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La Stampa Rassegna Stampa
15.07.2006 Israele combatte per sopravvivere
contro il fronte jihadista capeggiato da Teheran

Testata: La Stampa
Data: 15 luglio 2006
Pagina: 12
Autore: Fiamma Nirenstein - Edward Luttwak
Titolo: ««È come nel 1948 dobbiamo vivere» - «Un perfido complotto degli ayatollah»»
Da La STAMPA del 15 luglio 2006, un articolo di Fiamma Nirenstein sulla minaccia esistenziale posta a Israele dall'aggressione di Hezbollah e dal fronte jihadista capeggiato da Teheran.
Ecco il testo:


Israele è disposto a andare lontano per quella che affronta come una vera e propria guerra di sopravvivenza. Avi Dichter, ex capo dei servizi interni Shabak, e adesso ministro della Sicurezza. ha detto ieri: «Nasrallah sudava molto mentre parlava della sua operazione mercoledì; aveva delle buone ragioni». Nasrallah non le sapeva, ma si sono svelate quando ieri sera l’esercito ha colpito la sua casa e i suoi uffici nella zona blindata di Bir Hassan a Beirut. Israele forse non sperava di uccidere il leader degli Hezbollah, ma di lanciare un segnale a quello che ieri il capo di Stato maggiore Dan Haluz ha chiamato «uno schieramento che dal Sud al Nord ha un nesso molto preciso, il terrorismo».
Nasrallah non sta vincendo, anche se ieri ha cercato di lanciare parole d’ordine esaltanti dal bunker dove è nascosto: la risposta d’Israele da una parte, e dall’altra il pesante dissenso di parte dei libanesi, dell’Arabia Saudita (gli Hezbollah sono per il re «elementi che creano una situazione di pericolo che espone tutti i Paesi arabi»), della Giordania e dell’Egitto. Re Abdullah e Mubarak si sono incontrati ieri.
Nasrallah non se l’aspettava. Pensava, l’aveva detto, a una crisi che avrebbe coperto il suo amico e finanziatore Ahmadinejad dalle scadenze sul nucleare, consegnato la debolezza di Israele al disprezzo arabo, e sostenuto Hamas in tempi duri rubando il podio a Khaled Meshaal, e diventando il leader locale del jihad antisraeliano.
Pensava che avrebbe potuto giocare con l’inesperienza del nuovo governo israeliano; ripetere l’esperienza in cui in cambio di tre rapiti di cui due ormai uccisi, gli Hezbollah avevano ricevuto 450 prigionieri dopo una lunga trattativa iniziata, per sberleffo, nel 2000, proprio dopo l’uscita di Israele dal Libano; pensava che Israele non volesse imbarcarsi in quella che il ministro degli Esteri italiano e altri europei chiamano «una risposta sproporzionata». Ma si tratta invece di una consapevole svolta strategica che segue al formarsi di un’asse jihadista che minaccia l’esistenza dello Stato d’Israele, fa capo all’iraniano Ahmadinejad, e comprende gli Hezbollah, la Siria, Hamas e altri gruppi palestinesi.
Oltre alle ripetute dichiarazione di odio cieco e le promesse di sterminio di Ahmadinejad, (l’ultima solo ieri), da prendere molto sul serio, ci sono segnali dell’organizzazione di un fronte che (esclusa la Siria) per motivi religiosi e escatologici, ritiene suo compito distruggere lo Stato ebraico, odia gli ebrei, ritiene il loro Paese libero terreno di caccia, «un fantoccio destinato a scomparire quanto prima», dice Ahmadinejad. A metà giugno Siria e Iran hanno firmato un trattato militare, e il ministro della Difesa siriano ha parlato di «un fronte unito contro Israele». Ali Larjani, il segretario iraniano del Consiglio nazionale di sicurezza, ha fatto una visita a sorpresa a Damasco dopo avere incontrato Javier Solana l’11 luglio.
