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La Stampa Rassegna Stampa
17.07.2006 Hezbollah fa strage ad Haifa e minaccia un' ulteriore escalation
Israele si difende, decine di obiettivi bombardati in Libano

Testata: La Stampa
Data: 17 luglio 2006
Pagina: 3
Autore: Fiamma Nirenstein - Aldo Baquis
Titolo: «Razzi su Haifa Vittime e feriti alla stazione - Israele bersagliata dalle milizie Uccisi decine di civili in Libano»
Reportage di Fiamma Nirenstein. sulla STAMPA del 17 luglio 2006,  da Haifa, dopo la strage provocata da un razzo di Hezbollah.
Ecco il testo:


Sirene, missili e distruzione, otto morti e una trentina di feriti a Haifa, le katiushe e i missili Fajr piovono ancora su tutto il nord di Israele mentre gli ufficiali del Fronte interno annunciano che la guerra sta per arrivare a Tel Aviv, a anche là si preparano i rifugi .
Mentre Haifa diventa il centro del conflitto, mentre la fossa sotto i treni che sono stati colpiti dai missili degli Hezbollah, lavata con getti d’acqua dai pompieri schizza un fiume rosso di sangue, la cronista si ricorda le parole che le disse lo scrittore Abraham B. Yehoshua: «Vivevo a Gerusalemme, ma mi sono trasferito a Haifa per vivere veramente in Israele». Con questo, ci spiegò, voleva dire che per lui Israele doveva avere il volto di questa gran bella città, alta su un golfo celeste: niente guerra, convivenza pacifica con gli arabi, forti impianti industriali, laicità, bellezza.
Chi ha letto i romanzi di Yehoshua, conosce bene il fascino di Haifa. Ma forse solo ieri questa grande città, 270mila abitanti, importante porto industriale, è diventata veramente Israele, il Paese senza illusioni che gli Hezbollah chiamano «il nemico sionista», e su cui ieri si è avventata la forza dei missili Fajr. L’ex capo di Stato maggiore ed ex ministro della Difesa Shaul Mofaz andando a Haifa, ha esaminato all’impronta le schegge con i giornalisti: «Guardate», ha detto davanti alle strutture degli hangar divelte, ai treni allegramente dipinti di rosso e blu sventrati, alle strutture d’acciaio piegate e ridotte in pezzi, fra vetri rotti, in mezzo al sangue che gli otto operai uccisi e i più di 30 feriti avevano versato, «guardate queste palline di acciaio. In genere ne vedete quando c’è un terrorista suicida, o un’auto bomba: servono ad ampliare enormemenente la capacità letale della carica esplosiva. Le biglie vanno in ogni direzione, e colpiscono chiunque sia in zona come altrettante pallottole. Si tratta di un brevetto siriano, e infatti questo missile viene da lì. Gli Hezbollah l’hanno sparato, ma i siriani, l’hanno fornito».
Le esplosioni di Haifa all’inizio hanno gettato la città nel più grande sconcerto: la gente correva pazzamente verso i rifugi, nessuno sapeva bene dove ripararsi. Le sirene hanno seguitato a chiamare ai rifugi: «All’inizio è sembrato come la guerra del Kippur», dice il trentenne Bengi Heineman, che lavora in una compagnia di invenzioni mediche, «nessuno, anche se eravamo stati avvertiti se l’aspettava. Poi ci siamo calmati, c’è voluta qualche ora. Ora anche i miei due bambini sanno che ci sono degli uomini cattivi che ci sparano missili, e che per questo stiamo a casa della nonna, dove siamo tranquilli». Le ambulanze sono arrivate urlando, i parenti dei morti e dei feriti sono arrivati sul posto affannati e piangenti, e più tardi all’ospedale Rambam ci sono state scene strazianti di madri e mogli disperate. Gli operai intenti ad accomodare la ferrovia erano tutti fra i 25 e i 40 anni.
