Giuseppe Zaccaria continua a disinformare facendo credere che Israele si accanisca sui civili libanesi
Testata: La Stampa Data: 17 luglio 2006 Pagina: 1 Autore: Giuseppe Zaccaria Titolo: «Beirut, la gente sfinita attende la morte da cielo»
Continua l'opera di disinformazione di Giuseppe Zaccaria, corrispondente della STAMPA da Beirut. Ecco il pezzo del 17 luglio 2006:
Il jet israeliano sorvola basso la zona del porto e mentre d'istinto incassi la testa nelle spalle aspettando il botto ecco che nel cielo compare uno stormo di uccelli. Visto in controluce pare davvero un gruppo di storni in movimento invece è una massa di volantini rosa che plana lenta verso terra e questa volta la precisione lascia a desiderare, poichè una piccola parte del lancio si deposita sul lungomare deserto e tutto il resto va a ricoprire la darsena del porto turistico. Il messaggio però è chiaro, Israele intensifica i bombardamenti. «Libanesi - è scritto - l'esercito di Israele aumenterà la sua attività in Libano contro il terrorismo continuato del partito Hezbollah e si considera libero di muoversi per la difesa dei cittadini israeliani. Per la vostra salvezza e la nostra volontà di non colpire la popolazione civile non coinvolta evitate di trovarvi nei luoghi in cui il "partito di Dio" lavora contro Israele». «Evitate dunque: primo, i luoghi da cui si lanciano missili verso il territorio israeliano. Due, i luoghi in cui si trovano depositi di munizioni degli Hezbollah. Tre, le sedi del partito a Beirut Sud e le aree sotto il suo controllo nel Sud del Libano. Quattro, la periferia Sud di Beirut sede del terrorismo». Intimazione finale: «L'esercito di Israele invita i libanesi e il loro esercito a rifiutare ogni aiuto diretto o indiretto ai membri del "partito di Dio", chiunque lo farà metterà la sua vita in pericolo. Sappiate che la continuazione del terrorismo contro lo Stato di Israele vi impedisce un futuro migliore». Firmato, lo Stato di Israele. Adesso alcuni ragazzi stanno ammassando i volantini sul marciapiede e li fanno bruciare per la gioia delle tv locali. Il tono del messaggio rievoca ben altri volantini e ultimatum di ben altri regimi, dunque il rito purificatorio vale poco, gli aerei e le navi israeliane stanno dicendo a una città e un Paese stremati di prepararsi a peggiorare il peggio.
Esattamente quali regimi avvertivano la popolazione civile degli obiettivi dei loro bombardamenti per ridurre al minimo il numero delle vittime?
«Ci avevano avvertiti così anche ieri a Marwaheen - racconta una ragazza dal viso deturpato da graffi recenti - poi hanno sterminato quelle due famiglie con nove bambini...». Insaf Melmen, vent'anni è appera arrivata nella capitale da quello stesso villaggio del Sud che l'altro ieri ha visto il rogo del pullmino con tutti i suoi occupanti carbonizzati. Non sa dove siano i suoi genitori, lei ha marciato per trenta chilometri superando ponti crollati e devastazioni, calzava babbucce e adesso ha i piedi piagati. «Sa perchè non è stato possibile salvare quei poveretti? Perchè dopo che gli altoparlanti israeliani ci avevano intimato di lasciare le case entro due ore anche i vigili del fuoco erano scappati dalla loro caserma...». Lei comunque dice di aver visto l'aereo militare che passava radente sganciando missili in sequenza, uno ha mancato una casa prendendo in pieno il pullmino.
Zaccaria non riporta il dato fondamentale del rifiuto da parte dell'Unfil di accogliere le due famiglie. E' stato un loro parente, intervistato dalla Reuters, a dire che non sarebbero mai morti se fossero stati lasciati entrare dai soldati della forza di interposizione dell'Onu.
