Al Qaeda e Iran si contendono la leadership della jihad mondiale hanno in comune solo la volontà di distruggere Israele e l'Occidente
Testata: Il Foglio Data: 28 luglio 2006 Pagina: 1 Autore: la redazione Titolo: «Grande corsa jihadista a chi distrugge prima Israele e batte l’occidente»
Dal FOGLIO del 28 luglio 2006:
Roma. “Al Qaida sta seduta, scomoda e a disagio, ai margini della scena, guardando Hezbollah che le ruba lo scettro”, ha scritto due giorni fa sulle pagine delle opinioni del New York Times Bernard Haykel, studioso di islam alla New York University. Puntuale è arrivato ieri il video del medico egiziano Ayman al Zawahiri, braccio destro di Osama bin Laden, volto a riconquistare quote nel mercato del jihad. Il macabro bottino di Hezbollah è piuttosto consistente, oggi: più di duemila razzi lanciati, almeno diciotto soldati di Tsahal e una ventina di civili israeliani uccisi, centinaia di feriti e mezzo milione di persone costrette a lasciare le loro case. “E’ un’impresa che nessun potere musulmano o arabo era mai riuscito a compiere dalla fondazione di Israele – ha spiegato al Foglio Haykel – E’ facile immaginare il panico di al Qaida nel vedere consensi e popolarità diminuiti dalle milizie sciite di Hezbollah, che la rete di bin Laden considera un gruppo eretico e antislamico, ma al momento in grado di attirare persino i sunniti di Hamas”. La grande gara interna al jihad è cominciata. In mezzo c’è la distruzione di Israele, elemento accomunante. Ma la rivalità è grande, tanto che Zawahiri si è visto costretto a rincorrere Hezbollah, rilanciando – per la decima volta quest’anno – la guerra santa “in ogni posto, dalla Spagna all’Iraq” e la lotta contro “i governi arabi e musulmani complici”: “Miei seguaci, siete soli sul campo, credete in Dio, combattete i vostri nemici e diventate martiri”. Il fronte nascosto che sta dietro a Hezbollah fa capo all’Iran di Mahmoud Ahmadinejad, il quale ha fatto della cancellazione dell’“entità sionista” un marchio di fabbrica. Di più. E’ riuscito a unificare la “grande umma” intorno a sé, diventando sponsor non soltanto degli sciiti di Hezbollah e del regime di Damasco di Bashar el Assad – anche se la popolazione della Siria è a prevalenza sunnita – ma pure di Hamas. E, con un tempismo perfetto, ha centrato l’obiettivo di guadagnare tempo sulla questione nucleare, che naturalmente serve all’Iran per continuare con l’arricchimento dell’uranio. Infatti, tra il sequestro del caporale israeliano a Gaza – il 25 giugno – e quello dei due soldati di Tsahal al confine col Libano – il 12 luglio – c’è stata la visita del caponegoziatore di Teheran, Ali Larijani, in Europa, per parlare di nucleare. Per la prima volta in anni di beffe diplomatiche, la delusione di Bruxelles era stata così grande che c’era stata una condivisa e rapida decisione di riportare la questione al Consiglio di sicurezza dell’Onu, e magari nel frattempo riuscire a convincere Russia e Cina sulla necessità di sanzioni. A nessuno era piaciuto il tono con cui Larijani aveva seccamente dichiarato che non ci sarebbe stata risposta da parte di Teheran sul pacchetto di incentivi offerti dagli interlocutori europei e americani fino al 22 agosto. Poi la crisi libanese ha attratto tutte le attenzioni, la corsa al nucleare dei mullah è rimasta come potente sottofondo alle frasi di Ahmadinejad che, cavalcando l’atto di guerra di Hezbollah, ha riproposto i suoi slogan contro Israele e ha inneggiato all’esplosione della guerra antisionista in tutta la regione. Certo, la minaccia iraniana – come ha ricordato ieri parlando con il Foglio l’ambasciatore americano all’Agenzia atomica, Gregory Schulte, in visita a Roma – “è ora più chiara per tutti”, ma i tempi per contenere il riarmo nucleare restano lunghi.
L’effetto di Sadr in Iraq Nel frattempo, al Qaida ha continuato a sgozzare sciiti in Iraq invocando il jihad contro infedeli e apostati, ma l’eliminazione del luogotenente in loco, al Zarqawi, e il ritorno in armi dell’esercito del Mahdi di Moqtada al Sadr – che ieri Dan Senor, ex consigliere dell’Amministrazione Bush in Iraq, indicava sul Wall Street Journal come il prossimo Hezbollah – hanno contribuito ad appannare il messaggio. Così, lasciando quasi trasparire una possibile unione con gli sciiti del partito di Dio – improbabile, al netto degli interessi specifici, come dimostra l’alleanza di una parte di pasdaran iraniani con i talebani in Afghanistan per il controllo del mercato dell’oppio – Zawahiri ha cercato di riconquistare visibilità. L’obiettivo di al Qaida è un grande califfato dalle coste del Mediterraneo fino al sud-est asiatico, quello dell’Iran è una grande rivoluzione islamica. Due progetti in concorrenza ma che passano entrambi – unico collante – per l’eliminazione dello stato d’Israele.
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