domenica 22 settembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






La Stampa Rassegna Stampa
19.07.2006 I bombardamenti israeliani contro Hezbollah
nella cronaca scorretta di Giuseppe Zaccaria

Testata: La Stampa
Data: 19 luglio 2006
Pagina: 5
Autore: Giuseppe Zaccaria
Titolo: «Libano, persino il lattaio muore sotto le bombe»

Gli israeliani bombardano le fabbriche di latte in Libano per vendicarsi di un appalto perso, bombardano una scuola militare, i soccorritori e le ambulanze.
Lo scrive Giuseppe Zaccaria in una cronaca pubblicata dalla STAMPA del 19 luglio 2006.
La prima è un'ipotesi il cui unico titolo di credibilità viene, sostiene Zaccaria dall'essere avanzata da un' "esperto capoturno".
La seconda é un' affermazione di un soldato libanese, non verificata.
Persino Zaccaria ne dubita, mentre per lui è una certezza che un camion colpito da un caccia israeliano trasportasse cemento e non razzi di Hezbollah. Come faccia a saperlo e perché un camion trasportasse cemento in piena guerra non lo spiega. Nè cita le dichiarazioni israeliane secondo le quali a essere bombardato sono stati quattro camion provenienti dalla Siria, carichi di armi. Tra di essi c'era anche quello che secondo Zaccaria trasportava "cemento"?
L'obiettivo di Israele è quello  di dare al Libano un futuro da mendicante: le motivazioni strategiche dei bombardamenti, che mirano a stroncare l'operatività di un'organizzazione che sta bersagliando di razzi Israele, vengono accuratamente occultate. Se scrive del bombardamento della villa di un esponente di Hezbollah, Zaccaria precisa subito che non è "neppure troppo importante". Come dire che si esagera anche quando gli obiettivi sono più che mirati.
Così Zaccaria costruisce le sue cronache dal Libano: adossando a Israele terribili responsabilità e ignobili moventi, senza prove.
Si arriva infine a una conclusione generale, vaga quanto perentoria,  "è fin troppo evidente che nel grande calderone della «campagna punitiva» ormai si sono aperti spazi per ogni sorta di messaggi trasversali".
Israele, suggerisce Zaccaria, non si starebbe difendendo, ma starebbe attuando una sorta di "vendetta mafiosa".

Ecco il testo:

