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La Stampa Rassegna Stampa
20.07.2006 La sinistra sbaglia a condannare Israele, l'aggressore è Hezbollah
intervista all'ex ministro degli Esteri tedesco Joschka Fischer

Testata: La Stampa
Data: 20 luglio 2006
Pagina: 6
Autore: G. Hofmann - M. Klingst
Titolo: ««La sinistra europea sbaglia non è Israele l’aggressore»»
Intervista a Joschka Fischer, ripresa dal Die Zeit, sulla STAMPA del 20 luglio 2006:

 Joschka Fischer, cosa prova di fronte alle immagini di missili, morti e feriti a Haifa?
«Per uno come me, che tra l'altro è stato nominato Dottore Honoris Causa dall'Università di Haifa, sono immagini terribili. La mia prima reazione è: solidarietà con la gente di Haifa».
E cosa prova invece di fronte alle immagini di missili, morti e feriti nei quartieri a sud di Beirut?
«Il cuore mi piange allo stesso modo, anche tra i palestinesi e i libanesi ho cari amici. Deve essere fatto tutto il possibile per arginare il conflitto, affinchè non investa tutta la regione. Credo però che Israele, dopo l'attacco di Haifa, non accetti più nessun ritorno allo status quo nel Libano. Le immagini confermano i miei peggiori timori. Ma non si deve confondere causa ed effetto. Hanno risposto con violenza al ritiro di Israele. Mi lasci partire dai fatti: Israele si è ritirato dalla striscia di Gaza. Questa decisione è stata una svolta storica per il movimento nazionale sionista».
Ma lo stato israeliano ha a sua volta creato in modo unilaterale il confine in Cisgiordania, e anche questo è un fatto. Probabilmente i palestinesi ritengono che non si voglia concedere loro uno stato davvero autonomo…
«Conosco benissimo i sentimenti dei palestinesi. E la nostra posizione rispetto al muro è stata sempre chiara. Purtroppo però, da parte palestinese, non c'è stata una svolta storica analoga a quella israeliana. La gente al contrario ha eletto Hamas, che rivendica un diritto sull'intera Palestina, Israele compreso. E appena l'esercito israeliano lascia la striscia di Gaza, Hamas e altri rispondono con i missili. Non ricordo membri di governi occidentali che nei mesi scorsi abbiano condannato in modo determinato queste azioni. Un altro fatto: Israele ha lasciato il Libano, ma il governo libanese ha mancato di disarmare Hezbollah, nonostante ne fosse obbligato dalla risoluzione 1559 del Consiglio di sicurezza dell'Onu. Provi a immaginare se Hezbollah avesse attaccato uno stato arabo anzichè Israele: immediatamente si parlerebbe di guerra in altri termini».
Dozzine di morti in Israele, ma centinaia di morti e profughi nel Libano. Ci sono due pesi e due misure?
«La sofferenza è un conto, ma questa crisi è una forma di "guerra per procura" con interessi locali, regionali e gobali sullo sfondo. La direzione estera di Hamas strumentalizza questo conflitto nello scontro con le forze più moderate all'interno dell'organizzazione e fra i palestinesi. La Siria ha i suoi interessi e l'Iran anche. Credo sia un errore fatale pensare che questa crisi possa portare distensione all’una o all’altra parte. Non funzionerà. Naturalmente anche Israele merita qualche domanda critica, ad esempio se la strategia garantisca un successo anche dopo un esame delle conseguenze umanitarie. Rimane però un fatto incontestabile: Israele è stato aggredito. Mi oppongo con determinazione a chi vuole stigmatizzare Israele come aggressore, come sostengono alcuni media e la sinistra europea, mentre si è taciuto quando sono stati rapiti soldati israeliani e i razzi hanno colpito città israeliane».
Questa visione non è condivisa da tutti, il vertice del G8 ha varato una dichiarazione piuttosto mite.
