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Il Manifesto Rassegna Stampa
19.07.2006 C'è chi riesce a sostenere che Israele è l'aggressore
il quotidiano comunista non teme il ridicolo

Testata: Il Manifesto
Data: 19 luglio 2006
Pagina: 1
Autore: Tariq Ali - Tommaso di Francesco - Stefano Chiarini
Titolo: «Libano, un trionfo fino alla morte - Medio Oriente, un uso sproporzionato della menzogna - Quella fascia che Israele vuole»
"Incolpare Iran e Siria dell'ultimaoffensiva in Libano è semplicemente ridicolo" sostiene Tariq Ali, noto consigliere del caudillo antisemita Chavez in un articolo pubblicato sulla prima pagina del MANIFESTO del 19 luglio 2006, nel quale tra le altre cose Israele viene accostata alla Germania nazista

Nella sua ultima intervista - dopo la Guerra dei sei giorni, nel 1967 - lo storico di sinistra Isaac Deutscher, il cui parente più prossimoera morto in un lager e quelli sopravvissuti vivevano in Israele, disse: «Giustificare o perdonare la guerra di Israele contro gli arabi significa in realtà rendere a Israele un pessimo servizio e compromettere i suoi interessi futuri». Poi avvertì:« I tedeschi hanno riassunto la loro esperienza nella frase amara 'Man kann sich totseigen!', puoi portare il tuo trionfo fino alla morte. Questo è quello che hanno fatto gli israeliani. Hanno morso più di quanto possano inghiottire.». Nell'azione di Israele oggi possiamo individuaremolti elementi di alterigia: un'arroganza imperiale, una distorsione sistematica della realtà, una coscienza della propria superiorità militare (con tanto di armi di distruzione di massa come ultima risorsa), la presunzione con la quale spezzano le infrastrutture sociali degli altri paesi, e la convinzione della propria superiorità razziale. Gli arabi sono untermenschen. Tutte le vittime civili di Gaza e del Libano non valgono quanto lamorte di un solo soldato israeliano. Ein questo, i sovrani delmondoappoggiano Israele. L'offensiva contro Gaza è stata pianificata per distruggere Hamas, per aver osato vincere le elezioni. La «comunità internazionale» è rimasta lì a guardare Gaza in agonia. Sono morte dozzine di civili. Tutto ciò non ha significato niente per i leader del G8. Subdole parole come «sproporzionato » sono state occasionalmente tirate fuori. Ma nulla è stato fatto. Per dissolvere ogni dubbio, Condoleezza Rice ha chiarito la posizione di Washington su Fox Tv suggerendo che «l'offensiva venga prolungata». La spregiudicatezza di Israele ottiene sempre il semaforo verde da Washington. In quest'ultimo caso, gli interessi coincidono: vogliono isolare e rovesciare il regime siriano assicurandosi il Libano come protettorato israelo-americano. Il Libano contemporaneo, è vero, è rimasto in largamisura la creatura artificiale del colonialismo francese di sempre. La scacchiera confessionale del paese non ha mai permesso un censimento accurato, per il terrore di rivelare che una maggioranza sostanzialmente musulmana - forse ora come ora persino sciita - è preclusa da una adeguata rappresentanza nel sistema politico. Tensioni settarie, incalzate dalle condizioni in cui versano i profughi palestinesi, sono esplose negli anni '70 nella guerra civile, fornendo la scusa per l'ingresso e permanenza delle truppe sirianenel Libano col tacito benestare degli Stati uniti - col ruolo pretestuoso di tampone fra le comunità in guerra e deterrente contro l'avanzata totale di Israele, una possibilità emersa con le invasioni israeliane del 1978 e del 1982, quando ancora Hezbollah non esisteva. L'uccisione del corrotto Hariri ha provocato vaste proteste della media borghesia che ha chiesto l'espulsione delle truppe e della polizia siriana. L'impeto è stato sufficiente a forzare il ritiro siriano ma Hezbollahnon è stato disarmato e la Sirianon è caduta. Questa offensiva israeliana è designata per la presa del castello. Funzionerà? Una lunga guerra coloniale è in vista dal momentoche Hezbollah,comeHamas, gode del supporto delle masse. Non possono essere liquidati come «terroristi», esattamente come l'Olp o l'Anc o la Fnl algerina o iMauMau.Nelmondoarabo sono percepiti come combattenti per la libertà che combattono la più lunga occupazione coloniale del ventesimo secolo. Ci sono 7000 prigionieri politici arabi nei gulag israeliani. E' per questo che vengono catturati i soldati israeliani e che, in passato, vi sono stati scambi di prigionieri. Incolpare Iran e Siria dell'ultimaoffensiva in Libano è semplicemente ridicolo. Finchè la questione palestinese non verrà risolta, l'occupazione in Iraq conclusa, non ci sarà pace in tutta la regione mediorientale.

