Con la didascalia "nel pianto di una ragazza, la disperazione della popolazione stremata" La STAMPA del 21 luglio 2006 pubblica in prima pagina la fotografia che riportiamo qui sotto.
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Segue il titolo "Vittime civili, la grande mattanza" e un rimando a pagina 5.
Qui si trova un articolo di Giuseppe Zaccaria sulla morte del giovane libanese Fahti Fahkieh, che partecipò alle manifestazioni di Piazza dei Martiri contro l'occupazione siriana, tre trafiletti dedicati ad altrettante testimonianze sulla guerra (due di isrealiani e una di un libanese) e un articolo di Domenico Quirico intitolato "La mattanza" dedicato all'aumento delle vittime civili nella guerra moderna.
Israele ed Hezbollah sono fin dalle prime righe presentati come equivalenti nel loro accanirsi contro i civili, mentre in realtà Israele cerca di colpire armi e terroristi che eprò si fanno scudo della popolazione civile.
Ecco il testo:
Non portavano certo divise le famiglie libanesi che vivevano in un palazzo di Nabi Chit disintegrato dalle bombe. Non erano armati gli israeliani sorpresi in un deposito ferroviario di Haifa su cui sono caduti, ciechi e implacabili, i razzi di Hezbollah. Nessuno di loro è morto in una battaglia «campale», come si diceva un tempo, nessuno di loro sapeva o poteva colpire e difendersi. Nessuno sospettava di essere prossimo alla fine. Non si penserà mai di costruire per questi caduti un monumento nelle piazze o si deciderà la concessione di una medaglia alla memoria. Perché ufficialmente restano effetti collaterali, deprecabili dettagli statistici. I generali, i capi della guerriglia, fanno finta di non contarli, non sono eroi. Eppure sono caduti anche loro in combattimento, sono le perdite che decidono, alla fine, l’aritmetica della vittoria e della sconfitta delle guerre nuove. In Libano si contano già 325 morti: ebbene, 295 sono civili, i soldati libanesi 23 e gli Hezbollah, il nemico ufficiale e dichiarato che il frantoio israeliano sostiene di voler sbriciolare, appena 7. E sull’altro fronte? Israele denuncia 27 morti: e quindici sono civili. La guerra è cambiata, te ne accorgi visivamente: si materializza in immensi castelli di fumo bianco che franano all'orizzonte per poi diventare palazzi sventrati e cadaveri tirati fuori dalle rovine. Il soldato e il guerrigliero ben protetti dalle loro armi e dalle loro astuzie scompaiono dietro quel sipario scrosciante: e sopravvivono. Le fanterie dei nuovi conflitti, quelle falciate inesorabilmente dalle bombe, sono fatte di gente comune svaligiata dalla vita. Sono a loro che adesso si può applicare la tragica constatazione che accompagnava i soldati nelle trincee di Verdun, che cioè il sangue è sempre di meno un argomento a favore di chi lo ha versato.
Eppure non è una storia nuova. La Grande Guerra quella che doveva essere l'ultima perché sembrava impossibile che l'umanità potesse gemere ancora senza schiantarsi sotto una così onerosa tempesta di orrore lasciò dietro di se otto milioni di morti. Tutti con addosso una divisa, partiti verso le trincee con i fiori nella canna del fucile. Nelle copertine di Achille Beltrame per la Domenica del Corriere i civili sono rari, costituiscono la retrovia che soffre, trepida, fugge davanti al nemico vittorioso, ma non muore quasi mai. Perché sono in un altro mondo, proprio quello che il soldato ha lasciato dietro di sè. Passano solo vent’anni e le proporzioni si ribaltano tragicamente: il 55 per cento delle vittime della seconda guerra mondiale è composto di civili.
E' anche colpa del generale italiano Giulio Douhet. Non voleva che le prossime guerre fossero sporche del fango e dell'orrore delle trincee. E immaginò negli anni Venti grandi flotte di bombardieri che avrebbero distrutto chirurgicamente nelle prime ore del conflitto le industrie nemiche. Rendendo così le guerre meno lunghe e sanguinose. Douhet in Italia fu sempre un emarginato, un visionario che infastidiva le borie degli Stati maggiori. Ma molti in altri paesi lo ascoltarono. Si cominciò allora a pensare che non erano le industrie del nemico, le ferrovie, le strade, i ponti il vero bersaglio. Quelli si potevano ricostruire, spostare, nascondere. Il vero bersaglio si cui rovesciare le bombe era la popolazione. Il punto vulnerabile si trovava dunque a chilometri dal fronte. La Germania nella prima guerra mondiale non aveva forse ceduto di schianto quando era crollato il morale dei civili affamati e senza speranze? Il pilota di bombardiere ha sostituito l'oplita o il cavaliere. Per lui è più facile: perché non manovra la lancia o la baionetta, non vede il sangue colare. Preme solo un bottone.
I conflitti rivoluzionari, gli ismi stantii, hanno contribuito a intorbidire le acque delle «belle» guerre di un tempo. Il nemico è diventato introvabile, si traveste, non porta l'uniforme, può essere un contadino che lavora in una risaia del Mekong o una ragazza che scivola nei vicoli della casbah di Algeri. Sono davvero queste le guerre «sporche». Soprattutto perché chi uccide un ragazzo sospetto o ammazza un vecchio può sempre dire a sè stesso che non è stato un errore, che «quelli» in fondo, prima o poi, sarebbero diventati il nemico. Meglio prevenire. L'ingegner Kalashnikov, buon discepolo di una Rivoluzione diventata assassina, si è ingegnato a rendere economica questa guerra universale. Il suo fucile che costa poche decine di dollari, pesa tre chili, e ha trenta colpi nel caricatore, permette a un bambino-soldato di massacrare in pochi minuti più nemici di un guerriero antico. Ci sono cento milioni di kalashnikov nel mondo.
Uccidere i civili ha cambiato la memoria della guerra, la possibilità che con il tempo si possa dimenticare; e perdonare. Questo può avvenire per i morti in battaglia, non per i delitti. Che portano con sè l'idea persistente di colpevolezza e resposabilità, e insieme rabbia tensione vendetta. «Non dimenticate Alamo o Pearl Harbour» si gridava un tempo. Eppure, alla fine, tutto è stato dimenticato. Ma come si riuscirà a dimenticare Tiro, Beirut, Haifa?
Un prospetto intitolato "Le vittime dei conflitti" presenta l'aumentare del numero di vittime civili in confronto a quelle militari a partire dalla prima guerra mondiale.
Le proporzioni sono indicate da sagome di diverse dimensioni, mentre le cifre assolute sono riportate in numero. L'ordine di grandezza è però in piccolo.
Può così passare inosservata la diminuzione del numero assoluto delle vittime
Ecco il testo:
A fianco Nei nuovi conflitti le fanterie falciate dalle bombe sono ormai fatte di gente comune
Gli obiettivi da colpire non sono più i ponti e le strade, che si possono ricostruire, ma la gente
Chi uccide un ragazzo o un vecchio dice che non è un errore, meglio prevenire il nemico
Complessivamente, l'intera pagina suggerisce falsamente l'idea che, come Hezbollah , Israele colpisca deliberatamente e spietatamente i civili
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