Disinformazione, falsi storici, e l'odio antisraeliano di Ben Jelloun così viene trattata la crisi libanese
Testata: La Repubblica Data: 28 luglio 2006 Pagina: 9 Autore: Daniele Mastrogiacomo - TIMOTHY GARTON ASH - TAHAR BEN JELLOUN Titolo: «Nell´inferno di Sidone fra un milione di sfollati - I doveri che nascono dalle colpe europee - Le conseguenze della guerra»
"Qui, nel sud del Libano" scrive Daniele Mastrogiacomo sulla REPUBBLICA del 28 luglio 2006 , "sono saltate tutte le regole. Si colpisce qualsiasi cosa si muova. Si spara sugli uomini dell´Unifil, si uccidono quattro caschi blu dell´Onu, si inseguono e si costringono alla fuga i convogli carichi di latte in polvere e medicine. E poi camion, taxi, pulmini. Ma anche ambulanze e soccorritori. Bersagli facili. Si muovono agitando bandiere, drappi, segnali. Mostrano scritte, corrono con le sirene accese. Li vedono tutti. Sugli schermi radar nelle sale operative dei centri militari, attraverso le immagini dei droni che inquadrano fino a un metro di altezza. Difficile sbagliare. Eppure, si continua". Evidente la volontà di far credere ai lettori che Israele colpisca deliberatamente civili, caschi blu, ambulanze. Ma la realtà è quella di un'organizzazione terroristica che deliberatamente si nasconde tra la popolazione libanese. Mentre Israele sopporta alte perdite nelle battaglie terrestri proprio per ridurre il numero di vittime civili. Ecco il testo:
SIDONE - Jihad ci ha rimesso le gambe. Due razzi di un «Apache» hanno colpito l´ambulanza con cui trasportava i feriti di un bombardamento. L´abitacolo di guida è stato tranciato; la parte posteriore, con il suo carico, ha proseguito la corsa e si è cappottata. Il portantino ci guarda dal letto dell´ospedale Hassan Hammud, uno dei tre più grandi del Libano, nel centro di Sidone, e sorride con una smorfia. Un misto di orgoglio e di dolore. Ci racconta una scena che lo insegue, dice, come un incubo. «Me le sono viste tagliare. Da vivo. Zac: così, di netto. Neanche ci credevo. Mi sembrava che fosse un brutto sogno. E´ assurdo, ma è la realtà». Tutto è assurdo, paradossale, impensabile in questo conflitto. Siamo in guerra. Lo ricordano volantini, altoparlanti, radio, tv. Ma siamo anche in un paese democratico e civile, tornato agli sfarzi di un tempo e meta di milioni di turisti fino a due settimane fa. E´ difficile accettare violazioni così palesi del diritto umanitario. L´errore è una variabile nei teatri di guerra. Qui, nel sud del Libano, sono saltate tutte le regole. Si colpisce qualsiasi cosa si muova. Si spara sugli uomini dell´Unifil, si uccidono quattro caschi blu dell´Onu, si inseguono e si costringono alla fuga i convogli carichi di latte in polvere e medicine. E poi camion, taxi, pulmini. Ma anche ambulanze e soccorritori. Bersagli facili. Si muovono agitando bandiere, drappi, segnali. Mostrano scritte, corrono con le sirene accese. Li vedono tutti. Sugli schermi radar nelle sale operative dei centri militari, attraverso le immagini dei droni che inquadrano fino a un metro di altezza. Difficile sbagliare. Eppure, si continua. Torniamo al sud per vedere all´opera la macchina dei soccorsi. Da tre giorni, il governo israeliano ha autorizzato l´apertura di un canale umanitario. Un paio di aerei, uno giordano, l´altro canadese, sono riusciti ad atterrare sull´unica pista ancora intera dello scalo di Beirut. Un mercantile ha attraccato al porto. Hanno portato medicine e prodotti di base. Una colonna di camion li ha trasferiti a Tiro dopo un viaggio durissimo durato 9 ore. La città e i villaggi verso est sono martellati da un bombardamento intenso e costante. Dal mare, da cielo, da terra. Mercoledì