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Il Manifesto Rassegna Stampa
27.07.2006 Spazio alla propaganda di Hezbollah e Hamas
sul quotidiano comunista

Testata: Il Manifesto
Data: 27 luglio 2006
Pagina: 2
Autore: Michele Giorgio - la redazione - Annalena Di Giovanni
Titolo: «Gli aiuti li porta già Hezbollah - Uccisi 8(0 14 )soldati israeliani - «Colonne di Sansone» a Gaza, sterminate intere famiglie»

"Gli aiuti li porta già Hezbollah" ci assicura Michele Giorgio sul MANIFESTO del 27 luglio 2006, spiegando quanto è benefica l'organizzazione terroristica per le popolazioni che tiene in ostaggio.
Ecco il testo: 

Hussein Fbeih è la prima volta che torna a Bir Al-Abed da quando, con la sua famiglia, 12 giorni fa è scappato dai bombardamenti israeliani sul suo quartiere, nella periferia meridionale di Beirut. Si è unito al nostro gruppo, tutti giornalisti stranieri, approfittando delle «visite» quotidiane alle zone colpite che gli attivisti di Hezbollah organizzano per la stampa estera. «Voglio vedere con i miei occhi cosa gli israeliani hanno fatto al nostro quartiere ma ho una paura tremenda», ammette senza problemi ben sapendo che anche gli altri hanno il cuore in gola. Bisogna fare in fretta, la minaccia di un nuovo bombardamento aereo si è fatta imminente. Dal sud arrivano notizie di forti perdite tra i soldati israeliani lanciati all'assalto del villaggio di Bint Jbeil. «Quando in battaglia le cose per gli israeliani si mettono male o i katiusha cadono su Haifa, allora scattano i raid aerei su Beirut», ci spiega una delle guide. Si avanza a passo veloce, cercando di evitare i cavi dell'alta tensione, tenendosi a distanza dagli edifici pericolanti. Il centro «Said Shuhada», dove Hassan Nasrallah, il leader di Hezbollah, teneva i suoi discorsi è stato colpito nuovamente martedì sera dai missili degli F16, ma in parte è ancora in piedi. La casa di Hussein invece non c'è più, è stata tra le prime ad essere colpita dalle bombe, perché vicina al quartier generale di Hezbollah. Quella del nonno invece è stata danneggiata solo in parte ma è inagibile. «Guardate - ci dice Hussein indicando il primo piano di una abitazione - su quella parete c'è ancora il quadro con l'immagine dell'Imam Ali». Poi aggiunge soddisfatto: «Le bombe israeliane non possono nulla contro i nostri Imam». Si comincia a correre, tra i frigoriferi e le lavatrici di un negozio di elettrodomestici che le esplosioni hanno sparso in strada, tra materassi e cuscini che qualcuno non ha fatto in tempo a portare via, attenti a non calpestare oggetti strani, non immediatamente riconoscibili, che potrebbero essere ordigni inesplosi. Israele - ha denunciato Human Rights Watch - ha scaricato sul Libano tonnellate di bombe a grappolo.
È stata una perlustrazione più breve rispetto ad altre volte tra le macerie che crescono e si espandono con il trascorrere dei giorni. «Motivi di sicurezza, gli aerei israeliani potrebbero arrivare in qualsiasi momento», spiega Ghassan Darwish, uno dei responsabili di Hezbollah per i rapporti con la stampa. Darwish ha voglia di parlare non solo di distruzione ma anche di ricostruzione. «La nostra gente ha una grande forza d'animo - esordisce - e noi (Hezbollah) faremo la nostra parte per assistere chi soffre ora e in futuro». Non aggiunge molto altro, ma è chiaro che si