Che sia Israele l'aggressore e Hamas ed Hezbollah a difendersi lo sostiene anche Tommaso Di Francesco nell'articolo seguente:

Non se ne può più dell'uso sproporzionato della menzogna. Adesso tutti cadono dalle nuvole e Bush ha la faccia tosta di dire dal caso del G8 che «tutto andava bene, eravamo applicati alla pace, studiavamo la road map...», ripetendo l'intercalare di bugie che ci vengono propinate sul conflitto israelo palestinese, a cominciare dalla tempistica che mette dopo quel che invece è accaduto prima: parliamo del terrorismo di stato che dall'alto degli aerei F-16 bombarda spiagge e case civili nel centro di Gaza City

Israele non ha mai bombardato "spiagge e case civili", ma obiettivi di Hamas e di altri gruppi terroristici per rispondere a un' aggressione condotta con i razzi kassam 

 uccidendo decine di bambini e alla fine, dopo, l'attacco hezbollah sulla frontiera libanese. Una escalation chiama l'altra e non viceversa. L'aggravamento e la nuova internazionalizzazione della crisi mediorientale avvengono non a freddo, ma dentro una strategia che vede Israele impegnata a distruggere Hamas e la sua leadership uscita democraticamente vincente dalle elezioni palestinesi soltanto sei mesi fa e intenzionata a portare avanti con Olmert quello che Sharon aveva già deciso: il ritiro unilaterale - vuol dire come e dove vuole Israele senza contrattare nulla con i palestinesi, altro che chiacchiere sulla road map - solo da Gaza, lasciando le colonie più importanti in Cisgiordania (protette dall'esercito), con l'occupazione di Gerusalemme est, senza liberare i quasi diecimila prigionieri palestinesi, senza possibilità di rientro degli ormai 3 milioni e mezzo di profughi palestinesi sparsi per il Medio Oriente, e con la continuazione del Muro che strappa terre ai palestinesi e impedisce con gli insediamenti «legali» una qualche continuità territoriale all'eventuale Stato di Palestina. Così stanno le cose. E' vero, Hamas non riconosce lo stato d'Israele - esplicitamente, perché accettando una recente risoluzione dell'Anp sul ritiro israeliano entro i confini del '67, di fatto va anche oltre - ma possiamo forse dire che il governo israeliano riconosce la possibilità, nei fatti, che esista lo stato palestinese? E quando riaffermiamo la convinzione nei due popoli due stati, sappiamo o no che uno stato esiste ed è forte e internazionalmente riconosciuto, l'altro, quello palestinese, non c'è, ed è appeso ad un mucchietto di pezzi di carta?
Questa condizione di «normalità» si è consumata con la morte di Arafat, deriso di fronte al suo popolo mentre veniva relegato in un angolo di una stanza della Muqata, nel dicembre 2004 e si è aggravata poi con l'avvento del governo di Hamas. L'unica novità, se così si può dire, è stato il più che totale abbandono dei palestinesi da parte dell'Unione europea. Ma abbandono è dire poco, l'Ue ha partecipato delle sanzioni indiscriminate del mondo contro i palestinesi colpevoli di avere scelto un movimento integralista pulito a forze nazionaliste impotenti quando non apertamente corrotte. Così in un grande campionato mondiale di menzogne, invece di aiutarli i palestinesi, li abbiamo affamati dentro le prigioni collettive di Gaza e Cisgiordania, aiutando invece con trattati militari Israele. Ora ci rammarichiamo che altri che non ci piacciono siano arrivati in soccorso a rompere l'isolamento palestinese.