La strada che tagliava in due la valle della Beka’a adesso è tagliuzzata in più punti, ad ogni dieci o quindici chilometri bisogna uscire, valicare, tornare indietro aggirando i detriti dei bombardamenti israeliani o attraversare greti di torrente lì dove i ponti sono saltati, però tra Sifri e Talia, in direzione della città di Baalbek, una deviazione svela un risvolto inatteso di questa guerra. Hanno bombardato una centrale del latte.
La «Libanlait» viene annunciata la lunghi filari di cipressi che ormai delimitano soltanto macerie, i grandi e moderni capannoni grigi sono distrutti e questa era una delle più grandi fabbriche di trasformazione del Paese, riforniva anche la capitale. Adesso non trasformerà più.
Sul piazzale ci sono ancora operai che guardano sconsolati il disastro e raccontano come questa azienda, nata da una una società franco-libanese, impiegasse 300 persone per vendere latte, formaggi, yogurth e una specie di mozzarella. La sua destinazione insomma era chiara, qui non c’erano né impianti chimici né installazioni sospette e in più sotto le esplosioni due guardiani sono morti. Allora, perchè mai bombardare una fabbrica di mozzarelle?
La spiegazione sarà maliziosa però giunge da Mohammed Haidar, esperto capoturno: «Quattro anni fa quest’azienda aveva vinto l’appalto delle forniture all’Unifil, le forze dell’Onu dislocate in Libano, un affare di milioni in cui la «Libanlait» aveva soppiantato l’appaltatore precedente, un gruppo caseario israeliano...». In prospettiva la guerra di distruzione comincia a significare anche questo, sguardo proietatto sul futuro, una visione concreta dei fatti, l’azzeramento della concorrenza.
E’ impressionante tornare nella valle percorsa appena una settimana fa, all’inizio di questa catastrofe. La strada di Tarshish, quella che risale a tornanti il massiccio del Maten rimane il solo collegamento possibile fra Beirut e il Nord del Paese e in questi giorni è trafficata come un’autostrada. Passano cortei di pullmann, da qui transitano quelli che si rifugiano in Siria, vista dall’alto la vallata assomiglia a un volto devastato dalla lebbra tanti sono i crateri delle esplosioni. Secondo i dati della Croce Rossa libanese, gli sfollati dall’inizio degli attacchi sarebbero almeno 700 mila e il loro numero continua ad aumentare.
Nella cittadina di Bednayel gli aerei di Davide hanno bombardato una zona di villette. «Ero arrivato l’altra sera da Beirut per raggiungere la mia famiglia - ci racconta Abdallah Al Masri - e verso l’una di notte sono stato svegliato da un’esplosione terrificante e dal rumore dei vetri infranti...». Poco più in là c’era la villa ancora rustica di un esponente degli Hezbollah, neppure troppo importante, i piloti israeliani l’hanno centrata in pieno e per buona misura hanno distrutto un Tir ed un furgone parcheggiati nei pressi.
«Io e la mia famiglia stiamo girando in tondo come bestie impazzite», racconta poco più tardi un uomo che nell’aspetto riassume tutte le contraddizioni del Libano odierno. Indossa un abito grigio in fresco di lana, nella capitale doveva essere un funzionario di qualche livello ma ha la barba di tre giorni, puzza e porta i sandali. «Continuiamo a scappare e a ritrovarci sotto le bombe: da Beirut a Zahla, bombe alla prima notte. Da Zahla a Baalbek, bombardamenti alla seconda notte. Da Baalbek nelle campagne di Rayak dove ho fatto dormire i miei bambini sotto i pergolati di una vigna, esplosioni anche là vicino. Non so più che fare, mia moglie rischia di perdere il senno...».
Pare che soltanto in questa zona le bombe dell’altra notte abbiano fatto una quindicina di morti, da qualche parte in cielo si ode il ronzio da motoretta di un «Amk», l’aereo da ricognizione senza pilota che fotografa tutto e spedisce le informazioni via computer ai caccia. Pare funzioni fin troppo bene, poche ore fa hanno centrato un camion carbonizzandone l’autista. L’autocarro era carico di cemento però in teoria poteva trasportare armi per gli Hezbollah.
 La radio dice che secondo un generale israeliano questa campagna durerà «soltanto poche settimane».
Il senso di questi giorni ormai può essere cercato soltanto in una sommatoria tra follia, devastazioni, spedizioni punitive e accurata pianificazione di un futuro da mendicante per quel Libano che sul piano economico rischiava di riprendersi. I tetrapak della «Libanlait» arrivavano in tutto il Paese e in Siria, finivano nei ciucciotti dei bambini o si trasformavano in ingrediente per le «capresi» dei turisti, gli stessi turisti che oggi scappano a gambe levate a bordo di pullmann, auto, navi militari. Se questa storia finirà presto forse il Libano potrà riprendersi dalle condizioni di vent’anni fa, se dovesse proseguire forse l’asfissia diventerà irreversibile.
Rientrando verso Beirut giunge notizia dell’ennesimo bombardamento nella zona Sud, a Jamhour, dove sono morti undici militari dell’Armèe e una quarantina sono rimasti feriti. Erano tutti giovanissimi, quella di Jahmour era una scuola, adesso soldati nervosissimi e sgarbati impediscono a chiunque di avvicinarsi al cumulo di mura triturate. Uno dice: «Hanno bombardato tre volte, prima l’edificio, poi i soccorritori e infine le ambulanze». Vero o no, è fin troppo evidente che nel grande calderone della «campagna punitiva» ormai si sono aperti spazi per ogni sorta di messaggi trasversali.

Cliccare sul link sottostante per inviare una e-mail alla redazione della Stampa


lettere@lastampa.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT