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La Stampa Rassegna Stampa
26.07.2006 Il Libano verso la stabilizzazione o verso un lungo scontro tra Israele ed Hezbollah ?
i piani di Condoleezza Rice e la dinamica della guerra

Testata: La Stampa
Data: 26 luglio 2006
Pagina: 2
Autore: Maurizio Molinari - Carlo Jean
Titolo: «Rice , piano a due velocità per stabilizzare il Libano - Israele sarà costretto ad arrivare fino a Beirut»
La strategia di Condoleezza Rice per la stabilizzazione del Libano spiegata da Maurizio Molinari, sulla STAMPA del 26 luglio 2006:

Condoleezza Rice varca questa mattina la soglia della Farnesina con l'obiettivo di raggiungere un'intesa alla Conferenza sul Libano sul testo di una Dichiarazione che ponga le basi per una pace «urgente e durevole» garantita dallo schieramento di una «forza di stabilizzazione internazionale» che consenta all'esercito di Beirut di disarmare gli Hezbollah, come previsto dalla risoluzione 1559 delle Nazioni Unite.
Arrivata ieri sera a Roma da Gerusalemme, il Segretario di Stato ha partecipato in prima persona agli ultimi negoziati notturni sulla bozza della Dichiarazione incontrando separatamente il Segretario dell'Onu, Kofi Annan, e il premier libanese, Fuad Siniora. Sapremo oggi se il forcing diplomatico è riuscito a suggellare l'intesa sui punti cardine della posizione americana che lo stesso presidente George W. Bush ha anticipato accogliendo alla Casa Bianca il premier iracheno Nuri Al-Maliki: «Condi è portatrice dei seguenti messaggi, sosteniamo il governo Siniora, abbiamo a cuore i civili, porteremo aiuti e vogliamo un cessate il fuoco sostenibile, non qualcosa di corta durata, vogliamo affrontare le cause della violenza e quindi la nostra missione è arrivare ad una pace durevole».
Tentando di trasformare queste indicazioni in un testo nero su bianco gli sherpa americani hanno lavorato sodo nelle ultime 48 ore con i parigrado russi, arabi, italiani, francesi e britannici partorendo una bozza di Dichiarzione che verte attorno a quattro principi: aiuti umanitari, ricostruzione del Libano, «vera fine» delle attività militari degli Hezbollah e schieramento di una forza internazionale ad ostilità cessate. E' quest'ultimo punto quello a cui in ambienti diplomatici a Washington viene data maggiore importanza. «Ciò che conta è che la forza di stabilizzazione sia in grado di fare il proprio lavoro» sottolinea uno sherpa, facendo capire che deve essere militarmente capace e politicamente credibile «indipendentemente se sarà o meno della Nato». Secondo indiscrezioni riportate dalla tv Cnn la Rice avrebbe discusso a Beirut e Gerusalemme un piano in due fasi che vedrebbe lo schieramento di 10 mila soldati turchi ed egiziani sotto comando Onu o Nato in tempi stretti, immediatamente dopo il cessate il fuoco, per poi essere affiancati entro un massimo di 2 o 3 mesi da altri 30 mila soldati, in gran parte europei con una importante presenza italiana, incaricati di aiutare i libanesi a riprendere il controllo del Sud.
Pur non essendo stati confermati dal Dipartimento di Stato tali elementi lasciano intendere che Washington punta a rafforzare Siniora e smantellare gli Hezbollah con un'operazione in due tempi: prima consentento a Gerusalemme di continuare le operazioni militari per un tempo ristretto - due o tre settimane al massimo - e poi schierando una forza internazionale al posto degli israeliani, per permettere a Siniora di estendere la sovranità al Sud. Rafforzare la giovane democrazia libanese e sconfiggere un'organizzazone terroristica emanazione di Teheran sono i due pilastri del progetto del «Nuovo Medio Oriente» di cui la Rice ha parlato con Ehud Olmert a Gerusalemme, guardando all'odierno appuntamento di Roma. Le dichiarazioni del ministro della Difesa israeliano, Amir Peretz, sulla creazione di una zona di sicurezza nel Libano del Sud che sarà poi trasferita sotto il comando della forza internazionale cositituiscono il via libera di Gerusalemme al piano Usa, che già conta sul consenso di Beirut.
Ciò che manca alla diplomazia americana è il tassello siriano perché senza l'assenso di Damasco schierare le truppe internazionali significherebbe andare incontro al rischio di attentati simili a quelli che ebbero luogo a metà degli anni Ottanta. «Finora Bashar Assad non ha detto che non coopererà con le forze internazionali - spiega una fonte diplomatica al corrente delle trattative - ma non ha neanche detto cosa vuole in cambio per farlo». Il timore della Rice è che Assad sia troppo soggetto all'influenza di Teheran e dunque restio ad abbandonare gli Hezbollah. Da qui l'importanza della Conferenza alla Farnesina: se riuscirà a partorire un forte accordo fra Usa, Russia, europei ed arabi Damasco sarebbe messa alle strette.
Sulla strada della Rice vi sono tuttavia i molti imprevisti legati ad una conferenza che somma numerosi Paesi ed altrettanti interessi, spesso divergenti. Il primo ostacolo che si profila è la definizione da assegnare alla richiesta di cessate il fuoco che i Paes arabi vorrebbero essere «imminente» - come ha ribadito il ministro degli Esteri gordano Abdullah al-Katib- mentre gli Usa non desiderano andare oltre il concordato «urgente».
Chi non vede con ottimismo l’intervento della Rice è il presidente del parlamento libanese Nabih Berri che ieri pomeriggio alla tv «al Atrabiyah» ha dichiarato che le proposte del Segretario di Stato «non sono applicabili se non a costo di una guerra civile libanese».

