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Corriere della Sera Rassegna Stampa
17.07.2006 Hamas è "anche resistenza"
la tesi di Sergio Romano

Testata: Corriere della Sera
Data: 17 luglio 2006
Pagina: 25
Autore: Sergio Romano
Titolo: «Terrorismo, guerriglia, resistenza: il caso di Hamas»

Hamas è sì un'organizzazione terroristica, ma  anche un organizzazione di "resistenza".
Lo sostiene Sergio Romano rispondendo a due lettori.
Con un'argomentazione di palese inconsistenza : il sostegno di cui gode tra la popolazione palestinese e il fatto che molti suoi dirigenti operano in pubblico.
Ma Hamas è un'organizzazione terroristica perché uccide deliberatamente civili innocentie non è un'organizzazione di resistenza perché non "resiste" a nulla: il suo obiettivo è distruggere Israele in nome della sua ideologia jihadista.
E' un aggressore totalitario, non un movimento nazionale che difende i diritti di un popolo.
Ecco il testo:


È Hamas un'organizzazione terroristica oppure è Israele che tratta Hamas come un'organizzazione terroristica? Visto il suo disagio nell'essere equidistante tra uno Stato dittatoriale antisemita e uno Stato democratico, mi piacerebbe avere una sua onesta presa di posizione sui terroristi che si trasformano in resistenti.
Marco Piloni
cienfuego@inwind.it
Israele non «tratta» i membri del governo palestinese come esponenti di una organizzazione terroristica: Haniyed e i suoi ministri sono
membri di un'organizzazione terroristica. Persino la filopalestinese Unione europea aveva iscritto Hamas nella lista delle organizzazioni terroristiche.
Il fatto che i palestinesi l'abbiano votata in massa non cambia ovviamente la natura di Hamas: piuttosto, sta a confermare che i palestinesi sono «un popolo di terroristi». Con questo non voglio fare nessuna affermazione razzista: intendo dire che il terrorismo è considerato dalla maggioranza dei palestinesi un metodo di lotta legittimo o quanto meno non troppo riprovevole, se usato per affermare i propri interessi nazionali (cioè per lottare contro l'«occupazione»).
D'altronde questa posizione è sostenuta in modo più o meno esplicito anche da tutto il mondo arabo musulmano, da tutta la sinistra europea e dalla maggioranza degli «intellettuali» e dei «pacifisti» occidentali (compreso il Cipmo e, mi sembra, anche lei stesso).
Perché quindi dovremmo stupirci che i palestinesi (così come qaedisti, saddamiti, ceceni, tamil, ecc.) adottino lo strumento «terrorismo», che ha dimostrato di essere molto efficace e privo di particolari conseguenze negative?
Paolo Chiroli
pchiroli@katamail.com

Cari Piloni e Chiroli, le vostre lettere trattano in modo diverso lo stesso problema ed esprimono implicitamente la convinzione che esista tra terrorismo e resistenza una fondamentale differenza. Non sono d'accordo e proverò a spiegarmi ricordando che sono esistiti nel corso del Novecento, in Europa e in America, almeno tre terrorismi. Il primo è quello rivoluzionario, praticato dagli anarchici, dagli «essèri» (i socialisti rivoluzionari russi prima e dopo la rivoluzione d'Ottobre) e da gruppi militanti anarchici e comunisti soprattutto negli anni Ottanta e Novanta (Tupamaros, Brigate rosse, Rote armee fraktion, Anarco-insurrezionali). Il secondo è quello di alcune associazioni segrete d'ispirazione religiosa e razzista, soprattutto negli Stati Uniti. Il terzo è quello del nazionalismo radicale macedone, croato, ebraico, armeno, irlandese, basco e persino, per una breve stagione, sud-tirolese. Ho parlato dell'Europa e degli Stati Uniti, ma la stessa classificazione può essere usata per l'Africa settentrionale, il Medio Oriente e l'Africa. Il confine fra le tre categorie è spesso sfumato, ma la distinzione fra la seconda e la terza è abbastanza netta. Il terrorismo fanatico e religioso è opera di cellule clandestine che si propongono obiettivi «messianici». Il terrorismo nazionale, invece, si propone uno scopo preciso e concreto: la liberazione o l'indipendenza di un territorio geograficamente delimitato. Mentre il terrorismo religioso opera nella massima segretezza ed è impermeabile a qualsiasi trattativa negoziale, il terrorismo nazionale può diventare prima o dopo il necessario interlocutore dello Stato contro cui ha combattuto. E' accaduto in Algeria, dopo l'insurrezione anti-francese degli anni Cinquanta, in Irlanda e più recentemente nel Paese Basco. Non è tutto. Mentre il terrorismo religioso si appoggia su una rete di simpatizzanti e sostenitori che agiscono nell'ombra, il terrorismo nazionale ha spesso un braccio politico che agisce alla luce del sole ed è composto da persone che hanno un nome, un indirizzo, un numero di telefono: il Fronte di liberazione nazionale nel caso del movimento insurrezionale algerino, Sinn Fein nel caso dell'Ira (Irish Republican Army), Batasuna nel caso dell'Eta, l'Olp (Organizzazione per la liberazione della Palestina) nel caso di Al Fatah. Hamas rientra, per l'appunto, in questa categoria. E' una organizzazione combattente che ricorre all'arma del terrorismo e agisce nell'ombra, ma è anche una organizzazione politica che ha dirigenti, militanti e simpatizzanti che scendono in piazza a volto scoperto. Israele non avrebbe ucciso o arrestato molti dirigenti e non avrebbe incarcerato alcune migliaia di palestinesi se una parte importante dell'organizzazione non agisse alla luce del sole e non fosse facilmente individuabile. Che l'organizzazione non fosse soltanto clandestina è divenuto evidente, del resto, quando ha cominciato ad agire militarmente con missili e operazioni di commando. Ed è ancora più evidente quando le rappresaglie israeliane vengono accolte da manifestazioni di ostilità che coinvolgono una parte della popolazione. E' questo il momento in cui il terrorismo diventa contemporaneamente guerriglia e resistenza.


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