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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
19.07.2006 D'Alema, Andreotti e Fassino, posizioni a confronto
su Israele la maggioranza ha posizioni divergenti

Testata: Corriere della Sera
Data: 19 luglio 2006
Pagina: 8
Autore: Giuliano Gallo -Piero Fassino
Titolo: «D’Alema critica Israele Diliberto: c’è aria nuova - SALVARE ISRAELE»
La cronaca del discorso a di Massimo D'Alema alla Camera, dal CORRIERE della SERA del 19 luglio 2006:

ROMA - «La crisi è stata innescata da forze radicali: l’ala oltranzista di Hamas, con base a Damasco, e il gruppo fondamentalista Hezbollah, forze appoggiate e finanziate dall’esterno. Proprio nel momento in cui si stava aprendo un importante spiraglio per la ripresa del dialogo israeliano-palestinese». Per Massimo D’Alema, che alla Camera interviene sulla guerra in corso in Medio Oriente, la genesi del nuovo conflitto sembra essere chiara e senza equivoci. Ma subito dopo averla delineata, il ministro degli Esteri si inoltra in una lunga serie di severe osservazioni su Israele: «La sua reazione, pur legittima in base al principio di autodifesa secondo la carta dell’Onu, è andata al di là di ogni ragionevole proporzione», dice. Ma non basta. C’è un rischio politico «di disgregazione del Libano, un rischio politico che non rafforza Israele». Israele, ragiona D’Alema, ha come obbiettivo «la totale eliminazione della capacità militare di Hezbollah, che rappresenta una minaccia per la sicurezza dello Stato ebraico». Ma, ed è di nuovo un «ma», l’offensiva in corso «colpisce il Libano con una inaccettabile perdita di vite umane: sono circa 220 i morti finora, la maggioranza dei quali civili». Poi l’affermazione forse più dura di tutto l’intervento: «La crisi attuale mette in evidenza come una visione prevalentemente militare della sicurezza di Israele, quale quella che ha prevalso fin qui con rappresaglie e restrizioni che aggravano le condizioni di vita dei palestinesi, produce non sostenibili costi umani e accresce il livello dell’odio e quindi dell’insicurezza». Parole pesanti come macigni, appena ammorbidite dal riconoscimento che in queste ore arrivano dal governo israeliano «segnali positivi, che credo debbano essere sottolineati», sulla possibilità di un dispiegamento «consistente» di forze Onu nel Sud del Libano. D’Alema sarebbe «personalmente» favorevole anche a un’operazione analoga nella striscia di Gaza, ma probabilmente si rende conto che su questo sarebbe difficile trovare un consenso da parte di Israele. La posizione italiana, dice infine il ministro, è comunque in linea con quella dell’Unione Europea. La speranza è che ora l’Unione riesca a «preparare una posizione autenticamente comune in vista del Consiglio di Sicurezza dell’Onu».
Applausi e consensi dalla maggioranza (con Diliberto che parla di «aria nuova nella politica estera italiana»), critiche dall’opposizione: a cominciare da Gianfranco Fini, che, pur giudicando «per molte parti condivisibile» la relazione del suo successore, lo invita a «non perdere la credibilità acquisita dal precedente governo». Fabrizio Cicchitto di Forza Italia giudica invece «deludente» l’intervento e ribadisce la solidarietà totale a Israele, mentre Pier Ferdinando Casini invita il governo a «continuare sulla strada del dialogo», promettendo in cambio «rispetto e condivisione».