pomeriggio la colonna ha iniziato a scaricare i sacchi di mais e farina che aveva trasportato. Ma la palazzina di nove piani dove venivano stipati è crollata sotto un bombardamento. L´operazione è stata interrotta e la colonna non si è più messa in moto verso Sidone. Hanno dovuto rinunciare. «Li aspettiamo ancora», ci dice il sindaco di Sidone, Abdul Rahman Bizri, seduto davanti ad un tavolo colmo di carte, circondato da uomini e donne che vanno e vengono, che gli consegnano rapporti, segnalazioni, ordini da vedere e firmare. «Avevano anche un carico di medicine per noi vitali. Stiamo finendo quasi tutte le scorte. Soprattutto quelle per le malattie croniche. Dobbiamo assistere molti diabetici, gente che ha bisogno di dialisi. Non sappiamo più come fare. Se non arrivano nel giro di un pio di giorni, saremo costretti ad andarle a prendere noi. Correremo il rischio». La macchina degli aiuti stenta a decollare. Non per cattiva volontà o disorganizzazione. Manca la sicurezza. Le poche strade ancora percorribili sono intasate dal traffico. Per raggiungere Sidone e Tiro bisogna salire sulle montagne dello Chouf e poi scendere tra valli e montagne lungo viottoli larghi tre metri. Difficile aprire un «corridoio» su queste strade. Sidone si è trasformata nel centro di raccolta dei rifugiati di tutto il sud. Si calcola che siano un milione. «In tre giorni sono giunte 50 mila persone», ci aggiorna il sindaco. «Ne aspettiamo altrettante nelle prossime 48 ore. Arrivano soprattutto dai villaggi del sud-est. E´ gente povera, contadini, piccoli commercianti. Hanno tentato di resistere. Ma quando ci sono 100 raid al giorno, c´è poco da resistere». Radio e tv fungono da allarme. Se cadono i «katyusha» in Alta Galilea, arriva la notizia e la gente cerca scampo dove può, ma qui non ci sono rifugi, la gente si protegge nei garage e nei depositi dei supermercati. Al piano terra della palazzina del Comune, gruppi di volontari registrano gli arrivi che vengono poi dirottati verso i 70 centri allestiti, ovunque possibile, in scuole, ospedali, edifici pubblici. La gente si sistema alla meglio, i letti sono materassi di gomma, le coperte dei teli. «Ieri siamo riusciti a installare delle docce», ci dice con orgoglio il sindaco. «La gente non si lavava da una settimana». Un primo risultato che sembra un miracolo. Mancano ospedali da campo, centri di primo soccorso. Mense. Per non parlare degli anziani, i bambini, le donne incinta, gli ammalati cronici. Sei grandi centri-cucina forniscono tre pasti a 70 mila persone. Ci sono le Ong locali, quelle che si sono offerte come volontari. Si alternano per riposarsi. I contatti con il governo avvengono via telefono. Più che altro messaggi di conforto e di sostegno. La protezione civile accusa ritardi e grandi difficoltà. Tutti guardano verso nord: aspettano le prime colonne di aiuti internazionali. Con un occhio rivolto al cielo e l´altro alla tv.
Timonthy Garton Ash sostiene nel suo editoriale che gli europei dovrebbero soppesare ogni parola quando parlano del Medio Oriente, in considerazione delle loro responsabilità storiche. Siamo d'accordo e consigliamo all'editorialista britannico di fare altrettanto. Ecco il testo, intervallato dai nostri commenti:
Quando e dove è iniziata questa guerra? Poco dopo le nove ora locale, mercoledì 12 luglio, quando i militanti di Hezbollah hanno sequestrato Ehud Goldwasser e Eldad Regev, riservisti israeliani all´ultimo giorno del loro periodo di richiamo, durante un´incursione oltre confine, nel nord di Israele? Venerdì 9 giugno, quando bombe israeliane hanno ucciso almeno sette civili palestinesi su una spiaggia nella striscia di Gaza?
