L' "impulso della condanna" che Sandro Viola non riesce dominare, quando si tratta di Israele
Testata: La Repubblica Data: 17 luglio 2006 Pagina: 1 Autore: Sandro Viola Titolo: «Olmert nella morsa tra Gaza e Teheran»
Incredulo di non trovare interlocutori pacifisti disposti a criticare il governo per la risposta all'aggressione di Hezbollah Sandro Viola è costretto a dichiarare: "mi è difficile esprimere un giudizio sugli avvenimenti di questi giorni". Il "primo impulso", sia chiaro, sarebbe quello della "condanna", che si impone a Viola "osservando la violenza distruttrice, la mancanza di qualsiasi cautela rispetto alla possibilità d´ammazzare decine e magari centinaia di civili inermi, con cui si stanno muovendo anche stavolta i comandi militari israeliani" In realtà la cautela di fronte alla possibilità di ammazzare civili inermi da parte di Israele c'è stata, come dimostrano gli avvertimenti dati a coloro che abitano nelle zone controllate da Hezbollah. Gli errori e le tragedie non volute sono inevitabili, ma di fronte alla palese volontà di Hezbollah di colpire proprio i civili israeliani inermi, e di farsi scudo di quelli libanesi, Viola dovrebbe chiedersi: quale alternativa avrebebro gli israeliani: lasciarsi uccidere? Comunque, vincendo la "nausea" Viola ammette o finge di ammettere che Israele dovesse difendersi. Soltanto per lamentare, però, che alle azioni militari non siano accompagnate da "una ricerca di nuove aperture politiche". Davvero singolare rimproverare questo a Israele, nel momento in cui viene attaccato da territori dai quali si è ritirato unilateralmente ! Ma a sorreggere l'analisi di Viola è in è in tutto e per tutto una nozione della storia mediorientale di pura invenzione. Nella quale, per esempio, gli attentati suicidi (inziati nel 1993, con untentativo fallito, mentre le prime vittime sono del 1994) non esistevano prima della repressione dell'intifada di Al Aqsa del 2000 ( della quale per altro non si dice che fin dall'inizio venne condotta con azioni violente, uso di armi da fuoco, omicidi e linciaggi) . Hamas ed Hezbollah, dal canto loro, sostiene Viola, non esistevano prima dell'invasione israeliana del Libano nel 1982. In fondo però non ce n'era bisogno: esisteva già l'Olp, che aveva lo stesso programma politico e gli stessi metodi (anche se minore forza militare dei due gruppi integralisti).
Ecco il testo: «Non devi meravigliarti», dice Mehahem Brinker, docente di filosofia, teorico della letteratura, e figura di spicco nel movimento pacifista: «Non ti deve meravigliare che anche la sinistra israeliana sostenga oggi la rappresaglia in Libano: i bombardamenti sul sud, sulla periferia sciita di Beirut, sulla valle della Bekaa. Perché questa non è un´altra Intifada, non è un altro capitolo del conflitto tra ebrei e arabi palestinesi. E´ un´altra cosa. Una crisi che ha parecchie somiglianze con quella del 1967, con la guerra dei Sei giorni...». «Allora», continua Brinker, «era Gamal Nasser che chiamava il mondo arabo alla lotta contro Israele: e adesso è Mahmud Ahmadinejad, il presidente iraniano, a lanciare da Teheran lo stesso appello, rivolgendolo però all´intero mondo islamico. Dopo quarant´anni è salito sulla scena, cioè, un altro leader che intende mobilitare le masse arabe e islamiche, per trascinarle, se non oggi domani, allo scontro con Israele. E questo ti spiega perchè la sinistra israeliana non abbia obbiezioni da muovere, stavolta, alla risposta militare decisa dal governo. Perché la sensazione è che da Teheran si sia cercato, con l´infiltrazione il 13 luglio in territorio israeliano, l´uccisione di sette soldati e il sequestro d´altri due, il "casus belli". Dice un altro amico, per trent´anni funzionario dell´Histadruth, la federazione sindacale, ed esponente della sinistra laburista. «L´esatta percezione della gravità di quest´ennesima crisi, l´ho avuta avant´ieri sentendo parlare alla Tv il ministro della Difesa Amir Peretz. Peretz lo conosco da molto tempo, abbiamo spesso lavorato insieme durante la sua lunga carriera di sindacalista, e quindi so bene come sia stato sempre vicino ai settori del pacifismo. Ma l´altra sera il suo linguaggio era diverso. Parlava di Hassan Nasrallah, il capo degli Hezbollah, e ha detto più o meno: gli voglio dare sulla schiena tante botte, e tanto dure, che non dimenticherà mai il nome di Amir Peretz. Il linguaggio che avrebbe potuto parlare a suo tempo Ariel Sharon, un personaggio che Peretz aveva sempre avversato... ». Israele è compatto, insomma, dietro al governo e ai comandi militari. E infatti ieri, a quattro giorni dall´inizio dei bombardamenti sul Libano, con l´uscita dei giornali dopo la pausa dello shabbat, un altro fatto mi ha molto sorpreso. La rappresaglia