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Rassegna Stampa
18.07.2006 Contro il pregiudizio antisraeliano
due voci a sinistra

Testata:
Autore: Massimo Franco - Roberto della Seta
Titolo: «Tra Romano, Massimo e Sodano - A sinistra troppi pregiudizi»

Dal RIFORMISTA del 18luglio 2006:

Sono un cattolico liberale e antifascista come il mio maestro e antico professore Francesco Cossiga, anche se sensibilmente più a sinistra di lui. Perché democratico e antifascista per convinzione e tradizione familiare, come anche per gli insegnamenti impartitimi dal mio maestro, sono sempre stato filo-ebraico e a favore di Israele. E sono filo-ebraico e a favore di Israele anche come cristiano, perché ritengo che il popolo ebraico, il popolo dei nostri «fratelli maggiori», sia ancora il «popolo eletto» e abbia un diritto divino sulle terre di Palestina, la «terra promessa» dotagli da Dio in virtù di una alleanza che permane anche se per noi cristiani rinnovata e integrata dalla Rivelazione di Gesù Cristo, Figlio di Dio e il Messia. Riconosco però che si può essere cattolici, democratici e antifascisti anche essendo antisemiti o più precisamente anti-ebraici e contro lo Stato d'Israele, fino anche, per realizzare la pace, ad augurarsi l'estinzione di esso, anche se non con una nuova Shoah.
Comprendo quindi come il card. Angelo Sodano e Romano Prodi, quali cattolici, e Romano Prodi e Massimo D'Alema quali democratici e antifascisti, e per virtù transitiva quindi Sodano, Prodi e D'Alema tutti insieme si siano incontrati su posizioni anti-ebraiche e anti-Israele. Sodano e Prodi hanno le loro radici nella cultura popolare cattolica fortemente anti-ebraica da secoli: i perfidi giudei deicidi! Il Concilio Vaticano II e due Papi non bastano a cancellare questa profonda tradizione. Certo, la dichiarazione del Concilio Vaticano II sulle relazioni con le religioni non cristiane ha un diverso indirizzo, ma detto Concilio ha un valore puramente pastorale e non dogmatico, e non impegna ad un assenso interno, ma solo a un rispetto e ossequio esterno, le sue proposizioni: e ciò vale anche per un cardinale e per un presidente del Consiglio dei ministri. D'altronde contro questa dichiarazione votarono molti vescovi e quasi tutti i vescovi arabi. La Chiesa è quella del Concilio Vaticano II, ma è anche quella di Isabella la Cattolica, di cui i vescovi spagnoli hanno chiesto due o tre anni fa la beatificazione, nonostante (o forse proprio perché) abbia «purificato la Spagna», prima perseguitando e poi espellendo gli ebrei dai suoi regni, e aprendo così la via che condusse alla fine a Auschwitz e alla Shoah. La Chiesa è quella del Concilio Vaticano II, ma è anche quella del beato Pio IX, che considerava lecito e «santo» battezzare contro la volontà dei genitori i bambini ebrei, e poi rapirli a loro. La Chiesa è quella del Concilio Vaticano II, ma è anche quella di Pio XII che tacque di fronte alla persecuzione degli ebrei e del loro sterminio, e che non li condannò, anche per non indebolire il nazismo nella sua lotta all'Urss e al comunismo, a differenza dei vescovi olandesi e dei vescovi tedeschi von Preysing e von Galen e della santa e martire Edith Stein, ignorata dalla Chiesa fino a Papa Giovanni Paolo II che la canonizzò. La Chiesa è quella del Concilio Vaticano II, ma è anche quella del venerabile polacco card. Hlond, arcivescovo di Cracovia, che sulla scia dei progrom polacchi cattolici dell'800, considerava l'ebraismo la sentina dei mali peggiori, dalla massoneria al comunismo. Egli pubblicò anche una pastorale che affermava che gli ebrei erano l'avanguardia dell'ateismo e del bolscevismo, invitava a boicottare le pubblicazioni e il commercio degli ebrei che conducevano una guerra alla chiesa cattolica. Seguendo il suo insegnamento il sinodo dei vescovi polacchi adottò una risoluzione che chiedeva che agli ebrei fosse impedito di insegnare agli studenti cattolici e che gli studenti ebrei fossero allontanati dai corsi seguiti dagli studenti cattolici, inoltre, per i gesuiti polacchi, gli ebrei dovevano essere espulsi dalle società cristiane. Il card. Hlond sarà presto dichiarato beato.