L'inchiesta militare israeliana ha negato, con convincenti argomenti , la responsabilità delle forze di difesa israeliane.
A gennaio di quest´anno quando Hamas ha vinto le elezioni legislative palestinesi, trionfo a doppio taglio della politica americana di sostegno alla democratizzazione? Nel 1982, quando Israele invase il Libano? Nel 1979, con la rivoluzione islamica in Iran? Nel 1948, con la creazione dello stato di Israele? O si va alla Russia della primavera del 1881? Che risposte complicate esigono le domande semplici. Pur concordando sui fatti fondamentali, si discute su ogni termine: militanti, soldati o terroristi? Sequestrati, catturati o rapiti? Ogni volta che si prende in esame un avvenimento lo si interpreta. E in storie tormentate come questa ogni orrore verrà spiegato o giustificato in riferimento a qualche orrore precedente. Di tirannia in tirannia alla guerra / Di dinastia in dinastia all´odio Di infamia in infamia alla morte/ Di scelta politica in scelta politica alla tomba... "La canzone è vostra. Arrangiatela come volete", scrive il poeta James Fenton, nella sua Ballata dell´Imam e dello Shah. Tuttavia osservando le reazioni europee al conflitto in atto voglio ribadire la tesi secondo cui l´Europa ne è tra le prime cause, come essa stessa sostiene con forza. I pogrom russi del 1881, la folla in Francia che gridava "a´ bas les juifs" mentre al Capitano Dreyfus venivano strappate le mostrine all´École Militaire, la piaga dell´antisemitismo in Austria attorno al 1900 che plasmò Adolf Hitler fino ad arrivare all´Olocausto degli ebrei europei e alle ondate di antisemitismo che sconvolsero parte dell´Europa nel periodo immediatamente seguente. Fu questa storia di rifiuto sempre più radicale da parte europea, dagli anni ´80 dell´ottocento agli anni ´40 del novecento a fare da volano al sionismo politico, all´emigrazione degli ebrei in Palestina e infine alla creazione dello stato di Israele. "Fu il processo Dreyfus a fare di me un sionista", disse Theodor Herzl, padre del moderno sionismo. Dato che l´Europa decise che ciascuna nazione dovesse avere un proprio stato, non avrebbe accettato come membri a pieno titolo della nazione francese o tedesca neppure gli ebrei emancipati e infine divenne scenario del tentativo di sterminio di tutti gli ebrei, questi ultimi dovevano necessariamente trovare la loro patria nazionale da qualche altra parte. La patria, nella definizione amata da Isaiah Berlin, è il luogo in cui, se devi andarci, sono tenuti ad accoglierti. E mai più gli ebrei andranno come agnelli al macello. Da israeliani combatteranno per la vita di ogni singolo ebreo. Gli stereotipi del diciannovesimo secolo dei tedeschi Helden e degli ebrei Händler si sono invertiti. I tedeschi e con loro gran parte degli europei borghesi di oggi, sono diventati gli eterni commercianti, gli ebrei in Israele gli eterni guerrieri. Ovviamente questo è solo un filo in quello che è forse l´arazzo più complesso del mondo, ma un filo importantissimo. Credo che tutti gli europei dovrebbero parlare o scrivere del conflitto odierno in medio oriente facendo mostra di una certa consapevolezza della nostra responsabilità storica. Temo che alcuni oggi non lo facciano, e non mi riferisco solo agli estremisti di destra tedeschi che hanno sfilato a Verden in bassa Sassonia sabato sorso agitando bandiere iraniane e gridando "Isralele, centro di genocidio internazionale". Mi riferisco anche a persone riflessive di sinistra, che partecipano ai forum di discussione del Guardian e simili. Pur criticando il modo in cui i militari israeliani uccidono i civili libanesi e gli operatori Onu per riprendersi Ehud Goldwasser (e distruggere le infrastrutture militari di Hezbollah) dobbiamo ricordare che tutto questo con quasi assoluta certezza non sarebbe accaduto se alcuni europei non avessero tentato, qualche decennio fa, di cancellare chiunque portasse il nome Goldwasser dalla faccia dell´Europa, se non della terra.
