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La Stampa Rassegna Stampa
17.07.2006 Non è la prima volta che Israele è minacciata
per assolvere la sinistra dall'accusa di nutrire un pregiudizio antisraeliano, Lucia annunziata corregge la storia

Testata: La Stampa
Data: 17 luglio 2006
Pagina: 1
Autore: Lucia Annunziata
Titolo: «DS TRA IRAQ e Israele»

Da La STAMPA del 17 luglio 2006:

IL consiglio nazionale dei Ds, cioè il parlamentino del partito, con i suoi 400 componenti, si riunisce oggi in piena emergenza militare internazionale, e alla vigilia di un voto sull'Afghanistan che, come continua a sottolineare il presidente Napolitano, ha a che fare con la identità stessa del governo. Tre guerre sono in corso in Medio Oriente, circostanza unica anche per la storia di quella regione. Un accumulo di instabilità militare senza precedenti sulle sponde del nostro mare.
E se, a fronte di questa eccezionale congiuntura, Piero Fassino stamattina avesse l’intuizione, il coraggio e la spregiudicatezza di mettere da parte tutto il percorso che ci aspettiamo per questo parlamentino (come ci si fonde, quando, con quale forza, con chi, e con quali nomi in segreteria etc) e ripartisse da qui, e solo da qui, cioè dalla visione del mondo del partito che guida?
Il centrosinistra al governo è entrato sulla scena internazionale con un ottimo credito: il suo no alla guerra in Iraq. Come si è visto già in questi giorni al G8, questa posizione, a fronte del disastroso corso di quel conflitto, gli dà il vantaggio di poter effettuare una partita senza eredità scomode. Tuttavia, le decisioni da prendere oggi riguardano ormai molto poco la natura, giusta o meno, delle guerre iniziate pochi anni fa, e molto più le condizioni costruite da quelle stesse guerre.
Ed è qui che il ragionare del centrosinistra italiano appare lacunoso. La discussione ritiro sì/no, su cui è incagliato, ha a che fare ancora con la partita guerra sì, guerra no: il ritiro viene infatti esplicitamente proposto come una «riparazione» morale, un azzeramento della decisione di intervento. Confusa o non esistente invece la discussione sulle scelte dell'oggi. Non a caso, la più difficile vicenda da dipanare è Israele, che è sempre stato il tallone di Achille della sinistra, e che è l'esempio dei cambiamenti in corso in Medio Oriente.
Va detto subito che questa difficoltà non deriva da un pregiudizio anti-Israele come spesso maliziosamente si semplifica. La sinistra ha sempre ragionato sul Medio Oriente dando per scontato che la sicurezza di Israele fosse negli ultimi anni ampiamente consolidata dalla sua superiorità militare e dalla cintura di détente della politica Usa in regione. Ed è proprio in virtù di questa superiorità, cioè al suo status di protagonista più forte, che ha chiesto spesso ad Israele lo sforzo maggiore nella costruzione della pace.
Tuttavia, i razzi caduti sabato ad Haifa indicano che la partita è cambiata anche per Israele, che per la prima volta è stata attaccata in maniera efficace dall'esterno. Ogni attacco precedente - i deboli Scud di Saddam nella prima Guerra del Golfo, o le scaramucce della guerra di attrito di Nasser - non erano mai prima riusciti a portare il pericolo così dentro il Paese. Nel muro invisibile della sua sicurezza si è aperta una gravissima falla.

Lucia Annunziata dimentica qui alcuni episodi storici di una certa importanza: senza risalire al 48 o al 67, si può citare la guerra del 73, durante la quale le città isrealiane furono minacciate dalle truppe siriane, e la campagna di terrorismo suicida della "seconda intifada".
Difficile sostenere che la mancata solidarietà a Israele in questo frangente non fosse dovuta aun qualche pregiudizio.

E' il risultato, appunto, della guerra irachena, che ha rotto la cintura del contenimento, e ha portato sulla scena un nuovo potere, l'Iran, i cui attacchi attraverso Hezbollah e Hamas, con i toni islamisti e il nuovo armamento tecnologico, minacciano non solo il governo di Gerusalemme, ma anche quelli di Beirut, di Giordania e del Cairo.
Queste sono le nuove condizioni. E la debolezza di Israele è la più nuova di esse. Per la prima volta dalla sua fondazione lo Stato ebraico può davvero essere in pericolo di esistenza? Su questo bisogna riflettere oggi. Non tanto su ritiro o no.
E se c'è un politico che nel centrosinistra può sollevare questa discussione con buone possibilità di successo è proprio il segretario dei Ds, Fassino, che si è distinto nelle file del partito per la sua apertura allo Stato ebraico, e per non aver mai avuto tentazioni antiamericane. La sua posizione infatti - che si può essere mediatori solo se ci si accolla la responsabilità anche della sicurezza di Israele - è in parte diversa da quella del governo. Ma potrebbe risolversi in un aiuto, invece che in uno scontro, per il governo stesso, se il segretario riuscisse a portare i Ds fuori dalle secche delle opinioni di sempre.
Che è poi questa, oggi, la funzione vera di un nuovo partito. Sperimentare, aprire nuovi sentieri, avere l'audacia di esplorare tramite il proprio rapporto diretto con la società, facendo così da serbatoio di idee a un governo ristretto dai suoi confini istituzionali.
Tre giorni fa, uno dei padri nobili dei Ds, Alfredo Reichlin diceva: «Il nuovo partito democratico si fa definendo qual è il nostro posto nel mondo». Appunto.

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