riferisce alla gigantesca mobilitazione e alla raccolta di donazioni che il partito di Hassan Nasrallah ha avviato in tutto il paese per aiutare gli sfollati e tutti coloro che hanno perduto la casa nei bombardamenti israeliani. Da alcuni giorni automobili con le insegne di Hezbollah percorrono le strade di Beirut dove si sono riversati - a casa di parenti ed amici - migliaia di abitanti di Bir Al-Abed e del quartiere adiacente di Haret Hreik. Hanno il compito di tenere alto lo spirito militante, di confermare la fiducia nella vittoria finale ma anche di rassicurare gli sfollati della capitale e quelli giunti a decine di migliaia dal sud dove infuria la battaglia contro l'invasore, che Nasrallah non li ha dimenticati e che, al termine delle ostilità, darà un alloggio a tutti.
Migliaia di case sono state distrutte, le reti idrica, elettrica e telefonica hanno subìto danni enormi. Ridare un appartamento a tante persone sarà un'impresa che richiederà molti mesi o forse anni e la leadership Hezbollah ha intuito che l'ampiezza delle devastazioni potrebbe giocare sfavore della popolarità del partito proprio tra gli sciiti, suo tradizionale serbatoio di voti e consensi. Non è insignificante che, in una intervista, Mahmud Komati, un importante membro dell'ufficio politico di Hezbollah, abbia ammesso che il Partito di Dio non si aspettava una reazione tanto forte da parte dello Stato ebraico dopo la cattura dei due soldati il 12 luglio. Aveva previsto attacchi pesanti, ma limitati a postazioni della guerriglia nel sud del Libano. Il bombardamento sistematico e devastante di Haret Hreik e Bir Al-Abed e di altre zone di Beirut non era stato messo in conto. Alia Hrub, 24 anni, non ha più una abitazione e da dieci giorni, assieme alla madre e alla sorella, vive a casa di una zia in una zona di Beirut più centrale, quindi non esposta ai bombardamenti. «Abbiamo ricevuto la visita di due rappresentanti del dipartimento sociale di Hezbollah - racconta - che ci hanno assicurato che, non appena termineranno i combattimenti, il partito ci troverà un alloggio temporaneo e in futuro ricostruirà il palazzo dove abitavamo».
Assicurazioni analoghe vengono date a centinaia di famiglie che da giorni sono costrette a vivere in scuole, università, palestre ma anche in giardini pubblici ed edifici abbandonati. Una promessa non facile da mantenere, nonostante la determinazione di Hezbollah, se si tiene conto che occorreranno centinaia di milioni di dollari e che gli aiuti dei Paesi arabi andranno al governo centrale libanese. È ancora presto peraltro fare previsioni sull'impatto politico che un eventuale accordo per il cessate il fuoco avrà su Hezbollah, soprattutto se gli Stati Uniti riusciranno a far prevalere la loro linea (che è quella di Israele) in aperto contrasto con la posizione di Nasrallah che martedì sera, in un discorso televisivo, ha ribadito a tutti i libanesi che non accetterà soluzioni «umilianti» imposte dall'esterno. Il Partito di Dio, che negli ultimi anni è stata una delle forze più influenti in Libano, potrebbe emergere dalla guerra ridimensionato, soprattutto se perderà il controllo militare delle regioni meridionali del Paese senza aver ottenuto in cambio il ritiro israeliano dalle Fattorie di Sheeba e la liberazione dei detenuti politici libanesi in carcere in Israele.