Il giornale Al Sharq Al Awsat di Londra spiegava che i ministri della Difesa dovevano stabilire come sostenere Hamas e la jihad (leggi: gli sciiti Hezbollah) nel conflitto con Fatah, ovvero contro ogni linea moderata. Le grandi manovre comprendono un accordo per equipaggiare la Siria con cannoni, testate missilistiche, veicoli dell’esercito. La Siria in cambio promette il transito di carichi iraniani in Libano. Ovvero, agli Hezbollah.
Il giornale iraniano Jomhouri ye Eslami pubblicava in concomitanza con l’azione dei Hezbollah, un discorso di Nasrallah che spiega quale fortuna sia che Israele abbia la sua zona industriale e 700mila abitanti concentrati al Nord, a portata dei missili. Dalla vittoria elettorale, ogni mese Hamas ha incontrato altre organizzazioni, i leader siriani e di Teheran. La dimensione strategica è evidente: sono organizzazioni devote alla distruzione di Israele. Che, col suo atteggiamento speranzoso e gesti come i ritiri dal Libano e da Gaza, ha fatto pensare che tale distruzione fosse realistica e perfino vicina, come dicono decine di appartenenti alle varie organizzazioni.
Israele ha due situazioni parallele. Ad Hamas ha lasciato Gaza come pegno per la costruzione di uno Stato Paletsinese, e segnale dell’intenzione di sgomberare buona parte della Cisgiordania. Dal Libano, si è ritirata nel 2000 fino all’ultimo centimetro, con l’impegno che l’esercito sovrano salvaguardasse i confini, e spostasse gli Hezbollah. Chiunque ama l’espressione «ciclo della violenza», sa che in questo caso non c’è: sia Hamas che Hezbollah, senza nessuna ragione fattuale ma entusiasmati dalla comparsa di un leader integralista come Ahmadinejad e da un’organizzazione terrorista come Al Qaeda, hanno scelto la via della guerra. Israele sa che è il primo atto di una guerra con l’Iran, e se non riesce a usare oggi l’arma della deterrenza, l’assedio si farà soffocante. Lungi dall’agire senza proporzione, Israele, che non sembra per ora avere intenzione di coinvolgere la Siria se Assad non metterà da solo i piedi nel piatto, segnala che le regole del gioco sono cambiate.
Ieri c’è stata di nuovo una pioggia di missili, con tanti feriti e due morti. Ma l’aviazione non ha puntato ai civili: ha colpito gli uffici più importanti degli Hezbollah, le loro casamatte, e i depositi di razzi dovunque si trovassero; ciò significa che anche i bunker, i villaggi e le case private che la milizia integralista sciita ha usato come scudi umani sono andate distrutte. Militanti nonchè le persone usate come scudo - che nonostante gli inviti di Shimon Peres non hanno evacuato la zona - sono stati uccisi. Israele parla di 30 vittime, il Libano di più di 50. Israele non ha preso di mira le strutture dell’esercito libanese; tutti gli obiettivi, più di un centinaio, hanno seguito il criterio di indicare al governo di Beirut le strade su cui viaggia il potere degli Hezbollah.
A Haifa, torreggiano nel porto due immensi contenitori della raffineria, accanto a impianti chimici di materiale infiammabile e velenoso. Nasrallah può farli scoppiare in un’area abitata da 700mila persone. E vuole farlo, non ha mai nascosto le sue intenzioni, e nemmeno Ahmadinejad, Hamas o la Siria. Oggi, la gente di Israele dorme nei rifugi, i bambini si disperano, gli ospedali raccolgono morti e feriti. E’ accaduto anche in passato. Adesso però Israele ha capito che si sta combattendo una guerra per la sopravvivenza, come quella del ‘48, del ‘67 e del ‘73.

