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La Stampa Rassegna Stampa
28.07.2006 Israele frenato dagli sforzi per non colpire i civili
cronache di guerra e analisi militari

Testata: La Stampa
Data: 28 luglio 2006
Pagina: 7
Autore: Fiamma Nirenstein - Maurizio Molinari
Titolo: «Israele richiama 30 mila riservisti - E’ in crisi il mito dell’armata invincibile - Luttwak: gli Hezbollah non fuggono»
Da La STAMPA del 28 luglio 2006, la cronaca di Fiamma Nirenstein:

È venuta durante una giornata di tormenti la decisione del Gabinetto per la Sicurezza: da una parte la scelta, direttamente sostenuta da Olmert e dal ministro della difesa Peretz e poi votata 11 voti a 1, di non espandere le operazioni dell’esercito, dall’altra quella di richiamare le riserve, tre divisioni, fino a 30 mila uomini. Tre sono i motivi strategici: il primo la frizione, crescente di ora in ora, con una Siria spaventata il cui esercito è in massima allerta, e i cui nervi potrebbero saltare. Israele non ha interesse a allargare il conflitto. In secondo luogo, il governo non vuole sfidare l’opinione pubblica internazionale, ma mantenere in piedi l’operazione: di fatto la Conferenza di Roma non ha chiesto un immediato cessate il fuoco, ma l’Unione Europea, e anche Romano Prodi personalmente, ieri ci hanno tenuto a precisare che invece l’intenzione era proprio quella.
Israele segnala con la sua decisione che non ha intenzione di occupare territorio. D’altra parte, anche se Israele ci tiene a comunicare che l’operazione va bene, vuole spiegare con l’arruolamento delle riserve che, «poiché questa è una dura guerra - come ha detto il ministro Amir Peretz -, dobbiamo aspettarci qualsiasi drammatico evento, e essere tranquilli di raggiungere la vittoria». Ma lo stato d’animo che ha circondato la decisione di ieri, è uno stato d’animo tuttavia estremamente addolorato: dall’inizio del conflitto ci sono state 53 vittime, i nove soldati uccisi dagli Hezbollah nell’inferno di Bint Jbeil ieri sono stati seppelliti in tante città e kibbutz d’Israele; madri, fratelli, amici disperati hanno formato un’unica catena in un Paese così piccolo. I giornali, i media tutti, raccontavano l’eroismo di quei ragazzi di diciotto anni.
Non c’era destra né sinistra nel ricordo dei soldati: «Le lacrime scorrono - ha scritto Amnon Dankner, il direttore di Maariv, giornale popolare di sinistra - per i giovani soldati caduti in battaglia. Non cercavano la morte, né la santificavano. Amavano la vita e erano pieni di programmi, e quando si è spenta la loro luce, la luce si è spenta anche nelle case delle famiglie e tutti gli israeliani hanno sentito che il proprio cuore se ne andava con loro». I giornali sono pieni di racconti sulla battaglia porta a porta, condotta così per evitare che nel villaggio sciita di Bint Jbeil si spargesse il sangue dei civili rimasti nelle case. E raccontano che i soldati, distrutti da due giorni di scontri, sono tornati senza sonno e senz’acqua a più riprese, fra gli uomini di Nasrallah in agguato, per recuperare i feriti e i corpi dei compagni caduti (più volte gli Hezbollah hanno usato le salme per ricattare e scambiare con prigionieri vivi) e hanno perso a loro volta la vita. Il comandante della compagnia 31 dei Golani ha detto ai soldati: «State per andare a recuperare i corpi dei vostri compagni. Preparatevi perché non sappiamo in che stato sono in corpi, non guardate troppo. Ricordatevi che li riportate alle famiglie». Alcuni soldati, tornando dal campo di battaglia, raccontano che gli Hezbollah «sono bravi combattenti, non come noi, ma migliori di quelli di Hamas».
La preoccupazione di Israele di colpire troppo duro in questa guerra asimmetrica provoca una critica interna sull’efficacia delle operazioni e si traduce nella richiesta di alcuni rappresentanti dell’opinione pubblica sia di destra, come Geula Cohen, che di sinistra, come Haim Ramon, di fare terra bruciata dei villaggi occupati da Nasrallah. Nel frattempo, dal fronte opposto, che non dà notizie sui caduti, pure si capisce che le perdite di armi e uomini è stata ingente e avvertita. Pare che Nasrallah sia a Damasco (secondo il giornale kuwaitiano Al Syassah) e che lì si trovi anche Ali Larjani, segretario del consiglio nazionale per la Sicurezza dell’Iran. Secondo i giornalisti kuwaitiani, si tratterebbe di un vero summit strategico fra Assad, Larjani, Nasrallah, anche se la Siria avrebbe adesso un tavolo aperto e segreto con gli Stati Uniti.
L’Iran sembra considerarsi un’autentica parte in causa: la bandiera gialla degli Hezbollah è stata issata sul parlamento di Teheran. E i giornali iraniani hanno sostenuto che Tel Aviv era stata evacuata a seguito dell’ultimo discorso di Nasrallah. Si è fatta viva anche Al Qaeda: ieri, in un messaggio registrato trasmesso da Al Jazeera, Ayman al Zawahiri, il numero due di Bin Laden, ha detto che Al Qaeda pensa che «la guerra con Israele non ha a che fare con un cessate il fuoco. È una jihad che continuerà fino a che la nostra religione prevarrà dalla Spagna all’Iraq».

