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La Stampa Rassegna Stampa
28.07.2006 Hezbollah e l'Iran ce l'hanno più con i sunniti che con Israele
un altra analisi distorta di Igor Man, basata su mezze verità e manipolazioni

Testata: La Stampa
Data: 28 luglio 2006
Pagina: 1
Autore: Igor Man
Titolo: «L’Europa ha svelato la trappola libanese»
L'islam sunnita (e non Israele insieme all'Occidente) sarebbe, secondo Igor Man , il vero obiettivo della jihad di Hezbollah e dell'Iran.
A partire da questa analisi caricaturale, che assolutizza un dato reale, ma parziale, come la rivalità tra fondamentalismo sciita e quello sunnita, cancellando la volontà  di distruzione di Israele comune a entrambi, Igor Man, sulla STAMPA del 28 luglio 2006, definisce una vaga ipotesi di pacificazione del Medio Oriente, incentrata sul ruolo di mediazione dell'Europa.
Man si tiene appunto sul vago, ma si capisce bene che l'idea di fondo è di opporre una politica "equivicina" al sostegno americano all'autodifesa di Israele.
Sostegno americano e  autodifesa di Israele che vengono stigmatizzati nell'ultima frase dell'articolo: "E il presidente Bush non avrà più motivo di turbarsi per i seicento (finora) civili libanesi morti ammazzati
".

Tra i "seicento civili libanesi" morti ammazzati ci sono naturalmente anche numerosi Hezbollah. Civili , in quanto non inquadrati in un esercito, e libanesi.
Ma anche terroristi, cosa che Man si guarda bene dal ricordare.

Ecco il testo:


Prese in contropiede dalla Conferenza di Roma realizzata a tempo di record dal nostro ministero degli Esteri, le grandi testate internazionali, tranne pochissime eccezioni, dedicano titoli cubitali e acidi commenti all’iniziativa italiana, sottolineandone il «totale fallimento». Ma Prodi e D’Alema, realisticamente, non s’erano posti ambiziosi traguardi. Di fronte al «niet» della Casa Bianca a un immediato cessate il fuoco, han dovuto ripiegare su «obiettivi minimalisti» e tuttavia importanti: il «corridoio» che consente l’afflusso organizzato e continuo di aiuti alimentari e sanitari all’innocente popolo libanese, vittima prima della dura risposta di Israele alla provocazione di Hezbollah. Ancora: il «ripescaggio» dell’Onu incaricato, in fatto, di riesumare i Caschi Blu può far da traino a una rivisitazione delle tante risoluzioni delle Nazioni Unite rimaste, perloppiù, lettera morta: dalla questione-Golan al disarmo di Hezbollah.

L’incubo d’un più vasto incendio nella cosiddetta area di crisi mediorientale è tutt’altro che dissolto e tuttavia c’è una notizia che apre prospettive non catastrofiche. Eccola: il Consiglio di Difesa di Israele, riunitosi giovedì a Tel Aviv, «ha deciso di non autorizzare una vasta offensiva dell’esercito in Libano ma di continuare le attuali, limitate operazioni militari contro Hezbollah». Di più: il Consiglio non ha autorizzato una più ampia mobilitazione dei riservisti e ha ribadito (ufficialmente) che «Israele non intende aprire un fronte contro la Siria».

Nel linguaggio cifrato della politica quest’ultima dichiarazione tradotta in spiccioli può voler significare qualcosa di molto importante; e cioè che Israele ha sì l’intenzione di «punire i terroristi sciiti» - come definisce i miliziani del «Partito di Dio» -, ma non intende allargare l’operazione-bonifica nel Libano: tocca a voi siriani, come già stabilito dall’Onu, disarmare le milizie accampate nel Libano-Sud, responsabili di continue «azioni di disturbo» in violazione delle leggi internazionali: questo, appunto, il messaggio cifrato di Gerusalemme a Damasco. Ovviamente non sarà stata la Conferenza di Roma a far da indotto ma gli incontri bilaterali dietro le quinte, le arrabbiature, le confessioni di impotenza, le riflessioni ad alta voce, insomma il lavorio diplomatico è valso (forse) a far prendere coscienza ad amici e nemici che la guerra, una guerra dal Golfo al Mar Rosso, non avrebbe né vinti né vincitori ma soltanto una infinità di vittime. Tra queste, in primis, i cosiddetti arabi moderati la cui ambiguità si spiega con quel che bolle nel sottosuolo di paesi dove, a dispetto dell’oro nero e della vacca grassa del turismo, i poveri son sempre più poveri e i ricchi sempre più ricchi - dove la tragedia del popolo palestinese viene vista soprattutto in termini etici. Dove il seme infetto sparso a piene mani dal Goebbels iraniano attecchisce con una rapidità infernale. Maledizioni oscene, dichiarazioni ignobili: «Israele deve scomparire, e con lui il Grande Satana occidentale», e inoltre, una pesante ancorché indiretta campagna ricattatoria in chiave energetica, tutto questo cocktail esplosivo ha fatto del signor Ahmadinejad il pupillo dei mostazafin (i sanculotti islamici) eclissando Bin Laden, addirittura.

La tragedia del Libano ha sparigliato le carte: dopo anni (troppi) di rapide guerre locali fra Israele e incauti paesi arabi, cinici strumentalizzatori dell’interminabile odissea palestinese, guerre che puntualmente han confermato il primato assoluto di Israele, l’improvvisa fiammata libanese ha illuminato il convitato di pietra: l’Iran sciita, nella persona di Ahmadinejad, è sceso in campo, ancorché per interposto combattente: Hezbollah.

Astuto com’è, il «figlio del fabbro» non è improbabile che, prima o poi, smetta di tirare la corda. Le provocazioni a Gaza e in Libano sono probabilmente le mosse (a metà fra il bluff e il full d’assi) d’un vanitoso giuocatore d’azzardo che piuttosto che avercela con il Grande Satana (gli Usa con noi «complici») ce l’ha con la galassia sunnita che ha per stella polare l’Arabia Saudita. Ahmadinejad vuole, nell’ordine, due cose: il riscatto dello Sciismo perseguitato nei secoli dai Sunniti - la leadership politica dei paesi che formano la Mezzaluna del Petrolio. Tutto questo dipende dalla capacità ma soprattutto dalla possibilità di avere la «licenza atomica».

Il Libano, vittima della provocazione di Hezbollah, è una trappola. Montata per colpire i grandi paesi sunniti più che gli Stati Uniti e lo stesso Israele. I paesi dell’Europa mediterranea sembrano averlo compreso, anche grazie alla Conferenza di Roma. Il guaio è che gli Stati Uniti sono culturalmente incapaci di «capire» l’islam in generale, gli arabi in particolare. A noi vecchi europei riesce (relativamente) meno difficile. Sicché ripeteremo ai nostri grandi alleati, cui siamo debitori della democrazia riconquistata, diremo quel che, invano, dicemmo loro prima dell’improvvida invasione dell’Iraq: noi mettiamo l’esperienza, voi mettete la potenza, e il Vicino Levante, forse, firmerà con noi una inedita joint-venture nel segno della pace. E il presidente Bush non avrà più motivo di turbarsi per i seicento (finora) civili libanesi morti ammazzati.

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