A Vienna era convinzione tra i cattolici che dietro il bolscevismo e il comunismo c'era la massoneria ebraica, padre Kolb vedeva la mano del giudaismo dovunque, i suoi discorsi furono ripresi anche da padre Wladimir Ledochowski, il polacco che sarebbe presto diventato generale dei gesuiti e avrebbe impedito a Pio XI di condannare la persecuzione nazista degli ebrei. La Chiesa è dunque quella del Concilio Vaticano II, ma è anche quella del card. Sodano e del card. Martino, fermi anti-israeliani e filo-arabi. Certo, vi è anche un motivo di politica ecclesiastica, cui Prodi come già Andreotti sono stati sempre sensibili. I cattolici e i cristiani del Medio-Oriente sono arabi e anti-israeliani e anti-americani, perché protetti da Al Fatha, da Hamas e dagli Hezbollah, e dalle dittature di Saddam Hussein, che ai cristiani dell'Iraq concesse il monopolio del commercio dell'alcool, e da quella di Assad. Vi è poi l'«anti-americanismo cattolico», fortissimo, che odia o almeno diffida dell'America, come Romano Prodi e Angelo Sodano, perché liberal, protestante, massonica e piena di ebrei! Gli antifascisti e democratici Romano Prodi e Massimo D'Alema sono uniti nel comune sentimento anti-ebraico e anti-israeliano anche dalla nozione di «democrazia» e di «antifascismo», comune in Italia a comunisti, socialisti “fusionisti” e cattolici di sinistra, formulata, credo, dalla ottava sessione del Comitato centrale del Comintern («non si è veri democratici e antifascisti se non si è accanto ai partiti comunisti a all'Urss»), che portò poi alla persecuzione e al massacro degli ebrei nell'Unione Sovietica e, dopo un momentaneo filo-israelismo dell'Unione Sovietica in funzione anti-araba, poiché essa riteneva durare ancora a lungo il rapporto tra paesi arabi e Regno Unito, e quindi Occidente, portò a far catalogare lo Stato d'Israele come «potenza imperialista» e «serva dell'America». Angelo Sodano e Romano Prodi saranno certo anche cattolici della Chiesa del Concilio Vaticano II, ma anche della chiesa di Isabella la Cattolica, la “patrona” di Auschwitz-Birkenau, del beato Pio IX e di Pio XII, il «prudente» e il «silenzioso» filo-germanico, del venerabile polacco card. Hlond, arcivescovo di Cracovia, che sulla scia dei progrom polacchi cattolici dell'800 considerava l'ebraismo la sentina di ogni peggior male, dalla massoneria al comunismo. Egli infatti pubblicò in Polonia una pastorale che affermava che gli ebrei erano l'avanguardia dell'ateismo e del bolscevismo, invitava a boicottare le pubblicazioni e il commercio degli ebrei che conducevano una guerra alla chiesa cattolica. E presto sarà proclamato beato. Dietro il suo insegnamento, il sinodo dei vescovi polacchi adottò a quei tempi una risoluzione che chiedeva che agli ebrei fosse impedito di insegnare agli studenti cattolici e che gli studenti ebrei fossero allontanati dai corsi seguiti dagli studenti cattolici, inoltre, per i gesuiti polacchi, gli ebrei dovevano essere espulsi dalle società cristiane, ciò che fu poi realizzato dai nazisti nell'intera Europa anche se, in risposta a questo auspicio dei vescovi polacchi, soprattutto in Polonia, dato che oltre la metà degli ebrei uccisi a Auschwitz era polacca. Essere cristiani e anti-giudei prima era quasi prescritto, oggi è sconsigliato, ma non di più.
Romano Prodi è un sincero democratico e antifascista, cattolico di sinistra, anti-protestante, anti-capitalista, anti-massone, anti-liberal, a parte i matrimoni tra non eterosessuali o forme di unioni analoghe, e anti-ebreo, e quindi anti-americano. Massimo D'Alema è diventato un «democratico semi-occidentale» o «democomunista», che cioè accetta sinceramente la cornice delle libertà liberali, ma ha nel cuore e nel suo dna l'«egemonia del comunismo» alla Gramsci, e l'idea di democrazia e antifascismo comune anche a Romano Prodi, della ottava sessione del Comitato centrale del Comintern («non si è veri democratici e antifascisti se non si è accanto ai partiti comunisti e all'Urss»).
Contro lo Stato d'Israele e contro l'ebraismo: questo è il terreno dunque, sul quale si sono incontrati il card. Angelo Sodano, Romano Prodi e Massimo D'Alema. Ad una nuova campagna specificatamente anti-ebraica ci si penserà domani, anche se non in tempi brevissimi, ostando l'essere oggi papa Benedetto XVI.

