Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein".
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)
Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine.
Non si ferma la crisi israelo-libanese la cronaca e l'analisi di Davide Frattini
Testata: Corriere della Sera Data: 16 luglio 2006 Pagina: 2 Autore: Davide Frattini Titolo: «Una trappola? Ostaggi e nucleare la strategia anti-I raid incendiano il Libano Beirut chiede aiuto all'Onu - Israele»
Da pagina 2 del CORRIERE della SERA del 16 luglio 2006, la cronaca di Davide Frattini:
GERUSALEMME — Quasi scoppia in lacrime, quando dice «il Libano non può reggersi in piedi, se il suo governo è l'ultimo a sapere quanto sta accadendo. Ogni decisione sulla guerra e sulla pace spetta solo a noi». Il primo ministro Fuad Siniora ha lanciato un appello alle Nazioni Unite per un cessate il fuoco «totale e immediato». «Siamo pronti a tornare all'armistizio del 1949 con Israele e a imporre la nostra autorità su tutto il Paese, in cooperazione con l'Onu». Le parole sarebbero un avvertimento per l'Hezbollah, che controlla con le sue milizie il sud del Libano. «Ma la selvaggia aggressione israeliana va fermata e bisognerà trovare una soluzione per riguadagnare i territori occupati», ha continuato il premier riferendosi alle Fattorie di Shebaa, una zona controllata dallo Stato ebraico a cavallo del triplice confine con la Siria e usata dall'organizzazione sciita per motivare la sua lotta e il rifiuto di deporre le armi. LE CONDIZIONI — Haim Ramon, ministro della Giustizia israeliano, ha ribadito le condizioni del governo guidato da Ehud Olmert per arrivare a una tregua. I guerriglieri sciiti si devono ritirare a nord del fiume Litani, devono consegnare alle forze regolari libanesi gli arsenali di missili e i depositi di armi, per lasciare che l'esercito si dispieghi al confine con Israele. «La risoluzione 1559 dell'Onu va applicata sul terreno — ha detto Ramon — e non può restare una semplice dichiarazione. La realtà è che oggi in Libano è l'Hezbollah a decidere, è dal suo leader Hassan Nasrallah che ci aspettiamo un impegno». I RAID — Lo Stato maggiore israeliano ha continuato con i bombardamenti. L'aviazione e le navi al largo della costa libanese hanno bersagliato per la prima volta aree vicine al centro di Beirut. Gli elicotteri hanno sparato missili sul faro e sui silos di grano del porto, mentre l'ufficio di Mohammed Nazzal, uno dei leader di Hamas, è stato distrutto nel sud della capitale. Le bombe sono cadute al confine con la Siria, sulla città di Baalbek — dove vivono alcuni dirigenti dell'Hezbollah — e sui valichi di frontiera. La pressione si avvicina a Damasco: il governo israeliano avrebbe dato — scrive il quotidiano in arabo Al Hayat — un ultimatum di 72 ore al presidente Bashar Assad, perché spinga l'Hezbollah a rilasciare i soldati rapiti e a fermare i lanci di Katiuscia sulle città nel nord del Paese. LA STRAGE — Due famiglie libanesi sono state decimate da un missile israeliano, mentre tentavano di fuggire su un minibus dal villaggio di Marwahin, a sud. Ventuno persone sono rimaste uccise, tra loro 15 bambini (in totale ieri sono morti 38 civili). Gli abitanti stavano scappando dopo che due ore prima l'esercito aveva avvertito con gli altoparlanti di evacuare le case: stava per cominciare un bombardamento dell'area, considerata una della basi operative dei miliziani. I famigliari delle vittime hanno accusato anche l'Unifil, forza dell'Onu nel sud del Libano, per non aver accolto gli abitanti del villaggio. «Se li avessero fatti entrare subito nella base, non sarebbero mai morti», racconta Mohammed Oqla alla Reuters. Qualche ora prima un centinaio di residenti si era rivolto ai caschi blu, ma erano stati respinti perché i funzionari Onu non avevano potuto trovare conferme all'avvertimento dell'esercito israeliano. I KATIUSCIA — Il ministro della Difesa Amir Peretz ha decretato lo stato eccezionale, un livello più basso di quello d'emergenza, nel nord di Israele. Il provvedimento autorizza le autorità locali a ordinare la chiusura delle scuole e delle aziende. Ieri i razzi Katiuscia hanno colpito per la prima volta Tiberiade e sono continuati a cadere sulle altre città della Galilea. Batterie di difesa con missili Patriot sono state piazzate a Haifa, come ai tempi della guerra del Golfo. Fonti dell'intelligence israeliana hanno rivelato che l'Hezbollah sarebbe in possesso di razzi in grado di colpire a duecento chilometri di distanza dal confine: Tel Aviv entrerebbe tra i possibili bersagli e il ministero della Difesa ha avvertito che gli abitanti delle città a sud di Haifa avranno un minuto dal suono delle sirene per scendere nei rifugi. I servizi segreti israeliani hanno anche accusato l'Iran di aver inviato consiglieri militari della Guardia Repubblicana per aiutare i miliziani a usare i missili più sofisticati, come quello che venerdì ha colpito una nave al largo di Beirut. L'ambasciatore di Teheran in Libano ha smentito qualunque coinvolgimento. «COME HITLER» — Il presidente Mahmoud Ahmadinejad ha paragonato i metodi israeliani «a quelli di Hitler». «Quando voleva lanciare un attacco — ha detto il leader iraniano — s'inventava un pretesto». E ha negato ancora una volta l'Olocausto: «I sionisti sostengono di essere vittime di Hitler, ma sono fatti allo stesso modo». FRONTE SUD — I tank israeliani sono rientrati nella notte nel nord della Striscia di Gaza, questa volta nel villaggio di Beit Hanoun, usato dagli estremisti come base di lancio per i Qassam.