«Dobbiamo smettere di vedere le cose sempre solo in un'ottica di management delle crisi senza strategie di soluzione. Dietro questa guerra si nasconde una grande débâcle: mai come adesso l'Occidente e gli Usa hanno trascurato così gravemente un conflitto tanto proiettato all'escalation, mai come adesso il cosiddetto Quartetto del Medio Oriente - Usa, Ue, Onu e Russia - si è impegnato così poco».
L'Europa e le Nazioni Unite vogliono mandare nel Libano forze Onu. Le sembra sensato? Da decenni ci sono caschi blu nella regione, eppure si combatte.
«Un ulteriore mandato per i caschi blu non ha molto senso. Solamente un mandato robusto con capacità robuste potrebbe forse ottenere qualcosa. Ma il rischio sarebbe enorme. La pressione politica e il rilancio delle trattative sono più importanti».
Abbiamo bisogno di una grande conferenza sul Medio Oriente?
«Può diventare necessaria, forse prima di quanto si creda. Ma attualmente mi sembra lontana. Adesso si tratta di arginare il conflitto, poi avremo bisogno di strategie e dovremo porre la domanda decisiva: può esistere una soluzione dei due stati Israele-Palestina, se le forze regionali interpretano ogni ritiro d'Israele come segnale di debolezza?»
La soluzione dei due stati è da abbandonare?
«No, non esiste alternativa. Ma si deve pensare in una prospettiva più ampia e comprendere i diversi legami fra i singoli conflitti in Medio Oriente. I governi se ne devono incaricare, e purtroppo ho l'impressione che San Pietroburgo non sia stato di aiuto. Abbiamo bisogno di un legame molto più forte con la Russia, l'Occidente farebbe bene a non cercare ogni pretesto per litigare con la Russia».
Lei parla di Occidente. Ma non dipende molto dall'America?
«Dipende soprattutto dagli Stati Uniti, dalla loro guida, ma da soli sarebbero sovraccaricati. Senza un'America determinata non si arriverà ad una soluzione. Il vuoto di potere in Iraq pone l'America e noi tutti davanti a problemi enormi. Ma la questione decisiva non è l'Iraq, bensì il conflitto con l'Iran. Se si riesce a ottenere un accordo con l'Iran sul suo programma nucleare, allora la situazione nel Medio Oriente cambierà drasticamente. Altrimenti le ripercussioni saranno incalcolabili».
Gli europei dovevano intervenire di più su Washington ai tempi della crisi irachena?
«Gli europei non esistevano allora. La posizione di Berlino e Parigi al riguardo è stata sempre chiara ed è stata comunicata anche a Washington. Abbiamo sempre detto: l'Iran dispone di un programma nucleare e missilistico. E democrazia in Iraq significa maggioranza sciita, e maggioranza sciita significa un'influenza drammaticamente crescente dell'Iran governato da sciiti. L'Iran, avevamo avvertito allora, potrebbe essere il grande vincitore della guerra in Iraq e lo è diventato veramente: il primo nemico dell'Iran, Saddam Hussein, è stato eliminato dall'America, il secondo nemico, i taliban in Afganistan, pure, la democratizzazione dell'Iraq ha reso più potenti gli sciiti e con questo anche l'Iran».
Come si riuscirà ad addomesticare l'Iran?
«Dandogli garanzie. Scambiare il progetto di arricchimento dell’uranio con tecnologia e commercio. Il paese ha un potenziale enorme, potrebbe essere il grande vincitore di un nuovo Medio Oriente pacificato. Dico sempre agli iraniani: guardate la Germania di inizio secolo scorso, avrebbe potuto essere il secolo tedesco, ma è stata un'occasione persa tragicamente».
Quali sono le forze costruttive in Medio Oriente, quelle su cui l'Occidente può fare affidamento?
«Posso solo ricordare ai partner europei: non dimenticate l'importanza della Turchia! È importante come partner per la politica della sicurezza nel Mediterraneo e la sua modernizzazione si ripercuote anche al di là dei confini del paese. La Turchia insegna cosa significa trasformazione e quali vantaggi porta». Copyright Die Zeit

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