Di seguito un articolo sul dibattito apertosi in Israele in seguito alle difficoltà incontrate da Tsahal a contrastare l'aggressione di Hezbollah: 

Un mito pluridecennale vacilla dopo due settimane di guerra in Libano: quello dell’irresistibile potenza delle Forze di difesa israeliane (Idf). Le immagini dei katiuscia di Hezbollah che continuano a colpire, al ritmo di 80-100 al giorno, i villaggi della Galilea, o i racconti dei soldati israeliani, spaventati dalla sanguinosa imboscata avvenuta l’altro ieri nella roccaforte sciita di Bint Jbeil, rimbalzano impietosi sugli schermi di un Paese abituato a sentirsi e a farsi sentire invincibile.
In Israele, molti cominciano a chiedersi come sia possibile che nel 1967, in soli 6 giorni, le truppe di un giovane Stato sbaragliarono le armate dell’Egitto, della Siria, della Giordania e dell’Iraq, mentre adesso l’Idf, pur tecnologicamente e numericamente superiore, non riesce ad avere ragione di alcune migliaia di guerriglieri. Più che in ogni altro Stato moderno, la storia di Israele è strettamente intrecciata alla storia delle sue forze di difesa. Fondato ufficialmente nel 1948 per difendere l’esistenza, l’integrità territoriale e la sovranità dello stato di Israele, l’Idf ha sostituito le organizzazioni armate come l’Haganah e la sua sezione operativa Palmach e le organizzazioni clandestine.
«Gli arabi considerano una vittoria già il fatto che Israele non abbia finora raggiunto i suoi obiettivi», avverte Khaled Abu Toameh in un editoriale del quotidiano Jerusalem Post. Se il leader di Hezbollah, lo sceicco Hassan Nasrallah, non venisse sconfitto e annientato, «sarebbe un disastro per Israele», ha osservato Moshe Arens, un falco ed ex ministro della Difesa del Likud. «Nasrallah sarebbe visto come colui che spara migliaia di razzi sulle comunità israeliane, senza subire conseguenze». Zèev Schiff, autorevole decano dei commentatori militari israeliani, non ha dubbi: «Non possiamo permetterci una situazione di strategica parità tra Israele ed Hezbollah. Se Hezbollah non viene sconfitto in questa guerra, ciò significherà la fine della politica di deterrenza israeliana verso i propri nemici».
Al di là dei dibattiti, le leggendarie forze armate israeliane appaiono in difficoltà di fronte alle tecniche della guerriglia sciita. Migliaia di incursioni aeree sul Libano non sono riuscite a distruggere le capacità operative dei miliziani: razzi Katiusha continuano a cadere sull’Alta Galilea, mentre Nasrallah si è addirittura concesso, dagli schermi della sua televisione, la spavalderia di minacciare missili persino a sud di Haifa. E dire che i guerriglieri Hezbollah possono contare su un arsenale molto limitato, se confrontato con quello del nemico israeliano. Ma sono estremamente agguerriti e abili nella guerriglia.
Negli ultimi anni, dopo il ritiro dal sud del Libano nel 2000, le forze armate israeliane si sono dovute confrontare solo con i palestinesi, un nemico «debole», in termini militari, armato di razzi artigianali e di kamikaze. Ciò ha portato ad un declino nelle capacità del leggendario Idf? «Prima ancora di sapere chi vincerà questa guerra, possiamo dire con certezza che abbiamo subito una terribile sconfitta in termini di immagine sia in Libano che nel mondo arabo», risponde l’editorialista del Màariv, Jacky Hugi.