Peggiori ancora delle dichiarazioni di D'Alema sono quelle del senatore a vita Giulio Andreotti  che ha detto:

Credo che ognuno di noi, se fosse nato in un campo di concentramento e non avesse da 50 anni nessuna prospettiva da dare ai figli, sarebbe un terrorista

(ancora dal CORRIERE: il "campo di concentramento" evocato in questa giustificazione del terrorismo sarebbe, nell'immaginazione di Andreotti, un campo profughi palestinese)

Dis eguito riportiamo invece il più equilibrato intervento di Piero Fassino pubblicato dalla STAMPA il 18 luglio:

A Lucia Annunziata che si chiede se lo Stato ebraico non sia oggi davvero in pericolo di esistenza, la mia risposta è sì.
E i segni di questo enorme pericolo sono tanti: le ripetute dichiarazioni del Presidente iraniano, non un fanatico isolato, ma un uomo eletto a quella carica da milioni di iraniani e dunque «rappresentativo»; la legittimazione politica e la libertà di azione di cui gode in Libano Hezbollah, un movimento che dichiaratamente predica la distruzione di Israele e ogni giorno agisce militarmente per questo; il rifiuto di Hamas di riconoscere esplicitamente il diritto di Israele a esistere e, dunque, il rifiuto a negoziati diretti di pace; la campagna quotidiana, capillare, ossessiva messa in essere da una rete di associazioni islamiche che ogni giorno istillano in milioni di persone odio nei confronti degli ebrei e di Israele.
Insomma, sono cresciute nel mondo islamico pulsioni integraliste e fanatiche che vedono nella negazione di Israele il segno del riscatto dell’Islam nei confronti di un Occidente vissuto come corruttore di costumi, oppressore politico e espropriatore di ricchezza (il petrolio).

Avere questa consapevolezza significa che ogni Paese democratico, e quindi anche l’Italia, deve rendere chiaro al mondo islamico e alle sue classi dirigenti - non solo agli estremisti, anche ai moderati e ai riformatori che non sempre arginano con determinazione le derive fanatiche - che mai il mondo democratico, e in primo luogo l’Europa, accetterà qualsiasi forma di messa in causa o anche solo di precarizzazione dello Stato di Israele e della sua esistenza.
Solo in quanto si renda garante dell’esistenza di Israele, l’Europa ha titolo anche per sollecitare il governo israeliano a non ignorare che nell’uso della forza - anche quando per difendersi - non si può smarrire un principio di proporzionalità.
Ed è questo anche il modo più limpido per rendere evidente che in Medio Oriente non sono in conflitto un torto (degli israeliani) e una ragione (dei palestinesi), ma due ragioni.
E’ una ragione il diritto dello Stato di Israele a vivere sicuro, riconosciuto e senza paura dei propri vicini.
Ed è una ragione il diritto dei palestinesi ad avere un proprio Stato indipendente. Quelle due ragioni «simul stabunt, simul cadent»: ciascuno dei due popoli potrà vedere riconosciuto e affermato il proprio diritto solo in quanto riconosca la pari legittimità del diritto dell’altro e operi per una soluzione di reciproca soddisfazione.
Insomma, la pace, la sicurezza, la democrazia non basta invocarle, occorre affermarle assumendosi le responsabilità che comportano. Vale per il Medio Oriente, vale anche quando si tratta di scelte difficili, come essere presenti in teatri di conflitto come l’Afghanistan.
Una scelta che - contrariamente a quanto sostiene una parte, sempre minore, della sinistra radicale - non è affatto in contraddizione con l’Articolo 11 della Costituzione. Quell’articolo dice no alla guerra, ma dice anche no al terrorismo e no alla negazione dei diritti universali delle persone. Ripudia la guerra, ma dichiara l’impegno dell’Italia a concorrere alle azioni promosse dalle istituzioni internazionali per il mantenimento della pace e della democrazia. D’altra parte chiunque sia intellettualmente onesto deve riconoscere quanto sia forzato rappresentare come «guerra» azioni e interventi che hanno in realtà il carattere di «polizia internazionale» a tutela di valori, di diritti e principi essenziali per la sicurezza del mondo.
Anche così, con atti limpidi e coerenti, una sinistra riformista dimostra la propria cultura di governo.
segretario dei Ds

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