A pagina 4 c'è il bollettino di guerra "Uccisi 8(0 14 )soldati israeliani.
La cronaca è trionfante.
Ecco il testo:


«L'esercito ha fallito?», «Obiettivi non raggiunti», questi erano due titoli sulla prima pagina di ieri su Haaretz, giornale israeliano di centro-sinistra finora, come tutti gli altri media di Israele, favorevoli alla guerra. E il giornale con i suoi titoli dubbiosi era uscito prima che si sapesse delle pesanti perdite subite ieri da Tshal nel sud del Libano. Le tv arabe hanno parlato di 13 (al-Jaazera) e «almeno» 12 o 14 (al-Arabiya) soldati israeliani uccisi nell'avanzata per conquistare la cittadina di Bint Jbeil, roccaforte degli hezbollah a 4 chilometri dal confine con Israele. In serata gli israeliani hanno confermato la morte di 8 soldati. «I corpi dei soldati morti sono rimasti sul terreno fra i loro veicoli distrutti e in fiamme», ha detto la tv degli hezbollah al-Manar.
Se la notizia verrà, come appare probabile, confermata sarà il più duro colpo subito dall'esercito israeliano, che oltretutto impiega nell'operazione non riservisti qualunque ma truppe speciali, dall'inizio delle ostilità in Libano, il 12 luglio scorso.
Ma sarà anche la conferma che andare a stanare gli hezbollah è più difficile che andare ad ammazzare palestinesi a Gaza e non è una passeggiata, come molti in Israele credevano. Ora i comandi israeliani riconoscono che le milizie del Partito di dio, nate negli anni 80 dopo l'invasione del Libano dell'82 da parte delle armate del generale Sharon, sono molto più forti e meglio addestrate, con armi guidate dai radar e dai laser probabilmente ricevute dall'Iran, di quanto loro non si aspettassero. Anche se adesso dicono, per bocca del maggior Tzvika Golan, portavoce militare israeliano, che loro «sapevano bene di stare entrando in un nido pericoloso» e che l'avanzata sarebbe stata «lenta, casa per casa, villaggio per villaggio».
I combattimenti intorno a Bint Jbeil durano ormai da quattro giorni e la sua caduta era già stata annunciata dagli israeliani. La cittadina è - o era - abitata da 30 mila persone, che ora si pensa (e si spera) siano per la maggior parte fuggite nel porto di Tiro, peraltro anch'esso sotto bombardamento, ieri, dei caccia israeliani.
Collocata sulla cima di una collina, è un luogo di grande importanza oltre che pratica, simbolica per la guerriglia hezbollah in quanto vi abita la maggior comunità sciita sul confine meridionale del Libano e si era fatta la fama di «capitale della resistenza» durante l'occupazione israeliana dell'1982-2000 grazie al suo sostegno agli hezbollah. E' da lì che gli hezbollah hanno lanciato l'incursione oltre il confine con Israele del 12 luglio scorso - quando ucciderso 8 soldati israeliani e ne catturarono 2 - che è stato l'apparente pretesto per la guerra. Anche altri villaggi della zona, come Maroun a-Ras Yaroun e Aitaroun, presi dagli israeliani negli ultimi giorni, sono stati attaccati ieri, a quanto pare, dalla resistenza hezbollah. Nelle operazioni secondo gli israeliani sono stati uccisi finora 130 guerriglieri, 28 secondo hezbollah.
Dentro Bint Jbeil la situazione è terrificante. I bombardamenti israeliani l'hanno praticamente rasa al suolo. «Ho visto cani e gatti aggirarsi sui cadaveri che non potevano essere ritirarti dalle case sventrate", ha detto Ali Abbas Tehfi, un americano di Los Angeles originario della cittadina in una testimonianza raccolta dall' Ap (pare che siano diversi gli americani di origine libanese intrappolati).
L'accanita guerra di terra intorno ai villaggi di confine non ha fermato il lancio dei razzi katyusha che infernizzano la vita di città e villaggi del nord israeliano. Ieri, mentre i caccia di Israele hanno effettuato più di 70 incursioni aeree su obiettivi (militari o civili?) del sud del Libano, una gragnuola di 120 razzi è piovuta sull'Alta Galilea provocando una trentina di feriti.
Il leader degli hezbollah, Nasrallah, in un messaggio trasmesso ieri mattina, ha detto che è possibile che, a gioco lungo, i guerriglieri non riescano a impedire l'entrata degli israeliani a Bint Jbeil e negli altri villaggi perché loro non sono «un esercito classico: noi combattiamo una guerra di guerriglia e la cosa importante è quante perdite riusciamo a infliggere al nemico israeliano».
Finora, senza contare la mattanza di palestinesi a Gaza, in Libano è costata 422 libanesi uccisi, quasi tutti civili, e 750 mila profughi, tutti civili (perché gli hezbollah in tutta evidenza non se ne sono andati), contro 42 israeliani, di cui 24 soldati.
Ma non è finita e non si vede quando finirà. Israele, dove ieri sera il premier Olmert ha riunito il governo in una seduta d'emergenza, spera di risolvere il problema con l'occupazione (di nuovo...) di una «fascia di sicurezza» larga 2 km all'interrno del Libano meridionale che poi sarebbe restituita alla ipotetica forza multinazionale «muscolata» incaricata di tenere lontani gli hezbollah dal confine.
Probabilmente una speranza vana perché gli hezbollah, per quanto brutti e cattivi siano, sono un effetto, non la causa del problema.

