremo l´incendio della guerra in Medio Oriente sarà difficile seguire con sufficiente attenzione le dispute tra Di Pietro e Mastella, tra Diliberto e Giordano e tra Malabarba e il resto del mondo.
Dirò soltanto che spesso queste risse di cortile messe in moto per questioni di visibilità, restano al di sotto della visibilità stessa.
Minimalia. Ma poiché anche dei "minimalia" bisogna occuparsi, lo farò il prima possibile.
Nel frattempo non posso che definire queste risse e i relativi rissanti come disprezzevoli. Non bisognava farli ministri. Non bisognava dargli un seggio in Parlamento. Ma questo purtroppo è il senno del poi, da mettere in memoria per il futuro.
Come sempre, ai "minimalia" del centrosinistra fanno da imponente controcanto quelli del centrodestra. Così l´equilibrio è per ora assicurato.

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