Le installazioni delle Ferrovie sono a Haifa nord, vicino alla Israel Electric Corporation. Il fantasma tremendo di un attacco al deposito petrolchimico, i due enormi rocchetti di cemento bianco pieni di materiali che possono incendiarsi e avvelenare tutta la popolazione, è stato di nuovo agitato da Nasrallah nel suo misterioso discorso in cui ha chiamato tutti i Paesi arabi. Nel pomeriggio, dopo che per due volte il quartiere di Ahuza è stato preso di mira, dopo che anche la zona di Kiryat Haim ha subito i colpi degli Hezbollah, quando già era buio la sirena ha chiamato di nuovo. Irit e Anat, madre e figlia, sono andate comunque a lavorare attraverso una città vuota, pronte a correre dentro il primo rifugio. Stanotte dormiranno vestite. Gila che per 11 volte è scesa nel rifugio sotto casa nel corso della giornata ride dopo aver ascoltato alla tv Nasrallah che sosteneva di aver puntato solo a obiettivi militari e non civili: «Che razza di huzpàh! Che sfacciato, non solo ci porta una guerra feroce, ma nega di stare facendo quello che tutti vedono, attaccare solo i cittadini innocenti, con lo scopo preciso di ucciderne più possibile. Ma non ci spaventeremo. Il sio errore è proprio immaginarsi di avere a che fare con un popolo e un esercito pronto a piegarsi, o a fuggire. Non è per noi, siamo abituati alla guerra; eccone un’altra e vinceremo anche questa».
Haifa tuttavia è vuota: la gente sta nei rifugi, oppure cerca di uscire per qualche ora, per comprare cibo e bevande, portare fuori i bambini esasperati. Tutti sanno che i Patriot installati sul quartiere di Stella Maris servivano contro i missili poderosi di Saddam Hussein, ma non funzionano per le katiushe o per i Fajr iraniani degli Hezbollah.
La preoccupazione del Fronte Interno, che più volte è stata espressa dai ufficiali dell’esercito alla tv, è che la gente si faccia impressionare dalle minacce e dalle bugie di Nasrallah, e che non risponda gli ordini che spiegano come e quando si deve cercare rifugio: «La forza morale e la resistenza della popolazione», ha detto Ehud Olmert, «la nostra capacità di non arrendersi sono la garanzia della nostra vittoria, ne abbiamo bisogno». E la gente si va adattando, ci sono moltissime iniziative di solidarietà, di rifornimento, le soldatesse passano di rifugio in rifugio per parlare con i bambini e i vecchi; si impara a convivere col rischio, coi feriti, con la morte, e anche con la disapprovazione di chi non capisce che per Israele si tratta di una guerra di sopravvivenza, e che gli Hezbollah sul confine sono un fronte aperto col peggior nemico di Israele, ovvero l’integralismo islamico tutto, che infatti ieri Nasrallah ha chiamato, nel suo discorso, a raccolta.