Annalena Di Giovanni riporta come vere le dichiarazioni propagandistiche palestinesi, prive di qualsiasi prova,  sull'uso di "fosforo bianco" da parte di Israele a Gaza.
Ecco il testo dell'articolo, «Colonne di Sansone» a Gaza, sterminate intere famiglie:


I palestinesi abbandonati a se stessi, Gaza crivellata dai missili israeliani, un conto di morti che sembra non chiudersi mai: prima 13, poi 14, poi 19 infine 23. Arranca in Libano, Tsahal, ma di certo si rifà a Gaza dove 50 carri armati israeliani sono penetrati per altri 2 km all'interno della Striscia ieri, in quella che rimane - per ora- la giornata più sanguinaria del mese di luglio. Un' offensiva coperta da una pioggia di missili e da una flotta aerea pilotata a distanza.
Ha già un nome l'ultima operazione israeliana nei Territori palestinesi occupati: «Operazione colonne di Sansone». Con i riflettori internazionali puntati sul Libano, l'esercito israeliano non perde tempo a spiegare le vittime palestinesi della giornata di ieri. Delle 23 per ora confermate, soltanto 10 erano combattenti; fra questi, però, alcuni appartenevano alle forze di sicurezza dell' Anp . Gli altri vanno annoverati fra i «danni collaterali», quelli che vengono presi per sbaglio.
Dunque, presa per sbaglio all'alba l'intera famiglia as-Soudy, preso Salah Hassaneen,, presa la piccola Sabah Habib, di appena 3 anni. Si affollavano lungo la via Hassanin, forse per obbedire agli avvisi trasmessi dall'esercito israeliano che intimavano alla popolazione di abbandonare le proprie abitazioni per permettere ai soldati di rastrellare l'area. Un missile sparato da un aereo senza pilota li ha centrati.
In mattinata, la risposta da parte delle milizie è stata di alcuni razzi Qassam sparati verso le vicine città israeliane. Secondoil Comitato di resistenza popolare palestinese, uno di questi avrebbe distrutto un carro armato merkava nel nord della Striscia. La risposta israeliana alla controffensiava palestinese è stata ben più poderosa di quei pochi razzi artigianali: ne hanno fatto le spese Maryia 'ukal, di 8 anni, e la sorellina Shahd, di 5 mesi, centrate insieme alla madre a Jabaliya dai bombardamenti israeliani. Preso per sbaglio anche un padre ed un figlio da una raffica di proiettili ; sempre a Gaza City , i carri armati hanno bombardato la folla di civili in fuga, sterminando un'intera famiglia della quale non c'è stato modo neanche di raccogliere le generalità.
E' difficile tenere infatti il numero delle vittime e degli assalti dell'esercito, che si è scatenato per tutta la Striscia con ruspe, carri armati, apaches ed Apc continuano a far fuoco su qualunque bersaglio.
I alle 22 di ieri sera i morti dichiarati ammontavano a 23 ma non è tutto. Ci sono ancora almeno 40 feriti fra la vita e la morte soccorsi con i pochi mezzi ancora a disposizione degli ospedali di Gaza, visto che la Striscia, nel silenzio internazionale, è ancora stretta in un assedio ferreo da Israele che non lascia penetrare né cibo né tantomeno medicinali da settimane, lasciando che gli aiuti si ammassino ai check-points. Ed è disperato l'appello da parte delle strutture mediche palestinesi, ormai in ginocchio, perchè i civili accorrano negli ospedali a donare sangue per le trasfusioni. Ma saranno in pochi a potervisi recare.
Israele è dunque tornata a colpire la popolazione a colpi di missili, mentre è grave la dichiarazione del Ministro della salute palestinese che, dopo l'esame di alcuni dei cadaveri di oggi, orrendamente carbonizzati, e delle mutilazioni subite dai civili coinvolti nelle esplosioni, accusa Israele di aver utilizzato bombe al fosforo contro la popolazione di Gaza.
Non c'è pace neanche per i palestinesi della Cisgiordania: a Kufur Qaddam, ad est di Qalqilia, la popolazione è stata obbligata sotto minaccia a fuggire dalle proprie case perchè sospettata di nascondere alcuni ricercati. La vittima accidentale di tutto questo è stata Mahmoud Ahmad Samha, di sessanta anni, che i soldati hanno lasciato morire al check-point di 'Azzon non permettendogli di raggiungere l'ospedale più vicino.Infine, ieri, la beffa finale: quando a Qalqilia è scoppiato un incendio presso il tratto del muro di separazione, ed i vigili del fuoco hanno tentato di intervenire per spegnerlo, i soldati israeliani li hanno bloccati sequestrato i loro documenti di riconoscimento e lasciando che le fiamme imperversassero ed impedendo alle pompe di acqua di operare per mancanza di autorizzazione da parte del governatore militare israeliano.

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