Infine, un'intervista di Maurizio Molinari all'analista militare Edward Luttwak:

«Il segreto della resistenza degli Hezbollah agli attacchi israeliani è una rete di case, fortini e bunker costruiti non in legno o mattoni ma nella roccia. Questo obbliga Israele a combattere con la fanteria». Così Edward Luttwak, esperto di strategia militare del Centro di studi strategici internazionali di Washington, spiega le notevoli difficoltà che stanno incontrando le truppe di Gerusalemme.
Quali sono le forze in campo?
«Gli israeliani stanno usando reclute di fanteria, i commandos Maglan e i corpi speciali della Sayeret Matkal per le missioni in profondità contro il lancio di razzi. Gli Hezbollah sono combattenti che non fuggono né sono incompetenti, non sono la peggior truppa araba. La loro forza è nell’essere bene addestrati dagli iraniani, valgono la metà dei migliori corpi europei o israeliani».
Perché dopo oltre due settimane di offensiva gli israeliani non riescono ad avanzare?
«Gli israeliani hanno scelto dall’inizio di limitare l’uso di artiglieria ed aviazione per evitare vittime civili come dimostra che con oltre 3000 azioni aeree vi sono stati meno di 500 morti. Hanno scelto la tattica di un combattimento di fanteria e ciò ha comportato, come avvenuto a Bint Jabel, battersi fra case e fortini fatti di roccia e bunker con porte d’acciaio. In queste condizioni in genere si perde un soldato per ogni nemico ucciso. Gli israeliani hanno avuto 8 morti e 22 feriti eliminando almeno 100 Hezbollah. Gli Hezbollah sono buoni combattenti ma non esageriamo: conquistare una posizione della Legione Araba nel 1967 costò a Israele 150 vittime».
Eppure l’impressione è che l’esercito israeliano per la prima volta sia stato bloccato...
«Gli israeliani sono frenati da due limiti. Primo: non vogliono colpire i civili mentre Hezbollah si difende con i civili ritenendo che morendo come scudi umani andranno in paradiso. Secondo: gli Hezbollah hanno costruito una rete di case, bunker e fortini dentro rocce naturali contro le quali le bombe antibunker possono poco. In queste condizioni gli israeliani procedono a piedi, porta d’acciaio dopo porta d’acciaio, con l’obiettivo di smantellare tutti i fortini ad una distanza fra 1 e 4 km dalla frontiera libanese perché è da qui che gli Hezbollah lanciavano attacchi simili a quelli che hanno portato al sequestro dei due soldati da cui è iniziato l’attuale conflitto».
Israele si prepara dunque a pagare un prezzo molto alto.
«Quale che sarà il prezzo Israele non si fermerà prima di aver preso tutti i fortini e poi ne passerà la consegna alla forza internazionale. Gli Hezbollah non vi torneranno mai più».
L’abilità militare degli Hezbollah è stata paragonata a quella dei Vietcong o dei giapponesi ad Iwo Jima. Cosa ne pensa?
«Evitiamo paragoni da analfabeti. Gli Hezbollah sono truppe che non si arrendono nè fuggono. Non sono i palestinesi ma neanche i tedeschi che asserragliati a Montecassino inflissero agli alleati 20 mila vittime».
Come spiega che tremila azioni aeree non sono riuscite a bloccare i lanci di katiusha?
«Perché bastano 2 persone per lanciare un katiusha ed ogni Hezbollah ne ha in casa 30 o 40, che lancia di testa propria».
Qual è l’arma più pericolosa che hanno gli Hezbollah?
«I missili Zelzal, sono lunghi 8 metri, pesano 3,4 tonnellate e possono portare 600 kg di esplosivo fino a 200 km di distanza. Sono una versione iraniana di missili russi terra-terra molto imprecisi. Prima del conflitto ne avevano 200, a Sud Beirut e nella Bekaa. Uno è caduto su Beirut subito dopo il lancio, molti sono stati distrutti ma un certo numero resta. Per l’aviazione è più facile eliminarli rispetto ai katiusha».
Il colpo più spettacolare degli Hezbollah è stata la nave colpita con un missile. Come sono riusciti a beffare la Marina?
«Era un missile cinese modificato dagli iraniani. Ha centrato la nave perché la Marina operava con le difese antimissile disattivate al fine di evitare di colpire i propri aerei. Adesso le hanno attivate e i missili cinesi sono stati neutralizzati».
Perché Israele ha richiamato tre brigate di riservisti?
«I 30 mila riservisti servono a far riposare le reclute ed a prepararsi a cambiare tattica: non più espugnare fortini ma assumere il controllo di ampi territori».
Ma non è una contraddizione con l’impegno a non estendere le operazioni militari?
«Significa prepararsi a cambiare tattica in fretta se sarà necessario, ovvero se gli Usa dovessero chiedere di porre fine alle operazioni entro 48 ore».
Con gli Hezbollah che tengono bene il fronte contro gli israeliani sono in molti a criticare la gestione da parte di Olmert. È un premier dal polso debole?
«Olmert finora ha ottenuto un obiettivo politico. Per sei anni Hezbollah ha raccontato ai libanesi che gli attacchi a Israele non avrebbero comportato conseguenze. Olmert ha dimostrato che dicevano il falso, delegittimandoli di fronte ai libanesi».

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