Insaf è stesa su un materasso di gommapiuma nel cortile di una scuola, la media pubblica del quindicesimo circolo nel quartiere di Raa's Alnaaba. Pochi minuti fa arrivando qui abbiamo avuto la percezione esatta di cosa Israele intenda per «aree sotto il controllo» degli Hezbollah. Qui c'è una delle scuole in cui si rifugiano i profughi del Sud e della Beirut sciita ed esattamente di fronte alla porta, dove un poliziotto cercava di controllarci i documenti un'esplosione vicinissima ci ha proiettati tutti verso l'interno con un balzo olimpionico. Un missile era piombato a non più di duecento metri sfarinando la facciata di un palazzo.
Zaccaria non ha la minima idea del perché quell'edificio sia stato bombardato, non ha il minimo elemento per affermare che l''area non sia sotto il controllo militare degli Hezbollah o per negare che questi nascondano le loro armi in edifici civili e operino i lanci di razzi da centri abitati. Egli non cita un solo fatto, si limita a giocare con l'emotività dei lettori: un missile che cade a non più di duecento metri da una scuola nella quale si rifugiano dei profughi diventa così l'inconsistente "prova" che Israele non bambarda obiettivi militari, ma civili.
Nella scuola si ammassano trecento persone, in ogni aula dormono in venti o trenta, i banchi sono stati impilati lungo le pareti e per terra sono stesi materassi e coperte. Beirut torna a diventare la città dei materassi. Come trent'anni fa nella guerra civile, come ventotto anni fa nell'occupazione israeliana del Sud, ventitrè anni fa per l'invasione che raggiunse la capitale, diciannove anni fa per il massacro di Kaana, anche nel terzo millennio i libanesi abbandonano le loro case portandosi dietro poche cose e materassi che spuntano da ogni dove, si affacciano dai bauli delle auto, sono in bilico sulle teste delle donne. Dai vicoli della periferia meridionale lunghe teorie di zoccolanti si approssimano ai margini del centro come sciami di formiche, si vedono soprattutto donne e bambini gli uomini sono rimasti sotto il fuoco per difendere la casa, o in molti casi l'idea. «Mio marito è rimasto e sono orgogliosa di lui», ci sta raccontando una donna sulla cinquantina di nome Hauda. Porta appoggiato al fianco un nipotino che avrà tre anni ed è stato ferito alla resta e si lamenta piano, come in una cantilena. «Gli israeliani ci vogliono distruggere come è accaduto in passato - continua la donna col piglio della capopopolo - ma questa volta non hanno il coraggio di entrare con le loro truppe perchè sanno che Hezbollah ha un esercito». Ci sono ragazzi arrivati da Sud e ragazze che vengono dall'altra parte della città, una che si chiama Nancy Hmede e non avrà più di sedici anni ci dice di salutare le coetanee italiane. «Nel mondiale noi facevamo il tifo per voi, adesso vorrei che le mie coetanee facessero il tifo per un Libano che vuole sopravvivere...». Riuscire a farlo sta diventando ogni giorno più difficile. Ieri i missili isrealiani hanno colpito nuovamente il quartier generale di Hezbollah a Bir Al Habed nel quartiere di Hare Hreq.
Non si capisce come possa costituire una minaccia alla sopravvivenza del Libano un bombardamento contro il quartier generale di Hezbollah, l'organizzazione terroristica che ha irresponsabilmente trascinato questo paese in guerra.
Il nome significa «pozzo del negro», ormai del palazzo restano sono macerie triturate e secondo la tv «Al Arabya» lì accanto dieci famiglie sono bloccate da giorni in un rifugio senza cibo nè acqua. La fascia meridionale della città sprofonda inesorabilmente verso un nuovo Medio Evo, per le strade il lezzo dei rifiuti che nessuno rimuove comincia a stagnare, lo Stato libanese non è in grado di fornire assistenza, i rifugi vengono approntati in massima parte da Hezbollah, il partito del giovane Hariri offre assistenza medica gratuita. Fonti governative sostengono che finora le vittime civili sono quasi duecento, i sunniti annunciano che stanno per richiamare in servizio l'antica milizia dei «morabitun», un altro pezzo di passato che riaffiora.
Particolarmente scorretto il titolo "Beirut, la gente sfinita attende la morte da cielo", ceh suggerisce una volontà israeliana di uccidere indiscriminatamente tutti i libanesi.
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