L'analisi di Carlo Jean, a pagina 4, prevede il fallimento degli sforzi della diplomazia internazionale e che "Israele sarà costretto ad arrivare fino a Beirut".
Ecco il testo:
 

MOLTI sono persuasi che il conflitto in Libano sia destinato ad essere breve, che un cessate il fuoco possa precedere un accordo definitivo e che sia possibile lo schieramento di una forza militare internazionale, capace non solo di interporsi fra Israele e gli Hezbollah, ma anche di disarmarli, come previsto dalla Risoluzione 1559 dell'ONU.
Invece, è probabile che i «guerrieri di Dio» resistano a lungo nei loro bunker, obbligando Israele a sanguinosi attacchi frontali, sia nel Libano meridionale, sia nella valle della Bekaa - dove si trova la massa delle loro riserve militari - sia a sud di Beirut, loro centro politico.
Quando staranno per essere sopraffatti dalla potenza di fuoco della Tsahal, abbandoneranno i bunker e, mescolandosi alla popolazione civile inizieranno un'azione di guerriglia e di terrorismo sull'esempio dell'Iraq. Si sono preparati accuratamente anche a tale seconda fase. Intendono a dimostrare alle masse arabe che lo sciismo sta divenendo la forza dominante per il loro riscatto dalle umiliazioni subite. Con ciò gli Hezbollah isolano non solo Al Fatah, ma anche Hamas e gli altri paesi arabi. Stanno resistendo ad Israele, dopo averne provocato la reazione sicuramente secondo un piano strategico preordinato. Hanno imposto, non solo il momento, ma anche il modo con cui combattere.
Ciò pone lo Stato ebraico di fronte a difficili scelte, tanto più che non può colpire coloro che ne sono ritenuti i mandanti, cioè la Siria e l'Iran. La Siria non accetta né un Libano autonomo, né uno Stato palestinese, ma vuole la Grande Siria, entità geopolitica storica, divisa da Francia e Gran Bretagna dopo la prima guerra mondiale. L'Iran, rafforzatosi con la eliminazione di Saddam, vuole porsi alla testa del riscatto islamico in nome dei principi della rivoluzione Khomeinista. Quanto meno, intende realizzare un'egemonia nel Golfo, forse accordandosi in un primo tempo con Washington sulla divisione delle rispettive aree di influenza nella regione.
Israele non può rinunciare ad una vittoria completa, cioè alla neutralizzazione permanente della minaccia degli Hezbollah. Sa di poter contare, non solo sugli Usa, ma anche, almeno indirettamente, sugli Stati arabi. Solo così potrà ricreare le condizioni per un ritiro unilaterale, per un dialogo con al-Fatah e forse anche con Hamas per stabilizzare la Palestina. Non ha alternative.
Questa volta però ha perso l'iniziativa strategica. E' stato attirato in un tranello dalle provocazioni degli Hezbollah. Non può limitare le operazioni al sud del Libano. Deve estenderle sia alla Bekaa che a Beirut. Non può aggirare i bunker con brillanti manovre di forze corazzate. Deve distruggerli ad uno ad uno. Non lo può fare solo con gli aerei e gli elicotteri armati. Deve impiegare la fanteria in attacchi frontali. Si trova di fronte a guerrieri decisi, bene addestrati e armati. Sta ammassando le sue forze e accelerando l'importazione di bombe «bunker-buster».
In questi giorni si assiste ad una «pausa strategica». Israele sta sicuramente elaborando i suoi piani. Probabilmente attaccherà all'improvviso e a massa, anche dalla terra e dal mare. E' in gioco l'intero sistema di sicurezza di Israele basato sinora sulla credibilità della dissuasione convenzionale della Tsahal. La guerra si estenderà quindi fino a Beirut e nella Bekaa. Purtroppo, il Libano sarà distrutto. Le misure umanitarie che saranno adottate possono avere solo effetti trascurabili. Il problema principale che dovrà affrontare Israele sarà quello di come sganciarsi, dopo aver distrutto il potenziale bellico degli Hezbollah. Non può affrontare lunge operazioni di counter insurgency. Solo un governo libanese oppure la Siria potranno mantenere l'ordine e tenere sotto controllo i «guerrieri di Dio». Non lo potrà invece fare una «forza di pace» internazionale, neppure una della Nato. Non parliamo poi di una dell'Unione Europea, né di una di un Onu fatiscente, a meno che deleghi il «lavoro sporco della pace» alla Lega araba. Forse è possibile. I sunniti si sentono minacciati dai successi sciiti. Potrebbe essere arrivata l'ora di fare i conti con essi. Si tratta di vedere se le loro opinioni pubbliche lo permetteranno.
La resistenza degli Hezbollah sta suscitando nel mondo arabo sostegni e applausi. La conferenza di Roma sarà utile come primo passo per vedere cosa fare dopo che il conflitto sarà terminato. Sarà un successo se gli Stati arabi sottoscriveranno la dichiarazione fatta dal G8 sul Libano. Realisticamente non si può pretendere di più. Per fare la pace occorre aspettare che si concluda la guerra. Essa sarà forse terribile e lunga. Non si possono nutrire molte illusioni in proposito. Israele non può cedere e giungere a compromessi. Gli Hezbollah sono fanatizzati e sono ben preparati a combattere. Quando si parla di proporzionalità della risposta occorre tener conto quale è la posta in gioco per i due avversari. Poiché la posta in gioco è molto elevata per entrambi, non sembrano possibili compromessi.

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