La crisi torna ad internazionalizzarsi nel modo peggiore con una azione e armata degli hezbollah libanesi. Attenzione, perché non è mai stato un bene per i palestinesi, costretti, di fronte all'abbandono dell'Occidente, ad aggrapparsi a regimi arabi che quando hanno potuto li hanno massacrati come e più degli israeliani. Ma sarebbe altrettanto giusto ricordarsi che la crisi mediorientale nasce da un processo di internazionalizzazione, la cacciata dei palestinesi dalla loro terra (la Nakba) ad opera dell'esercito e delle milizie israeliane - con metodi che Albert Einstein e Annah Harendt e decine di personalità religiose e intellettuali dell'ebraismo definirono apertamente «fascisti» in un appello sul New York Times del 1948. Una cacciata che a partire dal 1948 porta i nuovi profughi in molti degli altri paesi arabi che da quel momento in poi saranno condizionati e trasformati indirettamente e direttamente da quella nuova presenza, come il Libano, la Giordania, la Siria. Una internazionalizzazione confermata da due risoluzioni delle Nazioni unite che chiedono da 35 anni a Israele di ritirarsi dai territori occupati militarmente con la guerra del '67, misconosciute come quelle che chiedono il ritiro dalle alture del Golan siriano occupato. Risoluzioni che Israele disprezza e non rispetta, mentre invece il premier israeliano Olmert chiede in queste ore il riconoscimento della risoluzione che impone al governo di Beirut di disarmare le milizie hezbollah. Ma come, senza un impegno per una pace generale in Medio Oriente, anche con la Siria che chiede la liberazione del Golan e a partire da quel grande territorio occupato rappresentato dall'Iraq? Inoltre è giusto non dimenticare che, dopo l'11 settembre e le due guerre che ne sono seguite in Afghanistan e Iraq, il fuoco della crisi mediorientale non ha confini territoriali riducibili al Muro israeliano. Al contrario si diparte dal nodo irrisolto della Palestina e da quello incendia tutta l'area, perché la non soluzione di quel problema costituisce la base e l'alimento di ogni agire politico, compreso il terrorismo islamico nell'area. In uno straordinario libro uscito in questi giorni di Paolo Barnard (Perché ci odiano, Rizzoli ed.) si riporta il testo di un messaggio di Osama bin Laden del 2004, accreditato dalla Cia proprio per l'ossessione al riferimento «libanese», che dice: «Gli eventi che ebbero influenza diretta su di me si svolsero nel 1982 e poi successivamente quando gli Usa permisero a Israele di invadere il Libano con l'aiuto della sesta flotta. Cominciarono a bombardare e tanti morirono altri dovettero fuggire terrorizzati. Ancora ricordo quelle scene commoventi - sangue, corpi dilaniati, donne e bambini morti; case sventrate ovunque e inetri palazzi che furono fatti crollare sui loro residenti...Tutto il mondo vide e sentì, ma non fece nulla. In quei momenti critici fui sopraffatto da idee che non posso neppure descrivere, ma esse svegliarono in me un impulso potente a ribellarmi all'ingiustizia e fecero nascere in me la ferma determinazione a punire l'oppressore». Attenti all'uso sproporzionato della menzogna.

