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Famiglia Cristiana Rassegna Stampa
20.07.2006 Un'analisi corretta
di Guglielmo Sasinini

Testata: Famiglia Cristiana
Data: 20 luglio 2006
Pagina: 0
Autore: Guglielmo Sasinini
Titolo: «Ritorno al passato»
Famiglia Cristiana on line nel numero 30 pubblica un articolo di Guglielmo
Sasinini intitolato “Ritorno al passato”.
Un articolo corretto nel quale il giornalista analizza con obiettività i
recenti sviluppi della situazione mediorientale e  il fronte di guerra
apertosi in Libano dopo i gravissimi attacchi degli Hezbollah sulle città
israeliane mettendo in guardia il mondo occidentale dal far finta che
“tutto ciò non lo riguarda”.
Israele ha diritto di difendersi e la sua esistenza non può essere messa in
discussione.

Ecco il testo:

Tutto rimanda al passato. Il Libano percorso in lungo e in largo dai carri
armati israeliani, i caccia di Israele che bombardano aeroporti, strade,
snodi ferroviari, centri nevralgici, e poi la fuga precipitosa da una
Beirut assediata e in fiamme di migliaia e migliaia di persone lungo la via
che, attraverso la valle della Bekaa, porta a Damasco. Tutto come nel
lontano 1982, quando l’allora generale Ariel Sharon diede il via
all’operazione "pace in Galilea" per costringere i palestinesi a fuggire
dal Libano.


Seguii a lungo come inviato l’interminabile conflitto libanese, ed ora
ritrovo nelle cronache i nomi delle stesse località, riconosco le strade
che scorgo nei telegiornali, posso persino intuire che cosa stanno vivendo
i libanesi e anche gli israeliani in questo momento. Le telefonate ai molti
amici dell’una e dell’altra parte mi forniscono dettagli ed emozioni, ma
non mi raccontano nulla di realmente nuovo, perché ciò che sta accadendo
era nell’aria da tempo, da troppo tempo. Tra Israele e Libano è di nuovo
guerra aperta, ma questa volta le armate di Gerusalemme non vogliono
cacciare le milizie palestinesi, vogliono far cessare definitivamente
l’incubo degli attacchi della milizia Hezbollah che bombarda a colpi di
razzi le città israeliane e sequestra soldati di Gerusalemme chiedendo in
cambio inaccettabili riscatti.


Il mondo si indigna di fronte alla strapotenza militare di Israele, ma
questa volta è più difficile dargli torto. I miliziani di Hamas e i loro
alleati Hezbollah, il "partito di Dio", attaccano con armi potentissime e
assolutamente nuove: i razzi katiuscia, i Fajr 3 e 4 che colpiscono tutta
la Galilea, ma anche Haifa, sono strumenti di guerra moderna che giungono
direttamente dall’Iran, il cui presidente Mahmud Ahmadinejad non perde
occasione per dire che Israele va cancellata dalla faccia della terra.


È questa alleanza con Teheran che rende improprio il paragone con il Libano
del 1982, e che rischia di gettare l’intera regione mediorientale nel caos.
Persino una parte dei palestinesi, che non si riconosce nelle posizioni di
Hamas ma che vive l’assedio di Gaza, ha ora più paura dell’ingerenza
iraniana che dell’esercito israeliano, ma si trova nel mezzo della tragedia
e può fare ben poco. Abu Mazen, che almeno sulla carta è ancora il premier
palestinese, vive giorni di frustrazione estrema, non può apertamente
sconfessare le milizie di Hamas che, comunque, sono al Governo, non può
condannare gli Hezbollah, con i quali peraltro non è mai andato troppo
d’accordo, ma sa benissimo che si trova sull’orlo della catastrofe.