israeliana, che vari governanti europei definiscono da San Pietroburgo «sproporzionata», e i commentatori di molti quotidiani occidentali ritengono anch´essi eccessiva e devastante, non trova critiche - o quasi - sulla stampa israeliana. E non parlo dei giornali di destra o centro-destra. Parlo del liberale Haaretz, che tra i "media" israeliani è da sempre il più coraggioso e implacabile nella denuncia delle gravissime violenze perpetrate dall´esercito a Gaza e in Cisgiordania. Bene: Haaretz aveva ieri un solo commento di toni critici nei confronti di quel che l´aviazione sta facendo in Libano, comprese le decine e decine di vittime civili ogni giorno. Mentre altri quattro commenti sembravano usciti dal Dipartimento di Stato a Washington: inviti alla moderazione, ma nessuna vera censura della paurosa rappresaglia sul territorio libanese. La cosa certa è che gli israeliani stanno vivendo ore drammatiche. Nessuno di loro s´aspettava di vedere la stazione degli autobus ad Haifa assaltata da una folla di persone in fuga, dopo che ieri i razzi lanciati dagli Hezbollah avevano fatto otto morti. Nessuno s´era immaginato, in questi sei anni dal ritiro del loro esercito dall´ultimo lembo di Libano, di dover rivedere i profughi dalle cittadine e villaggi della Galilea spostarsi in lunghi cortei d´automobili verso il centro d´Israele, al riparo dalla grandine di missili che gli Hezbollah stanno sparando, senza interruzione, da quattro giorni. E´ vero, c´era stata negli anni scorsi l´angoscia del kamikaze. Ma quello era terrorismo, e questa somiglia invece ad una vera guerra. Perciò mi è difficile esprimere un giudizio sugli avvenimenti di questi giorni. Certo, i raids aerei sul Libano mi provocano la stessa nausea che provo da trent´anni dinanzi alle rappresaglie d´Israele. Osservando la violenza distruttrice, la mancanza di qualsiasi cautela rispetto alla possibilità d´ammazzare decine e magari centinaia di civili inermi, con cui si stanno muovendo anche stavolta i comandi militari israeliani, il primo impulso è quello della condanna. Di un´altra condanna dei metodi con cui Israele risponde ai suoi avversari. Ma il quadro politico e strategico in cui si sta svolgendo la rappresaglia in Libano, è meno lineare, più complesso e allarmante di tante altre volte. «Non le dice niente», mi chiede Alexandr Jacobson, professore di storia antica all´università di Gerusalemme, «il fatto che nella loro riunione al Cairo vari ministri arabi degli Esteri si siano pronunciati, sia pure senza nominarli direttamente, contro la scesa in battaglia degli Hezbollah? Attenzione: sarebbe infatti un errore pensare che siamo soltanto noi, gli israeliani, a vedere con profonda preoccupazione il ruolo che l´Iran sta assumendo sul fondale strategico della regione. A preoccuparsi sono anche i regimi arabi cosiddetti moderati. Perché chi guardi oggi in direzione di Teheran, non può non vedere i segni d´uno scomposto protagonismo, d´un minaccioso avventurismo, dell´Iran di Ahmadinejad». Sì, l´allarme d´Israele è giustificato. Una dura risposta all´attacco degli Hezbollah, andava data. Ma la memoria del passato insegna che le rappresaglie israeliane, trent´anni e più di rappresaglie, sono servite a poco o niente. Semmai, hanno peggiorato la situazione. Gli Hezbollah non esistevano, prima che nell´´82 l´esercito d´Israele invadesse il Libano. Non c´erano Hezbollah, nel sud libanese, e non c´erano gli integralisti di Hamas in Palestina. Così come non c´erano, prima delle azioni di guerra condotte contro la seconda rivolta palestinese nel 2000, i kamikaze, le bombe che camminano. Ammesso quindi che Israele dovesse difendersi, impiegando la sua poderosa forza militare, dalle minacce dei suoi avversari, resta che il solo uso della forza - senza una ricerca di nuove aperture politiche, senza vere, concrete concessioni - ha prodotto soltanto un progressivo, inarrestabile deterioramento del quadro regionale. Sul quale deterioramento, come se non bastasse, s´innestano adesso i progetti di destabilizzazione messi a punto in Iran e in Siria. Perciò nessuno può sapere che cosa verrà dai bombardamenti sul Libano. Mentre è invece già chiaro che dopo venti giorni di spedizioni punitive dell´esercito israeliano a Gaza, seguite al sequestro d´un giovane caporale, e dopo quattro giorni di distruzioni in Libano seguiti al sequestro d´altri due soldati, la situazione non fa che precipitare. I soldati sono infatti ancora nelle mani dei loro sequestratori, i centri della Galilea e sinanche Haifa sono sotto il tiro degli Hezbollah, il numero delle vittime cresce tanto in Libano quanto in Israele. E d´una soluzione, per il momento, non c´è neppure l´ombra.
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