Da La STAMPA del 14 luglio 2006, un articolo sulla presa di posizione antisraeliana del ministro degli Esteri italiano D'Alema.
La condanna della legittima difesa israeliana viene estremizzata da Jacopo Venier dei comunisti italiani fino al punto di chiedere il ritiro dell'ambasciatore italiano in Israele.
Ecco il testo:
In Israele e in Libano «c’è una spirale di guerra» di fronte alla quale «bisogna agire», avverte Massimo D’Alema. Una spirale innescata dagli «inammissibili» attacchi contro Israele ma alimentata da «una reazione sproporzionata e pericolosa per le conseguenze che potrà avere», sottolinea il ministro degli Esteri: facendo propria la posizione della presidenza di turno finlandese, ma scatenando le critiche del centro destra e di Silvio Berlusconi in prima persona («Bisogna capire gli israeliani», sostiene l’ex premier). Il presidente Napolitano ha spronato l’Ue: «Credo che si possa fare di più per superare la crisi in Medio Oriente».
Quando, poco dopo le 20 di ieri sera, D’Alema compare davanti alle telecamere del Tg1, sta per chiudersi una giornata campale per la nostra diplomazia e il suo responsabile. Sempre più allarmato di fronte al precipitare della crisi, D’Alema ha avviato fin dal mattino una serie di contatti con i Paesi dell’area e ha parlato al telefono con il collega egiziano Ahmed Aboul Gheit e col ministro siriano dell’Informazione, Mohsen Bilal. Con un obiettivo soprattutto: convincerli che soltanto «un gesto forte» - la liberazione dei militari israeliani rapiti - potrebbe sbloccare la spirale della violenza e aprire «una fase nuova» nella crisi, consentendo quindi il lancio di un’iniziativa diplomatica da parte dell’Unione europea e del G8 che si riunisce nel fine settimana a San Pietroburgo (l’Alto rappresentante europeo Solana è pronto a partire per l’area).
Soprattutto con Bilal, D’Alema ha discusso della necessità di un intervento di «persuasione sui partiti e sui movimenti in grado di controllare le milizie responsabili dei rapimenti e delle azioni militari». L’Italia conta molto sulla Siria, il Paese che insieme all’Iran costituisce il principale sostenitore di Hezbollah: la liberazione dei militari costituisce «un passo urgente e necessario per fermare l’escalation militare», ha detto al ministro di Damasco il capo della nostra diplomazia. Non è difficile immaginare che le pressioni siano state accompagnate da un richiamo: una svolta positiva garantirebbe credibilità internazionale a un Paese sotto inchiesta all’Onu per l’assassinio del premier libanese Hariri, e di fatto congelato diplomaticamente. Quanto all’Egitto, altro Paese chiave nell’area, D’Alema conta sulla sua mediazione per far scendere la tensione nella striscia di Gaza. Anche in questo caso, un aiuto concreto si tradurrebbe in un prezioso credito politico per il Cairo e il suo presidente in affanno.
Ma sull’impegno diplomatico del ministro degli Esteri si allunga l’ombra di una polemica interna destinata a divampare, perché specchio di una sempre più controversa discontinuità con il governo Berlusconi, esasperata ieri dalla richiesta di richiamare il nostro ambasciatore a Tel Aviv, avanzata da Jacopo Venier, responsabile esteri dei comunisti italiani. «Siamo sempre più preoccupati per le dimensioni di veri e propri atti di guerra, per il numero già alto delle vittime civili nei villaggi libanesi del Sud e per l’attacco all’aeroporto di Beirut», nota D’Alema definendo «sproporzionata» la reazione israeliana contro il Libano. Il centro destra insorge: il commento del ministro degli Esteri è «inadeguato» di fronte a una crisi che «ha per obiettivo la messa in questione dello Stato ebraico» e si traduce di fatto «in un attacco a Israele», sottolineano Sandro Bondi e Fabrizio Cicchitto, rispettivamente coordinatore e vice coordinatore di Forza Italia. D’Alema dimentica, insistono i due politici vicini a Berlusconi, che «Israele si sta battendo per rispondere a gravissime aggressioni».
In realtà il ministro unisce la condanna della reazione di Gerusalemme a quella per «l’inaccettabile attacco militare» allo Stato ebraico, e chiede «la liberazione dei militari israeliani presi in ostaggio». Ma la diversità d’impostazione fra l’attuale governo e quello precedente nell’analisi del conflitto israelo-palestinese - già affiorata nelle scorse settimane, quando venne teorizzata l’«equivicinanza» fra il governo israeliano e il governo palestinesi di Hamas, considerata dal centro destra «inammissibile» per il carattere terroristico di Hamas - diventa sempre più evidente con l’aggravarsi della crisi. Mercoledì, a Bruxelles, D’Alema aveva già preso le distanze da Israele, distinguendosi dalle dichiarazioni molto più caute di compagni di governo e di partito come Francesco Rutelli, vice premier, e Umberto Ranieri, presidente diessino della Commissione Esteri della Camera. Le reazioni agli attacchi palestinesi sono «sproporzionate», «rischiano di essere controproducenti» e di «alimentare il terrorismo», aveva detto. Un altro segno, secondo il centro destra, del disequilibrio della nuova politica estera italiana in Medio Oriente.
