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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
26.07.2006 Nessuna replica alle menzogne di Hezbollah
un'intervista acritica di Lorenzo Cremonesi. Che interpella anche Samir Geagea, il quale spera nel disarmo del gruppo terroristico

Testata: Corriere della Sera
Data: 26 luglio 2006
Pagina: 6
Autore: Lorenzo Cremonesi
Titolo: «Approfittiamo dei blitz per smantellare le milizie -La pace non passa da Roma Ci difendiamo dagli aggressori»
Due interviste di Lorenzo Cremonesi pubblicate mercoledì 26 luglio dal CORRIERE della SERA.
Una a Samir Geagea, ex vapo delle Forze libanesi, che riportiamo:

CEDRI DEL LIBANO — Tra i ranghi più militanti della comunità maronita c'è una teoria che va molto di moda. La raccontano più o meno così: la Siria è riuscita a dividere i cristiani usando i suoi vecchi nemici in Libano. Come? Da una parte la primavera dell'anno scorso ha permesso a Michelle Aoun di tornare a Beirut dal suo esilio in Francia e gli promette presto la presidenza del Paese. In cambio questi si allea con le forze filo-siriane e persino con l'Hezbollah.
Dall'altra, il 25 luglio 2005 viene permesso a Samir Geagea di uscire di cella dopo 11 lunghi anni in isolamento. L'ex capo delle Forze Libanesi, l'uomo duro della Falange, ha 56 anni, è provato, stanco, magari proverà una timida resistenza. Ma sarà facilmente sconfitto. Così il fronte cristiano risulta frazionato in due parti, indebolito. «Mi sembra una teoria interessante. Ma ora faccio parte del Fronte del 14 marzo. Non sono solo. Eppoi io non credo più nello scontro frontale con l'Hezbollah. Tutt'altro. Le memorie della guerra civile sono ancora troppo fresche. Nessuno è pronto al ritorno del fratricidio. Con Hassan Nasrallah cerco il dialogo, non la guerra» commenta Geagea.
Lo incontriamo nella sua residenza estiva a oltre 2.000 metri d'altezza, nel cuore delle montagne libanesi. Geagea appare pensieroso, dimagrito, molto diverso dagli anni in cui il bellicoso capo delle Forze Libanesi aveva dichiarato guerra alle milizie musulmane, sparava su Yasser Arafat, riceveva armi e proiettili israeliani al porto di Junieh e non aveva paura di lanciare i suoi uomini contro l'esercito siriano.
«L'èra delle armi è finita. Occorre dialogare» dice. E solo dopo un lungo prologo inizia a svelare i suoi veri sentimenti. Perché Geagea infine ammette apertamente che l'Hezbollah obbedisce agli interessi siro- iraniani e che nel lungo periodo lo Stato libanese «deve disarmarlo se davvero desidera mantenere la propria sovranità». Il problema è: come? Nei quartieri cristiani corre voce che proprio nelle vallate vicine ai Cedri del Libano, le antiche roccaforti maronite contro le scorribande saracene, si stanno accumulando armi di ogni tipo. C'è la possibilità che vengano ricostituite le Forze Libanesi? «Assolutamente no. Oggi siamo un partito politico con 5 deputati in Parlamento e un ministro nel governo. Guai se tornassimo alla logica delle milizie» replica lui deciso. E sfodera quella che qui chiamano la «proposta Geagea». «La costituzione di una zona cuscinetto nel Libano del Sud, presidiata da una forza multinazionale con almeno 20.000 uomini e un mandato aggressivo. Non puri osservatori passivi, come sono oggi i peacekeepers
dell'Unifil in quelle regioni. Bensì un vero esercito di intervento rapido, con il mandato e le armi necessarie per far la guerra contro l'Hezbollah se cerca di attaccare Israele. E allo stesso tempo capace di fermare le incursioni israeliane, incluse quelle dell'aviazione» spiega.
Non esita a condannare con forza le azioni israeliane e lo scempio tra i civili. Ma il vecchio falangista ammette chiaramente che c'è un problema di fondo: «L'Hezbollah basa la sua dottrina religiosa, sociale e militare sulle priorità della cosiddetta umma, la società islamica. La nostra fedeltà va alla Nazione libanese. La loro invece al mondo islamico, dall'Indonesia al Marocco». Ne risulta che la popolazione libanese, almeno quella non alleata all'Hezbollah, subisce sulla sua pelle le conseguenze di battaglie che non la riguardano. «Siria e Iran hanno usato l'Hezbollah per cercare di aprire un secondo fronte contro Israele e in aiuto a Hamas intrappolata a Gaza» aggiunge secco. Ma, a suo dire, potrebbe esservi almeno un effetto positivo dei blitz israeliani. «Noi non lo vorremmo, sarebbe solo un sottoprodotto di azioni di cui non siamo responsabili» ci tiene a sottolineare. «Ma, se i bombardamenti israeliani indebolissero l'esercito di Nasrallah, allora potremmo cominciare da qui lo smantellamento dell'ultima milizia in Libano e la ripresa della sovranità statuale anche nel Sud».