Segnaliamo anche il buon articolo di Roberto della Seta, "A sinistra troppi pregiudizi", pubblicato in prima pagina da EUROPA

Perché mai sarebbe di sinistra incolpare Israele per quest’ultima, terribile escalation di guerra in Medio Oriente, e di destra richiamare il diritto dello stato ebraico a difendersi dagli attacchi di Hezbollah? Una ragione di fondo c’è, anche se basata su rappresentazioni false o quanto meno distorte di cinquant’anni di conflitti arabo-israeliani. È l’idea che in ognuna delle sue tappe – dalla guerra del 1948 fino agli scontri odierni – questo massacro infinito altro non sia che l’espressione più irriducibile e duratura, quasi il precipitato, di una guerra ben più globale: quella tra ricchi e poveri, tra prepotenti e diseredati, tra cinici e spietati fautori dello status quo (in definitiva il “mondo americano”) e disperati combattenti per un cambiamento che dia uguali diritti e pari dignità a tutti gli uomini e a tutti i popoli.
Questa “ragione” è così profondamente e apoditticamente radicata nella sinistra da avere del tutto cancellato, nella sua visione e nei suoi giudizi, quel moto istintivo di simpatia verso Israele che fino a pochi decenni fa sembrava incancellabile dalla memoria e dalla coscienza degli europei: ancora all’inizio degli anni ’60 era impensabile per qualunque forza politica di sinistra non parteggiare per Israele; oggi almeno per la sinistra radicale, ma in generale per l’opinione pubblica progressista, è politicamente scorretto non dare ad Israele la colpa principale per quello che sta succedendo.
Ragione radicatissima e ragione, ripeto, infondata. In Israele e in Palestina sono all’opera dinamiche complesse e assolutamente tipiche, rese tanto più intricate dal fatto che torti e ragioni iniziali si perdono in un’epoca ormai lontanissima, della quale gli attuali protagonisti non portano né esperienza né tanto meno responsabilità.
Per dire: Abu Mazen o il capo di Hezbollah o il leader di Hamas erano bambini o non erano nati quando nel 1948 i paesi arabi rifiutarono la creazione di uno stato arabo indipendente in una parte della Palestina, prevista nella risoluzione dell’Onu che diede vita a Israele; e il ministro israeliano della difesa Peretz, o la ministra degli esteri Livni, erano adolescenti quando Israele occupò i territori a est del Giordano, il Sinai e le alture del Golan.
In pochi altri casi, poi, la lettura ideologica e stereotipata di una vicenda complessa e sfaccettata qual è la crisi mediorientale, fa così evidentemente a pugni con la realtà come di fronte agli eventi di queste ultime ore. Da Rifondazione ai Comunisti italiani, dai Verdi a molti esponenti diessini, fino a tutta la galassia pacifista, la litania è sempre la stessa: Israele deve smetterla coi suoi propositi aggressivi, invece di attaccare a Gaza e nel sud del Libano deve trattare con Hamas ed Hezbollah per ottenere il rilascio dei soldati rapiti e rinunciare ad ogni rappresaglia.
Litania in questo caso francamente indecente: a quale paese al mondo si chiederebbe di non reagire con tutti i mezzi se dai pressi della sua frontiera venissero lanciati, per mesi e mesi, missili contro il suo territorio? A nessuno, lo si pretende solo da Israele e come un atto dovuto: e ciò avviene, inutile nasconderlo, perché chi parla così accetta più o meno consapevolmente l’idea che Israele, in fondo in fondo, non dovrebbe stare dove sta.
Naturalmente ogni persona e ogni governo di buon senso non possono che augurarsi che i leader israeliani misurino la reazione militare contro Hezbollah con grande, grandissimo scrupolo. Ma questo augurio, per diventare un appello credibile a Tel Aviv, deve accompagnarsi con segni forti ed espliciti di solidarietà con lo stato ebraico, col suo diritto non solo ad esistere ma a difendersi: anche in Italia e anche nella sinistra italiana, dove in troppi continuano a guardare a Israele come a un intruso in casa d’altri.

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