Paolo Cento dal canto suo attacca l'equivicinanza: per lui bisogna condannare Israele(un lancio Agi):
ROMA, 13 lug. - "Altro che equivicinanza, siamo di fronte a strategia guerra del governo israeliano che va condannata". Lo afferma il deputato dei Verdi e sottosegretario all'Economia, Paolo Cento, riferendosi agli scontri in Medio oriente tra Israele e Libano. Cento chiede "una iniziativa dell' Italia e dell Unione Europea per lo stop agli attacchi in Libano e la fine dell' assedio a Gaza. E' una situazione intollerabile - aggiunge - siamo di fronte ad una vera e propria strategia di guerra del governo di Israele a cui la comunita' internazionale ha il dovere di contrapporre una strategia di pace". Per l'esponente del Sole che Ride "serve una grande mobilitazione del popolo democratico per far sentire al governo israeliano la nostra netta contrarieta' a quanto sta accadendo".
(AGI, 13 luglio 2006)
Sempre dalla STAMPA un articolo sulle reazioni internazionali alla crisi:
In Israele e in Libano «c’è una spirale di guerra» di fronte alla quale «bisogna agire», avverte Massimo D’Alema. Una spirale innescata dagli «inammissibili» attacchi contro Israele ma alimentata da «una reazione sproporzionata e pericolosa per le conseguenze che potrà avere», sottolinea il ministro degli Esteri: facendo propria la posizione della presidenza di turno finlandese, ma scatenando le critiche del centro destra e di Silvio Berlusconi in prima persona («Bisogna capire gli israeliani», sostiene l’ex premier). Il presidente Napolitano ha spronato l’Ue: «Credo che si possa fare di più per superare la crisi in Medio Oriente».
Quando, poco dopo le 20 di ieri sera, D’Alema compare davanti alle telecamere del Tg1, sta per chiudersi una giornata campale per la nostra diplomazia e il suo responsabile. Sempre più allarmato di fronte al precipitare della crisi, D’Alema ha avviato fin dal mattino una serie di contatti con i Paesi dell’area e ha parlato al telefono con il collega egiziano Ahmed Aboul Gheit e col ministro siriano dell’Informazione, Mohsen Bilal. Con un obiettivo soprattutto: convincerli che soltanto «un gesto forte» - la liberazione dei militari israeliani rapiti - potrebbe sbloccare la spirale della violenza e aprire «una fase nuova» nella crisi, consentendo quindi il lancio di un’iniziativa diplomatica da parte dell’Unione europea e del G8 che si riunisce nel fine settimana a San Pietroburgo (l’Alto rappresentante europeo Solana è pronto a partire per l’area).
Soprattutto con Bilal, D’Alema ha discusso della necessità di un intervento di «persuasione sui partiti e sui movimenti in grado di controllare le milizie responsabili dei rapimenti e delle azioni militari». L’Italia conta molto sulla Siria, il Paese che insieme all’Iran costituisce il principale sostenitore di Hezbollah: la liberazione dei militari costituisce «un passo urgente e necessario per fermare l’escalation militare», ha detto al ministro di Damasco il capo della nostra diplomazia. Non è difficile immaginare che le pressioni siano state accompagnate da un richiamo: una svolta positiva garantirebbe credibilità internazionale a un Paese sotto inchiesta all’Onu per l’assassinio del premier libanese Hariri, e di fatto congelato diplomaticamente. Quanto all’Egitto, altro Paese chiave nell’area, D’Alema conta sulla sua mediazione per far scendere la tensione nella striscia di Gaza. Anche in questo caso, un aiuto concreto si tradurrebbe in un prezioso credito politico per il Cairo e il suo presidente in affanno.
Ma sull’impegno diplomatico del ministro degli Esteri si allunga l’ombra di una polemica interna destinata a divampare, perché specchio di una sempre più controversa discontinuità con il governo Berlusconi, esasperata ieri dalla richiesta di richiamare il nostro ambasciatore a Tel Aviv, avanzata da Jacopo Venier, responsabile esteri dei comunisti italiani. «Siamo sempre più preoccupati per le dimensioni di veri e propri atti di guerra, per il numero già alto delle vittime civili nei villaggi libanesi del Sud e per l’attacco all’aeroporto di Beirut», nota D’Alema definendo «sproporzionata» la reazione israeliana contro il Libano. Il centro destra insorge: il commento del ministro degli Esteri è «inadeguato» di fronte a una crisi che «ha per obiettivo la messa in questione dello Stato ebraico» e si traduce di fatto «in un attacco a Israele», sottolineano Sandro Bondi e Fabrizio Cicchitto, rispettivamente coordinatore e vice coordinatore di Forza Italia. D’Alema dimentica, insistono i due politici vicini a Berlusconi, che «Israele si sta battendo per rispondere a gravissime aggressioni».
In realtà il ministro unisce la condanna della reazione di Gerusalemme a quella per «l’inaccettabile attacco militare» allo Stato ebraico, e chiede «la liberazione dei militari israeliani presi in ostaggio». Ma la diversità d’impostazione fra l’attuale governo e quello precedente nell’analisi del conflitto israelo-palestinese - già affiorata nelle scorse settimane, quando venne teorizzata l’«equivicinanza» fra il governo israeliano e il governo palestinesi di Hamas, considerata dal centro destra «inammissibile» per il carattere terroristico di Hamas - diventa sempre più evidente con l’aggravarsi della crisi. Mercoledì, a Bruxelles, D’Alema aveva già preso le distanze da Israele, distinguendosi dalle dichiarazioni molto più caute di compagni di governo e di partito come Francesco Rutelli, vice premier, e Umberto Ranieri, presidente diessino della Commissione Esteri della Camera. Le reazioni agli attacchi palestinesi sono «sproporzionate», «rischiano di essere controproducenti» e di «alimentare il terrorismo», aveva detto. Un altro segno, secondo il centro destra, del disequilibrio della nuova politica estera italiana in Medio Oriente.
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