Ue, Onu e Russia: gli amici di Teheran che hanno permesso il rafforzamento di Hezbollah e la crisi attuale
Testata: Il Foglio Data: 14 luglio 2006 Pagina: 1 Autore: la redazione Titolo: «Così l’Ue, l’Onu e la Russia hanno permesso a Teheran di rafforzare il fronte siriano del jihad»
Dal FOGLIO del 14 luglio 2006:
Roma. Le dichiarazioni di Bashar el Assad, rais siriano, dimostrano che la regia delle aggressioni militari a Israele da Gaza e dal Libano hanno la centrale operativa a Damasco e quella politica a Teheran. Ieri, il caponegoziatore iraniano, Ali Larijani, di ritorno dal tour europeo all’insegna della solita beffa, ha fatto tappa nella capitale siriana per discutere con il partner damasceno della crisi con Israele. Eppure, solo qualche settimana fa, il regime di Assad sembrava lì lì per collassare. Poi l’inerzia dell’Europa gli ha permesso di riprendersi, e anche il Cremlino ha fatto il suo, mettendo il veto ad alcune risoluzioni americane al Palazzo di vetro. L’Europa, con la Francia in prima fila, fino al 2004 ha considerato la Siria del Baath un referente arabo privilegiato. Il disegno di Jacques Chirac era quello di sostituire il proprio padrinato a quello sovietico, ormai scomparso, nell’unica regione del mondo in cui, dopo il crollo del Muro, gli equilibri non erano mutati. Ma il 14 febbraio 2005, l’attentato all’ex alleato libanese di Damasco, Rafiq Hariri, amico personale e finanziatore di Chirac, ha imposto a Parigi una correzione di rotta. I sospetti su Assad hanno spinto la Francia a rompere con Damasco e ad affiancare la decisione americana di un forte contrasto all’appoggio siriano al terrorismo baathista iracheno. Fu così votata la risoluzione 1.559 del Consiglio di sicurezza, che imponeva alla Siria il ritiro dei 40 mila soldati che occupavano il Libano e che ingiungeva al governo libanese di disarmare Hezbollah, le cui milizie – armate da Siria e Iran – presidiavano e presidiano la frontiera con Israele al posto dell’esercito libanese. Assad fu così costretto a subire l’umiliazione di un ritiro del suo esercito da Beirut, onta tanto più grave perché, nella distorta visione del regime baathista, il Libano non esiste neppure. Damasco non ha mai riconosciuto la Repubblica del Libano e ha sempre sostenuto che la valle della Bekaa (e quasi metà del paese dei cedri) è territorio nazionale siriano. La pressione internazionale è stata tenuta alta dalla Commissione di Detlev Mehlis, che indagava su mandato dell’Onu sull’attentato a Hariri. Mehlis mise sotto accusa per l’atto il fratello e il cognato di Assad, responsabili dei servizi segreti, provocando un isolamento internazionale mortifero. Il segnale del collasso del regime si ebbe quando Ghazi Kanaan, ministro dell’Interno siriano, fu assassinato con un “suicidio di regime”, mentre lo stesso numero due del Baath, il vicepresidente Abdel Halim Khaddam fuggiva a Parigi, lanciando accuse precise contro Assad. Il patto militare e l’ospitalità per Meshaal Il regime di Damasco era sul baratro, ma l’Europa decise di stare a guardare. Da Teheran, il presidente Mahmoud Ahmadinejad moltiplicò il suo impegno per aiutare l’amico siriano, stringendo accordi militari, economici e politici che sviluppano una strategia speculare a quella di Khomeini. La controffensiva siro-iraniana è stata facilitata dallo stallo della rivoluzione democratica e antisiriana libanese, che si è sfiancata in elezioni in cui la democrazia è stata solo interna ai singoli blocchi etnico-tribali e confessionali, incapaci di costruire un accordo nazionale. Poi sono diminuite le pressioni internazionali. Il procuratore dell’Onu Mehlis ha lasciato la sua carica ed è stato sostituito dal temporeggiatore belga, Serge Brammertz. Parigi, paralizzata dall’agonia della chiracchia, non ha preso alcuna iniziativa verso il Libano e la Siria, e lo slancio inziale si è spento. Eppure il compito era chiaro, l’aveva scritto l’Onu: imporre al governo libanese l’applicazione della seconda parte della risoluzione 1.559, disarmando Hezbollah. Ma Bruxelles e il ministro degli Esteri europeo, Javier Solana, non hanno fatto nulla per impedire questo esito annunciato. Al riparo dalle pressioni, spalleggiato da Ahmadinejad, che il 16 giugno scorso ha rinnovato il patto militare, Assad ha rivitalizzato la politica di suo padre, Hafez: lanciare attacchi destabilizzanti e poi far finta di mediare. Oggi Damasco si può vantare di esser il quartier generale da cui Hamas, con Khaled Meshaal, governa Gaza e lancia attacchi contro Israele in pieno e rivendicato accordo con Hezbollah, “Partito di Dio” che risponde agli ordini dell’ayatollah Ali Khamenei, come dice il suo leader, Hassan Nasrallah, “rappresentante in Libano della guida della Rivoluzione iraniana”. Un’onda jihadista sta accumulando massa critica a oriente, mentre l’Europa fa il palo e arriva al punto, con Massimo D’Alema e Philippe Douste-Blazy, di accusare Israele di uso sproporzionato della forza militare nel difendersi da un jihad assassino.
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