Sempre dalla STAMPA, l'analisi di Edward Luttwak: la crisi serve all'Iran per guadagnare tempo e ottenere le armi nucleari.
Ecco il testo:

I polemici e ambiziosi leader iraniani hanno finalmente respinto l’offerta euroamericana di incentivi in cambio della loro rinuncia all’arricchimento dell’uranio. Molti avevano sperato che nonostante il suo estremismo Teheran avrebbe accettato, se non altro per evitare le sanzioni, che prima o poi arriveranno anche senza il sì di Cina e Russia. Stavolta Usa ed Europa sono uniti e insieme possono tagliare Teheran fuori dal sistema bancario mondiale, impedire ai suoi leader di viaggiare e troncare le esportazioni verso l’Iran di tutto fuorchè medicine e cibo.
Invece di aspettare le inevitabili sanzioni, gli iraniani hanno deciso di far scoppiare una crisi in Medio Oriente, organizzando attacchi contro Israele. L’obiettivo è scoraggiare americani ed europei: i mercati e la politica, soprattutto in Europa, non possono reggere tanti conflitti.
Questo sgambetto può anche giovare alle pretese iraniane alla guida dei musulmani, oscurate dal conflitto in Iraq. Ogni giorno nuove bombe ed esecuzioni ricordano agli arabi che i persiani non sono arabi, e ai sunniti che sono sciiti. L’attacco a Israele rimargina le divisioni tra musulmani e l’Iran si guadagna la graditudine degli arabi.
La mossa iraniana è stata preparate con gli alleati locali, Hamas e gli Hezbollah. Nonostante sia un’espressione dei rigidamente sunniti Fratelli Musulmani, i cui sponsor arabi odiano gli ayatollah, Hamas evidentemente ha deciso di aderire al piano iraniano, anche perché tagliato fuori dai finanziamenti occidentali, e isolato diplomaticamente. Gli attacchi di Hamas hanno provocato la reazione israeliana, scatenando la crisi che l’Iran voleva.
Per gli Hezbollah il prezzo da pagare è stato perfino più alto. Pur conservando una milizia di guerriglia/terrorismo di circa 5 mila persone, Hassan Nasrallah da anni cerca di costruire gli Hezbollah come partito politico legale degli sciiti. Ma per farsi accettare dagli altri libanesi, doveva condividere la priorità assoluta della ricostruzione dopo anni di guerra civile. Questo implicava evitare una guerra con Israele. Gli altri partiti politici libanesi accettavano che gli Hezbollah conservassero le armi per combattere alle Fattorie di Shebaa, solo a condizione che mantenessero la pace sul resto del confine, per evitare una reazione israeliana. Ordinando l’attacco e il lancio di razzi, Nasrallah ha violato il patto, distruggendo la propria posizione nella politica libanese. Ma probabilmente si è sentito in dovere di seguire l’Iran, che non solo versa agli Hezbollah sussidi milionari, ma ne è la patria spirituale. Per di più, Nasrallah è vanitoso e gli piace apparire importante sulla scena mondiale.
Per il governo di Olmert le cose sono relativamente semplici. Il fatto che oggi al governo dell’Anp ci sia Hamas non aumenta né riduce la necessità di un’azione militare israeliana, ma ne accresce i benefici politici, in quanto combattimenti e devastazioni fanno capire alla popolazione di Gaza che i loro attuali governanti mettono in pericolo la loro sopravvivenza.
Per quanto riguarda gli Hezbollah, la risposta militare israeliana non solo è punitiva, ma ha scopi politici e militari ben più vasti. Per anni gli Hezbollah hanno ricevuto e immagazzinato migliaia di razzi e circa un centinaio di missili a lungo raggio, mandati dall’Iran attraverso porti e aeroporti siriani. Di recente due leader iraniani hanno lanciato a Israele la minaccia rivelatrice di bombardarlo con razzi degli Hezbollah se gli israeliani avessero attaccato gli impianti nucleari in Iran. Perciò Israele sta usando l’occasione per trovare e distruggere i siti nascosti con i razzi degli Hezbollah.
D’altra parte, l’obiettivo politico è quello di presentare gli Hezbollah come agenti al soldo dell’Iran, che servono interessi stranieri facendo pagare al Libano un prezzo di dolore. Perciò gli israeliani stanno bloccando i porti libanesi, danneggiato le piste degli aeroporti, e sono pronti ad annientare impianti energetici e altri bersagli importanti, se questo può contribuire ad esercitare sugli Hezbollah la necessaria pressione politica. Il primo successo è stato quello di costringerli a negare di aver lanciato un missile contro Haifa. In altri tempi l’avrebbero presentato come un successo. E il premier libanese ha già dichiarato che non sapeva niente dei piani d’attacco.Se le altre forze politiche libanesi non riusciranno a spingere Nasrallah a cessare il fuoco, Israele bombarderà nuovi bersagli, incluso il suo ufficio a Beirut. E se verranno lanciati altri missili entrerà nel cuore del Libano.
Sia a Gaza che nel Libano l’esito della battaglia è ovviamente scontato a causa del forte squilibrio militare a favore di una delle parti. L’unica questione aperta rimane quella dell’entità del danno che Israele dovrà infliggere per ottenere nuovi cessate-il-fuoco.
Una vasta «guerra regionale» è possibile, ma non probabile. Hamas non ha alleati locali pronti a esporsi. L’attacco israeliano contro il Libano ha acceso la solidarietà araba, ma tutti capiscono che Gerusalemme agisce contro gli Hezbollah e non contro il Libano. Si sa anche che gli Hezbollah hanno cominciato i combattimenti sconfinando in Israele e, più importante, questi sciiti vengono visti da altri arabi come agenti pagati e controllati dall’Iran. Ciò rende più facile per l’Egitto e la Giordania il rifiuto di agire contro Israele. E il governo saudita è stato insolitamente celere nel reagire, condannando gli Hezbollah.
Nel mondo arabo solo il regime di Assad appoggia Hamas ed Hezbollah, e potrebbe aiutarli aprendo un nuovo fronte nelle alture del Golan. Ma non ha mai violato la tregua del 1974, temendo che in caso di attacco gli israeliani distruggerebbero le sue infrastrutture. Infine, Ahmadinejad ha minacciato quotidianamente Israele, ma non ha la capacità militare per affrontarlo, se si escludono alcuni poco affidabili missili balistici importati dalla Corea del Nord. Di conseguenza, l’Iran non può agire in prima persona per far espandere la guerra. Semmai è Israele che può cogliere l’occasione di una provocazione iraniana per attaccare i suoi impianti nucleari. Ma si tratterebbe comunque di un’azione militare, e non ne deriverebbe una guerra in quanto nessun Paese del Medio Oriente, nemmeno la Siria, si schiererebbe in difesa dell’Iran.

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