E un a un capo di Hezbollah, la cui propaganda viene riportata acriticamente, anche quando pretende il rliascio di tre terroristi detenuti in Israele e definisce il loro arresto "rapimento".
Ecco il testo di  questo esempio di disinformazione:

BEIRUT — La Conferenza di Roma? «Parole inutili. Aria fritta». Nessuno spazio per il compromesso. I dirigenti dell'Hezbollah in Libano si sentono braccati e rispondono duri contro Israele, gli Stati Uniti e l'intera comunità internazionale. Per loro incontriamo al Parlamento Hussein Haji Hassan, 47 anni, originario di Baalbek, professore di biofisica con laurea a Parigi, deputato dal 1996 tra i 14 del suo partito.
A Roma si cerca una formula per il cessate il fuoco e la pacificazione del Libano. È possibile?
«Siamo stanchi di conferenze che non conducono a nulla. Ne abbiamo viste troppe: Madrid, Oslo, Camp David, Wye Plantation e infinite altre. Tante promesse, che si sono rivelate altrettante delusioni per il mondo arabo. L'Europa poi è un ridicolo burattino nelle mani di Washington. La via è molto più semplice e non passa da Roma. Prima di tutto occorre che Israele cessi la sua aggressione ingiustificata contro il Libano. Occorre il cessate il fuoco immediato».
Come?
«Si decide che domani a una certa ora si smetterà di sparare, punto e fine. Ecco il cessate il fuoco. Non siamo stati noi a iniziare questa guerra».
Scusi, ma siete stati voi a uccidere e rapire i soldati israeliani il 12 luglio. Da sei anni gli israeliani avevano lasciato il Libano. E non volevano tornarci.
«Questa è una grande menzogna. Israele continua ad aggredire tutto il mondo arabo. Perché non raccontate del pastore libanese ucciso 4 mesi fa e dei pescatori feriti? Israele occupa ancora la zona di Sheba. E ci sono tre prigionieri libanesi che noi vogliamo liberare. Sono: Samir Countar, attivista comunista, rapito nel 1977; Tehya Skaff, un druso rapito nel 1984. E c'è Passim Nisr, rapito nel 1994. Avrebbero dovuto essere resi nello scambio di prigionieri mediato dai tedeschi nel 2004. Allora fu Israele a non mantenere i patti. E noi avvisammo che per liberare i nostri fratelli avremmo catturato alcuni soldati israeliani. Non ci hanno creduto».
Dunque basta liberare i 3 libanesi e voi liberate gli israeliani?
«Troppo facile. Ora potremmo chiedere in cambio anche migliaia di palestinesi».
La vostra azione è legata ai fatti di Gaza?
«In Libano vivono oltre 600.000 palestinesi, non possiamo ignorare le loro ragioni.
Forse noi abbiamo commesso un errore tattico, avevamo sottovalutato la reazione israeliana, perché essa è dettata dagli Stati Uniti, che vogliono l'annientamento dell'Hezbollah, come di Hamas e dell'Iraq».
Cosa pensa di una forza internazionale nel Libano del Sud?
«Troppo presto parlarne. Prima di tutto si arrivi al cessate il fuoco, poi si vedrà».
In Libano il fronte del 14 marzo, che raccoglie cristiani, drusi e sunniti, vi accusa di aver agito unilateralmente, di avere provocato i bombardamenti israeliani e chiede il vostro disarmo. Che rispondete?
«Con loro faremo i conti dopo. Dovranno spiegare politicamente le loro critiche. Ma per ora non c'è spazio per le polemiche interne. Dobbiamo fare fronte comune contro l'aggressione israeliana. E comunque sino a qualche giorno fa con loro c'era un dialogo quotidiano, mirato ad affrontare le loro richieste sul nostro disarmo. Non lo abbiamo mai escluso. Ma adesso tutto questo è saltato, i nostri soldati combattono una guerra di difesa».
Vi accusano di avere un'ideologia pan-islamica, legata a Siria e Iran, che ignora gli interessi libanesi.
«Non è un mistero che siamo un partito pan-islamico. E allora, che c'è di male? Noi non riconosceremo mai Israele, che voi occidentali avete impiantato nel mezzo delle terre arabe. Ma voglio anche dire al premier italiano Prodi che non si lasci ingabbiare nell'impotenza europea. Reagisca agli americani e ascolti le nostre ragioni».

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