A pagina 4, l'analisi della strategia antisraeliana di Hezbollah, Siria e Iran, ancora in un articolo di Davide Frattini:
GERUSALEMME — «Nessuno potrà chiederci di rinunciare alle armi», avverte. «La resistenza continuerà fino alla liberazione della nostra terra e al ritorno a casa dei nostri prigionieri», assicura. «Siamo entrati nella fase della vittoria», promette. E indica il vecchio quartier generale israeliano a una cinquantina di metri, svuotato dei soldati di Tsahal da sei anni. È il 25 maggio. Hassan Nasrallah parla da un palco a Tiro per celebrare il ritiro dal Sud del Libano, circondato dalle bandiere del Partito di Dio e da 200 mila sostenitori. «Non ci saranno più un'altra nabka e un'altra naksa », garantisce, ricordando la catastrofe del 1948 e la sconfitta del 1967, quando gli arabi vennero battuti dall'esercito dello Stato ebraico. Adesso l'intelligence israeliana riascolta e rilegge le parole dello sceicco sciita come un segnale per quello che sarebbe successo poco meno di due mesi dopo: l'imboscata alla pattuglia sul confine e il rapimento di due militari della riserva. Davanti alla folla di Tiro — fa notare l'analista Zvi Barel sul quotidiano Haaretz — il leader fondamentalista annuncia un vero e proprio piano: «Liberemo Samir Al Kuntar con le manovre della guerriglia». Kuntar, un druso libanese, sta nelle carceri israeliane dal 1979 — quando entrò in un appartamento di Nahariya e uccise cinque persone — ed èil nome in cima alla lista di Nasrallah per negoziare uno scambio di prigionieri. I proclami dell'Hezbollah sono il primo filo di una trama che per gli israeliani porta a Damasco e a Teheran. E il 25 maggio la prima data su un calendario di guerra, l'inizio di una sequenza che va avanti da un mese fa, quando il caporale Gilad Shalit viene tirato fuori, ferito, dal suo tank vicino al kibbutz Kerem Shalom e trasferito da un commando palestinese in un nascondiglio sottoterra nella Striscia di Gaza. Il 10 luglio, Khaled Meshal, leader di Hamas all'estero, appare per la prima volta in pubblico e si assume la piena responsabilità del rapimento, dichiarando Shalit «un prigioniero di guerra». L'11 luglio, Ali Larijani, consigliere per la sicurezza nazionale iraniano, che guida le trattative sul nucleare, risponde «non c'è fretta» alla proposta di incentivi dell'Unione Europea per fermare il programma atomico. Il 12 luglio, guerriglieri Hezbollah attaccano i soldati israeliani sul confine e Larijani vola da Bruxelles a Damasco, dove incontra il presidente Bashar Assad. «La sua presenza — scrive il sito Debka, considerato vicino all'intelligence dello Stato ebraico — vuole rendere chiaro al mondo che un eventuale attacco alla Siria verrà considerato un attacco contro l'Iran e vuole legare la crisi degli ostaggi ai negoziati sul nucleare». «La chiave di questa alleanza — scrive Robert Satloff, direttore del Washington Institute for Near East Policy, sul settimanale conservatore The Weekly Standard — non è religiosa. L'Iran e l'Hezbollah sono manovrati da estremisti sciiti. Hamas è il distaccamento palestinese dei Fratelli Musulmani, un movimento sunnita. Damasco è governata dagli alawiti, una setta che tagliò i legami con gli sciiti nel IX secolo. Quello che li tiene insieme è la strategia politica contro Israele». E gli accordi militari. Il 16 giugno i ministri della Difesa Mostafa Mohammad Najjar (iraniano) e Hassan Turkmani (siriano) si fanno fotografare mentre scambiano le cartelline di cuoio verde con dentro il documento d'intesa appena firmato. «La nostra cooperazione è basata su un patto contro le minacce comuni. Possiamo costituire un fronte unito per il pericolo rappresentato da Israele. Collaboriamo su questo punto, non è un segreto», dicono sorridendo ai giornalisti. Damasco — scrive il quotidiano in arabo Al Hayat — avrebbe chiesto al regime degli Ayatollah di poter acquistare missili anti-aerei, tank T-72 e Scud a corto raggio. Tutti armamenti — spiegano gli esperti militari — adatti a un confronto con lo Stato ebraico. «L'Iran considera la sicurezza della Siria — commenta Najjar — come se fosse la nostra e consideriamo le nostre capacità di difesa come quelle siriane». «Damasco e Teheran — dice Paul Salem, diretto del Carnegie Middle East Center di Beirut, al britannico Financial Times — vedono la crisi attuale come un'opportunità per muoversi al centro della scena regionale ed esprimere la loro opposizione agli obiettivi americani in Medio Oriente e a quelli israeliani nei territori palestinesi». Nella partita, entra la sfida sull'atomica: l'operazione organizzata dall'Hezbollah sarebbe un avvertimento dell'offensiva che potrebbe scatenarsi, se gli Stati Uniti scegliessero di attaccare l'Iran o l'Occidente arrivasse alle sanzioni. Come proclama in un'editoriale il giornale Kayhan, vicino alla Guida Suprema Ali Khamenei: «Il nucleare iraniano sta sradicando il prestigio nucleare sionista».
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