La partita che si gioca tra Israele e il Libano non vede più da un lato la
parte più spietata dell’esercito israeliano e dall’altra le milizie
palestinesi, oggi la guerra è tra la più solida organizzazione terroristica
dell’area, sostenuta apertamente da Teheran, e Israele. L’Occidente e
l’Unione europea, pur registrando negativamente i folli proclami di
Ahmadinejad, non hanno compreso la realtà e la pericolosità di quanto stava
per succedere. L’idea che tutto sommato si trattasse di facile demagogia
era più tranquillizzante, meglio occuparsi del calderone iracheno. Invece,
il presidente dell’Iran non solo tira i fili delle sue marionette
Hezbollah, ma mira alla distruzione di Israele, e poiché l’obiettivo,
almeno nell’immediato, appare di difficile realizzazione, punta a fiaccare
Israele e il suo Governo, costringendo comunque Gerusalemme tra due fuochi:
la rivolta palestinese a sud e gli attacchi del "partito di Dio" a nord.
L’arsenale di cui i nuovi guerrieri islamici possono disporre è il più
impressionante che mai abbia minacciato lo Stato ebraico. C’è da chiedersi
come mai nessuno si era accorto finora che almeno 13.000 missili di
fabbricazione iraniana avevano raggiunto il Libano.


Il regime siriano del giovane Assad sembra quello del padre, pronto a
chiudere entrambi gli occhi tutte le volte che una potenza regionale
dimostra di essere nelle condizioni di attaccare Israele, ma altrettanto
pronto a ignorare che gran parte del futuro della popolazione palestinese
dipende proprio da Damasco. Lo straripamento del conflitto
israelo-palestinese su un altro versante arabo configura l’avvio di una
guerra su vasta scala. Qualunque siano le responsabilità dell’una e
dell’altra parte, non si può ignorare l’enorme prezzo che verrà pagato
dalle vittime civili. A ogni colpo di cannone, a ogni missile che cade su
case e città, sono sempre decine di innocenti che ci vanno di mezzo.
Invocare l’intervento dei caschi blu e di una qualsiasi forza di
interposizione non serve a nulla, se a livello regionale non si imporrà la
forza della ragione e del dialogo politico e, soprattutto, se il mondo
intero non obbligherà Teheran a bloccare immediatamente i suoi propositi di
armamento nucleare e non imporrà ad Ahmadinejad di cessare ogni minaccia
nei confronti di Israele.


I petrodollari di Teheran sono il miglior propellente per mantenere la
macchina militare degli Hezbollah, perché allora non proporre un rapido e
drastico blocco delle entrate provenienti dal greggio? I militari di
Israele adesso sembrano sganciati da qualsiasi controllo politico. La
stessa popolazione israeliana, pur condannando gli eccessi e le stragi di
innocenti, sembra aver superato antiche remore, perché oggi si sente
minacciata come nel 1948 e nel 1967. Quindi una minaccia che punta dritta
alla sopravvivenza delle proprie famiglie e dei propri figli. Una paura
profonda che mira al cuore e alle viscere. Quando gli Hezbollah condussero
la loro prima azione oltre il confine libanese uccidendo e sequestrando i
soldati israeliani, il capo di Stato Maggiore Dan Halutz tenne subito una
riunione con i suoi collaboratori. Fu decisa la prima rappresaglia aerea
sul Libano e, quando si passò a parlare dell’intensità da dare ai raid
aerei, uno dei militari presenti propose di ridurre le infrastrutture
libanesi a com’erano "trent’anni fa".

Un eccesso di reazione che si spiega soltanto con il tentativo di far
dimenticare agli israeliani che, per due volte in venti giorni, l’esercito
e i suoi comandi sono stati colti di sorpresa e i suoi soldati sono stati
rapiti. Un’onta intollerabile che getta ombre anche sull’efficienza dei
mitici servizi di intelligence israeliani. Nessuno in realtà pensa
seriamente di far arretrare il Libano di trent’anni a cannonate, il potere
politico si rende conto che le rappresaglie devono avere dei limiti. La
guerra agli Hezbollah e al loro burattinaio necessita della maggior
condivisione possibile.

Alle minacce di guerra totale pronunciate dal capo degli Hezbollah, Sayyed
Hassan Nasrallah, dovrà rispondere tutto l’Occidente, con l’Unione europea
in prima fila. Se si vuole evitare un nuovo 1982, bisogna far sì che
nessuno, a Washington come a Londra, a Berlino come a Roma, assista alla
nuova guerra tra Israele e Libano come a un tragico avvenimento che però,
tutto sommato, non lo riguarda più di tanto.

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