C'è qualcosa di ambiguo in questa formulazione. Di fatto Ash sta addebitando all'Europa il sionismo e al nazismo la nascita di Israele, visti come cause del fondamentalismo islamico. Ma il sionismo e Israele hanno una legittimità che non dipende dalla storia dell'antisemitismo e delle persecuzioni antiebraiche, e il fondamentalismo ha sue cause e sue origini indipendenti dalla storia di Israele.
Voglio essere estremamente chiaro. Da questa terribile vicenda europea non consegue che gli europei debbano manifestare acriticamente solidarietà a qualunque scelta dell´attuale governo israeliano, per quanto violenta o sconsiderata. Al contrario, un vero amico ti dice in faccia quando sbagli. Non ne consegue che dobbiamo sottoscrivere le più recenti pericolose semplificazioni riguardo ad una "terza guerra mondiale" contro "un´alleanza terrorista tra Iran, Siria, Hezbollah e Hamas" (come afferma il repubblicano statunitense Newt Gingrich) o un "movimento totalitario coerente" dell´islamismo politico (nelle parole del parlamentare conservatore e giornalista britannico Michael Gove). Non ne consegue che tutti gli europei che criticano Israele siano tacitamente antisemiti, come danno a intendere alcuni commentatori negli Usa. E di certo non ne consegue che dovremmo essere meno attenti alle sofferenze degli arabi, inclusi gli arabi palestinesi fuggiti o scacciati dalle loro case al momento della fondazione dello stato di Israele. E i loro discendenti cresciuti nei campi profughi. La vita di ogni singolo libanese ucciso o ferito dalle bombe israeliane vale esattamente quanto quella di ogni israeliano ucciso o ferito dai razzi lanciati da Hezbollah. Ne consegue invece che gli europei hanno un obbligo speciale a impegnarsi per cercare di garantire un accordo di pace in cui lo stato di Israele possa vivere entro frontiere sicure a fianco di uno stato palestinese vitale? Secondo me sì. Di certo dato che gli europei in un modo o nell´altro hanno esercitato un´influenza su quasi ogni angolo della terra, una tesi storica del genere potrebbe in teoria condurci ovunque, adducendo l´eredità dell´imperialismo europeo a giustificazione morale universale del neo-imperialismo europeo. Ma la storia degli ebrei scacciati dalle loro patrie europee che a loro volta hanno scacciato gli arabi palestinesi dalla loro patria non ha equivalenti.