Osama Bin Laden come teste contro Israele: ora al MANIFESTO riciclano anche la propaganda di Al Qaeda

Stefano Chiarini arriva a sostenere la risibile tesi che Israele non difenda la sua sicurezza, ma persegua un progetto di espansione territoriale, già prefigurato da Herzl.
Come se a Gerusalemme governasse una setta di invasati che compulsando le carte dei fondatori del sionismo decide guerre di aggressione.
E, soprattutto, come se l'aggressione di Hezbollah non avesse mai avuto luogo.
Ecco il testo:

 
L'esercito israeliano ha cominciato a spianare una fascia di terreno di un chilometro di profondità sul versante libanese del confine distruggendo case, campi, qualunque cosa, mentre il ministro della difesa il laburista Amir Peretz ha dichiarato che Israele vuole tornare a controllare una «fascia di sicurezza» all'interno del Libano. Per realizzarla l'esercito di Tel Aviv sta già procedendo alla distruzione dei villaggi al di là del confine sbriciolandoli con l'artiglieria, gli elicotteri e le bombe degli F16.
Drammatiche le notizie sulle vittime civili dei bombardamenti, i morti accertati sarebbero centinaia, ma molti corpi sarebbero ancora sotto le macerie, i profughi oltre mezzo milione (i dati sono delle Nazioni unite).
E' una vera e propria guerra, quella contro la popolazione sciita delle zone montuose del sud del Libano, le stesse zone che Israele ha occupato dal '78 al 2000 prima di essere costretto al ritiro dalla resistenza sciita degli Hezbollah. Un movimento che da allora continua la sua lotta contro l'esercito israeliano per la liberazione delle fattorie di Sheba, enclave libanese alle pendici del monte Hermon, ma anche del Golan e dei territori occupati di Palestina.
L'intervento israeliano nel sud del Libano, giustificato ora con la presenza della resistenza sciita libanese degli Hezbollah , in realtà è antecedente non solo alla nascita di questa organizzazione ma anche allo stesso stato di Israele. Il sud del Libano ed in particolare le colline nell'entroterra di Tiro, il Jebel Amel, grazie alla loro posizione strategica e alla ricchezza d'acqua (i fiumi Litani, Hasbani, Wazani, e Awali) sono sempre state nel mirino dei dirigenti israeliani: Theodor Hertzl sosteneva la necessità di questa regione per lo sviluppo del nuovo stato ebraico mentre altri importanti esponenti del movimento, come David Ben Gurion, Yithak Ben Zvi, o Chaim Weizman ritenevano che il monte Libano dovesse essere la frontiera nord di Israele. A tal fine lo stesso Weizman scrisse nel 1919 al premier britannico Loyd George chiedendo che la frontiera nord della Palestina comprendesse al suo interno la valle del fiume Litani così come il fianco ovest e sud del monte Hermon.
Ma lo shock che avrebbe portato ad una permanente ostilità delle popolazioni del jebel Amel nei confronti delle pretese e delle minacce israeliane sarebbe venuto con la guerra del 1948 quando l'Haganah occupò con un colpo di mano sette villaggi libanesi della zona massacrando a Salha e a Houla 174 contadini disarmati. Il cessate il fuoco del 1949 non portò certo alla pace che gli abitanti di queste colline e altopiani coltivati a tabacco avrebbero sperato: dal 1949 al 1964 il Libano subì 140 aggressioni israeliane e dal 1968 al '74 oltre 3.000 attacchi dell'esercito di Tel Aviv. Senza contare che nel corso della guerra del 1967, Israele violando la neutralità del Libano, occupò con un colpo di mano l'area delle fattorie di Sheba e alcune zone del fianco occidentale e meridionale del monte Hermon.
Dopo la cacciata del movimento di liberazione palestinese dalla Giordania con i massacri del settembre nero del 1970 e il suo trasferimento nella repubblica dei cedri, il sud Libano tornò di nuovo in prima linea e pagò un prezzo altissimo per le rappresaglie israeliane contro la presenza dell'Olp. Nel corso della guerra civile libanese (1975-90) i dirigenti di Tel Aviv operarono per insediare a Beirut un governo di destra cristiano maronita loro alleato e per annettersi la zona a sud del fiume Litani. Un pensiero che probabilmente fu alla base del progetto di Shimon Peres, era l'anno 1976, di creare una milizia fantoccio di criminali comuni e torturatori politici sotto la guida di un maggiore libanese rinnegato, Saad Haddad. Era l'Armata del Libano Libero, e aveva il compito di controllare la «fascia di sicurezza» a ridosso del confine che sarebbe poi stata allargata a 800 chilometri quadrati due anni dopo il 15 marzo del 1978. Quel giorno scattò la prima invasione in grande stile del Libano da parte di Israele, la «Operazione Litani», che provocò la morte di 1.186 civili, 285.000 profughi, 82 villaggi disastrati e sei completamente rasi al suolo.
La successiva invasione del 1982, «Operazione Pace in Galilea» con oltre 20.000 morti, 32.00 feriti, 2206 invalidi permanenti, 500.000 profughi, la distruzione dei campi palestinesi, l'assedio di Beirut, i massacri dell'esercito israeliano e dei suoi alleati locali, avrebbero si portato all'uscita dal Libano dei combattenti palestinesi ma allo stesso tempo alla nascita di un nuovo e ancora più incisivo movimento di resistenza contro l'occupazione israeliana, gli Hezbollah, che sarebbe riuscito a costringere al ritiro il potente esercito di Tel Aviv nel maggio del 2000. Un successo militare, questo, il cui segreto sta soprattutto nel fatto che i suoi militanti non sono altro che i figli, i nipoti o anche i padri dei contadini del Jebel Amel.


In prima pagina, per suffragare la tenebrosa immagine di Israele costruita dal quotidiano comunista viene utilizzata una fotografia dei bambini del nord di Israele che firmano proiettili di artiglieria.
I bambini "dedicano" i proiettili a Nasrallah e a Hezbollah (cioè a chi li vuole uccidere), ma la didascalia del MANIFESTO (che non ha mai pubblicato foto della militarizzazione  e dell'educazione al "martirio" dell'infanzia palestinese, nè ha mostrato le immagine delle vittime israeliane dei bombardamenti hezbollah, nè ha mostrato l'immagine del neonato che una madre libanese ha chiamato come il razzo hezbollah Raad) è la seguente:  
Kiryat Shmona,nord-Israele. Fanno firmare ai bambini i proiettili che i cannoni israelianispareranno sul Libano.
Titolo impresso sulla fotografia: "Cessate il fuoco"

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