Di seguito la cronaca dei bombardamenti di Hezbollah, delle provocazioni del capo terrorista Nasrallah e della risposta israeliana, di Aldo Baquis:

Il leader degli Hezbollah Hassan Nasrallah ha ieri inferto un duro colpo ad Israele ordinando il bombardamento del porto di Haifa: morti 8 israeliani, decine i feriti e ingenti danni materiali. Nelle ore successive Haifa, terzo centro di Israele in ordine di importanza, sembrava una città fantasma, con migliaia e migliaia di abitanti chiusi nelle proprie abitazioni. Non basta: nella notte i razzi lanciati dagli Hezbollah hanno raggiunto anche Nazareth, la città della Galilea dove crebbe Gesù. Secondo l’esercito, è stata raggiunta anche la cittadina israeliana di Afula, distante meno di 50 chilometri dal confine: mai, in passato, nello stato ebraico era stato colpito un obiettivo così distante dalla frontiera libanese.
Poco prima dell’attacco ad Haifa, si erano diffuse voci secondo le quali Nasrallah, dopo essere rimasto sabato prigioniero in un bunker sotto al rione sciita di Dahya (Beirut sud) sarebbe rimasto ferito da un bomba israeliana capace di esplodere nelle viscere della terra. Con il duro attacco a Haifa (che ha centrato la rimessa di una stazione ferroviaria, provocando la morte dei dipendenti impegnati in lavori di manutenzione) il guerrigliero islamico ha voluto dimostrare di essere vivo e più combattivo che mai.
In un messaggio televisivo registrato alcune ore dopo, e mandato in onda dalla rete televisiva Al Jazeera, Nasrallah ha sostenuto che volendo avrebbe potuto colpire anche le raffinerie di Haifa. Non lo ha fatto, ha aggiunto, per non provocare una ulteriore escalation di violenza. Il suo intervento ha addirittura sbalordito gli israeliani quando Nasrallah - che da giovedì ha fatto bombardare praticamente tutte le città e i villaggi della Galilea fra Nahary, Kiryat Shmone, Safed e Tiberiade - ha sostenuto di aver finora fatto il possibile per colpire solo obiettivi militari. La «brutalità» degli attacchi israeliani in Libano, ha proseguito, lo induce adesso, suo malgrado, a colpire anche civili. Nasrallah ha anche reso noto di avere ancora enormi quantità di razzi, anche di lunga gittata, che potrebbero colpire anche la zona a nord di Tel Aviv.
Mentre si prepara a ulteriori attacchi missilistici dal Libano (batterie di missili Patriot sono dislocate a Haifa e Safed, in Galilea), Israele ha bombardato ieri decine di obiettivi in territorio libanese. Fonti locali calcolano che da giovedì almeno 130 libanesi siano stati uccisi dal fuoco israeliano.
Ingenti le perdite civili in Libano. A Tiro si sono avuti 16 morti; altri 11 a Nabatye, una città sciita del Libano meridionale, e 4 a Burj Shemali. In Libano meridionale, 13 persone sono morte in un bombardamento israeliano nel villaggio di Jebshit. Altre 16 in un raid sul villaggio di Aitarun, vicino al confine israeliano: 8 di loro sono cittadini del Canada. Lo ha confermato il ministro degli Esteri canadese, Peter MacKay. Nel primo pomeriggio, si era parlato della morte di cinque persone della stessa famiglia (arrivata in Libano dal Canada per trascorrere le vacanze) col doppio passaporto libano-canadese, ma secondo quanto affermato da MacKay sarebbero otto, con l’aggiunta di altre sei gravemente ferite. Il capofamiglia, anch’egli deceduto, era originario di Aitarun.
A Beirut il rione sciita di Dahya è stato bombardato a ripetizione. Si tratta, secondo Israele, di una cittadella controllata al 100 per cento dagli Hezbollah e dai loro consiglieri iraniani. Decine di edifici sono stati danneggiati. Ma a quanto pare Nasrallah continua a coordinare le operazioni da una rete di bunker sotterranei. Israele ha anche colpito a più riprese la rete televisiva Hezbollah di Al Manar. Dopo un quarto d’ora di black-out, le immagini sono riapparse. Nella notte, Israele ha bombardato altri centri, fra cui il porto di Tripoli, nel Libano settentrionale: secondo fonti locali, vi sarebbero alcuni morti. Infine, sempre nella notte, colpite due basi Onu: a Houla, vicino alla frontiera con Israele, è rimasto ferito un casco blu indiano.
Il premier Ehud Olmert ha presieduto ieri a Gerusalemme la consueta riunione domenicale del governo. In questa fase Israele si prefigge di riavere i soldati rapiti, di sgretolare il potenziale offensivo degli Hezbollah e infine di ottenere il loro allontanamento dal confine con la Galilea.
Nel suo messaggio televisivo, Nasrallah ha imputato ad Israele la responsabilità della grave escalation militare in corso (che rischia di coinvolgere anche la Siria e l’Iran), ma ha anche assicurato spavaldamente di non aver alcun timore dell’esercito israeliano. I suoi guerriglieri, ha assicurato, «non vedono l’ora» di battersi faccia a faccia. Diversamente da lui, il premier libanese Fuad Siniora ritiene prioritario ricercare con Israele una intesa per un cessate il fuoco.
Intanto l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue, Javier Solana, è arrivato a Beirut per tentare una mediazione. Incontrerà il premier libanese Fouad Siniora e il presidente del Parlamento Nabih Berri.

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