Un parallelo infondato e inaccettabile. Gli ebrei scacciati dalle loro case non hanno scacciato i palestinesi dalle loro. Sono i dirigenti palestinesi e arabi che hanno scatenato e perso numerose guerre per "buttare gli ebrei a mare" ,provocando così l'esodo dei profughi arabi dalla zone di combattimento
Pur non accettando questa tesi di responsabilità storica e morale, è palese che sono in gioco interessi vitali per l´Europa: petrolio, proliferazione nucleare e le potenziali reazioni all´interno delle nostre alienate minoranze musulmane, per citarne solo tre. Meno chiaro è quale genere di coinvolgimento sia opportuno. Una proposta è che le forze europee partecipino ad una forza multinazionale di pace nel sud del Libano, ma ha senso solo se si stabiliscono i parametri di una missione trasparente, realizzabile e circoscritta. Di questi parametri non si vede ancora traccia. Né è in vista un cessate il fuoco. Il vertice di Roma si è chiuso ieri pomeriggio camuffando semplicemente la netta divergenza tra Usa e Israele da un lato e gran parte del resto del mondo, Ue e Onu inclusi, dall´altro, su come arrivare ad un cessate il fuoco. La verità è che oggi più che mai la soluzione diplomatica sta nell´impegno totale degli Usa, sfruttando il rapporto esclusivo di influenza con Israele e avviando negoziati il più possibile diretti con tutte le parti in causa nel conflitto, per quanto sgradite. Finché ciò non accadrà l´Europa, da sola, può far poco. Eppure il punto non è solo cambiare le realtà in campo in medio oriente. Per gli europei parlare e scrivere riguardo alla posizione degli ebrei nella regione in cui li cacciarono significa anche autodefinirsi. Faremmo bene a misurare ogni parola. Traduzione di Emilia Benghi www. timothygartonash. com
Sharon e Olmert seguono la linea del "tanto peggio tanto meglio", favorendo gli integralisti per non dover trattare con i palestinesi, buona parte degli israeliani vuole semplicemente uccidere tutti i palestinesi, l'11 settembre è stato usato come pretesto per giustificare come lotta al terrorismo l'aggressione israeliana contro il popolo palestinese. Sono alcune delle spudorate falsità contenute nell'articolo di Tahar Ben Jelloun. In questo caso, nessuna attenzione alle "parole". Ben Jelloun si sente evidentemente autorizzato a scrivere qualsiasi cosa. Ecco il testo:
Anche se la guerra finisse domani, ci saranno conseguenze per anni. Il Marocco, geograficamente lontano dal Medio Oriente, segue gli eventi con rabbia. Gli schermi delle televisioni satellitari del Golfo, quasi in diretta, mostrano dappertutto la morte che colpisce popolazioni civili, con le telecamere che indugiano in particolare su bambini a pezzi. Quelle immagini orribili non penso che vengano mostrate dalle televisioni occidentali. Ho ricevuto via internet immagini insopportabili, una serie di diapositive mandate da militanti che non conosco. Non ho avuto il coraggio di guardarle fino in fondo. Quando passa attraverso l´innocenza stessa, l´infanzia, l´orrore si moltiplica per cento. Personalmente non ho bisogno di vedere corpi dilaniati dalle bombe per esprimere la mia opinione. Ho visto un reportage su una famiglia di Haifa che vive nel terrore di essere colpita dai razzi di Hezbollah. La donna dice di provare pena per quelle vittime innocenti, il marito non è d´accordo e dice freddamente: "nessuna pietà: o loro o noi". L´uomo dev´essere uno di quelli che vogliono sradicare completamente i Palestinesi. La loro teoria è semplice: ucciderli fino all´ultimo. Ariel Sharon aveva messo in atto una serie di assassini mirati seguita da invasioni e distruzioni di case, portando l´inferno fino alle baracche dei campi profughi. Questa politica non ha fatto altro che radicalizzare ulteriormente i Palestinesi e chi li sostiene, come Hezbollah e la Jihad islamica. La conseguenza principale di quella politica e della guerra attualmente in corso sarà la crescita del razzismo e dell´antisemitismo. L´odio guadagnerà ancora terreno e riempirà altri cuori. Si può dire che a partire dall´11 settembre 2001 la sorte dei Palestinesi era segnata: ce n´era abbastanza per rovinare la resistenza di un intero popolo, per considerare ogni palestinese un terrorista, un nemico dell´Occidente, un kamikaze pronto a uccidere dei civili. Da quel momento i Palestinesi non sarebbero più stati un popolo di territori occupati, di umiliati, di deboli che vivono nei campi profughi, senza uno Stato, senza frontiere continue e senza sicurezza, non più un popolo da soccorrere, ma uno Stato armato fino ai denti, politicamente potente, con una solida democrazia, che sarebbe apparso al mondo come un paese vittima del terrorismo e al quale sarebbero stati dati tutti gli appoggi perché "si difenda", come ha appena detto George W. Bush. La lotta contro il terrorismo è diventata un alibi indiscutibile. Quella guerra diventa sempre più complicata e sempre più pesante per le popolazioni palestinesi e israeliane. Appena si profila in lontananza una promessa di pace, da una parte o dall´altra arriva una provocazione a silurarla. Come se non ne valesse la pena. Come se la convivenza non fosse più auspicata né dagli uni né dagli altri. Troppe ingiustizie, troppe umiliazioni, troppa intransigenza finiscono per portare tutti alla disperazione. Ma nessuno sa più cosa fare per porre fine a questa tragedia. Israele si difende ma ha fatto un errore attaccando un paese, uno Stato indipendente – il Libano – e distruggendo l´aeroporto civile, bombardando quartieri cittadini e provocando la morte di decine di famiglie. Israele si difende seminando morte senza raggiungere il suo obbiettivo, "annientare gli Hezbollah". Le Nazioni Unite (poverine!) come sempre cercano di trovare le parole per dire le cose senza urtare la suscettibilità americana. In Europa, e perfino in Israele, viene organizzata qualche manifestazione di solidarietà con i civili libanesi. La lega araba (poverina!) si è riunita al Cairo per decidere di rimettersi alle decisioni delle Nazioni Unite. Divisi, gli Arabi non fanno niente per salvare i Palestinesi; non è certo cosa nuova. D´altronde ormai è da parecchio tempo che i Palestinesi non si aspettano più niente dai loro "fratelli" arabi. Sanno che la maggior parte degli Stati arabi sono impantanati in difficoltà politiche e guidati da regimi impopolari. Oltretutto, gli unici argomenti che sembrano riunire gran parte degli arabi sono le ideologie islamiche. E a equiparare islamismo e terrorismo si fa in fretta. Tutto questo non fa che esacerbare odio e paure. Israele conosce perfettamente la situazione. Ha scelto la politica del tanto peggio tanto meglio avviata da Sharon e portata avanti da Olmert: favorire la crescita di Hamas e della Jihad islamica per neutralizzare i laici e rifiutare ai Palestinesi la pace che reclamano, vale a dire i negoziati per la pace. Israele non discute con un movimento terrorista e quindi lo combatte, indebolisce Mahmoud Abbas, gli crea difficoltà che tolgano presa e credibilità al suo operato, mette in moto la macchina distruttrice del suo peggior nemico: Hamas. Bombarda Gaza, toglie una parte del governo, isola i campi e apre il fronte di guerra con il Sud del Libano e poi con la periferia di Beirut, bastione di Hezbollah. Dove si parla di resistenza, altri vedono terrorismo. I Palestinesi dicono che qualsiasi popolo sottoposto a una simile occupazione non potrà non cercare di resistere e di difendersi. Ma a Gaza e in America la storia non si legge nello stesso modo. I missili su Haifa dimostrano che Israele, malgrado la sua forza, è vulnerabile. Non vincerà la guerra con i bombardamenti, ma vincerà la pace accettando la situazione palestinese e avviando negoziati sinceri. Vincerà la pace accettando le risoluzioni dell´Onu e acquisendo in questo modo il diritto di esigere dal Libano che questo rispetti la risoluzione sul disarmo di Hezbollah. Siamo ancora lontani. È per questo che i due popoli devono essere separati, non dal muro dell´odio, ma da soldati delle Nazioni Unite che impediscano che i razzi finiscano sui civili israeliani e che le bombe cadano sulle popolazioni palestinesi e libanesi. Ma chi oserà intervenire? Chi troverà il coraggio di dire la verità agli uni e agli altri, che la guerra non risolverà nessun problema, che il radicalismo religioso non porterà la pace e che prima o poi quei due popoli vivranno fianco a fianco? È indispensabile che Israele e Palestina si riconoscano a vicenda, perché tutti sono stanchi di questo conflitto che dura da troppo tempo. Forse sono proprio la stanchezza e la disperazione a produrre l´energia e l´eterno ritorno dell´odio. (traduzione di Elda Volterrani
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