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La Stampa Rassegna Stampa
14.07.2006 Israele sotto attacco si difende
la cronaca di Aldo Baquis e il reportage di Fiamma Nirenstein

Testata: La Stampa
Data: 14 luglio 2006
Pagina: 2
Autore: Fiamma Nirenstein - Aldo Baquis
Titolo: «Divampa l’incendio - Alle bombe su Beirut Hezbollah risponde con i razzi su Haifa»

Da La STAMPA del 14 luglio 2006 un reportage di Fiamma Nirenstein dalle città israeliane sotto attacco:

Tutta la giornata di ieri, è stata un lungo slalom fra un razzo katyusha e l’altro. Un milione e mezzo di cittadini israeliani sono sulla linea del fuoco. Abbiamo inseguito il fumo, i botti, le rovine lasciate dai missili degli Hezbollah per tutto il Nord d’Israele. Mai i missili di Nasrallah erano arrivati così lontano, così a Sud. Adesso che la linea rossa dell’attacco a Haifa è stata attraversata, ora che sono stati presi di mira i cittadini di una delle più popolose e centrali città israeliane, l’escalation si fa vorticosa, ogni cosa è possibile, l’esercito israeliano si prepara forse a entrare nel profondo del Sud del Libano. Shimon Peres ha invitato in tarda serata i cittadini che vivono vicino agli Hezbollah a lasciare le loro case.
Un ufficiale, Zvica Golan, ce lo dice appassionatamente nel recinto del Comando Nord dell’esercito, mentre nella valle sottostante seguitano gli scoppi e le colonne di fumo: «Il gioco è finito, comincia una storia completamente diversa, gli Hezbollah sono come Al Qaeda, uno Stato sovrano come il Libano può lasciare ad Al Qaeda il controllo del suo confine più delicato?». Gli Hezbollah, adesso che hanno messo in giuoco tutte le loro forze e hanno esposto il Libano al contrattacco israeliano, cercano la loro propria salvezza nella leadership dell’estremismo mediorentale, nell’esplosione generale. E seguitano a sostenere che rappresentano gli interessi libanesi, anche se Nasrallah ormai parla ai media da un bunker segreto.
Il Capo di Stato maggiore Generale Dan Haluz al Comando del Nord parla a pochi giornalisti ritto sotto il sole davanti a un bunker di pietre, nel verde in mezzo alle montagne: la sua spiegazione è laconica, la faccia senza l’ombra di un sorriso. Dan Haluz spiega che l’azione di Tzahal è tesa a riportare a casa i ragazzi rapiti, ma soprattutto, dopo l’uccisione di sette soldati in un solo giorno, colloca sul governo libanese la responsabilità della situazione di strapotere della milizia sciita integralista dominata dall’Iran: «Gli Hezbollah sono terroristi, l’esercito regolare del Libano deve essere quello libanese, il governo del Libano deve prendere le sue responsabilità». Ma intanto, nell’aria si respira la sensazione di essere presi fra due fuochi, di non aver ancora deciso fino in fondo se entrare nella palude libanese fino al collo, o lasciare che l’aviazione faccia un lavoro di pura deterrenza.
Nel secondo giorno di guerra, quando prima dell’alba ci avviamo verso il confine del Nord, la strada è quasi sgombra per chi viaggia nella nostra direzione, verso la frontiera col Libano. Ma il traffico che viaggia verso Tel Aviv, nella direzione opposta, è già fitto. Chi può andarsene, almeno per il fine settimana porta i bambini al sicuro. Pietre, olivi, e poi montagne e il mare, la radio canta canzoni tristi. La guerra è di casa qui, i visi da ragazzini degli uccisi occupano tutte le prime pagine dei giornali freschi di stampa. Chi parte di mattina presto dal Nord, non sa ancora che è difficile ormai trovare un posto sicuro non troppo lontano: Yael con i suoi due bambini che dormono nella Mitsubishi, beve un caffè alla stazione di rifornimento sotto Kiriat Shmone. Da dove viene? Proprio da là, la capitale dei missili, dove noi siamo diretti, l’obiettivo più familiare per gli Hezbollah. Più di sette, otto ore, racconta, non è possibile restare bloccati nei rifugi, la notte ci si sdraia insonni senza finestre nei letti a castello in tanti, fa caldo, se fai uscire un attimo il bambino a prendere aria ti senti in colpa, perché rischi la sua vita.
Yael porta i bimbi nella bella, mistica Safed, Zfat, da vecchi amici. Fra poche ore, nel primo pomeriggio, arriviamo per caso proprio a Safed quando vi cadono sette Katyusha, che fanno più di trenta feriti di cui due restano in condizioni gravi. Alla fine della giornata, quando la gente è ancora nei bunker pronta a passarci la notte, abbiamo totalizzato più di novanta feriti, e la morte di una signora di quarant’anni, Monica Seidman, madre di due bambini, che verso le otto a Naharia, ha avuto la pessima idea di andare a prendere un caffè in terrazza, dove un missile di Nasrallah l’ha raggiunta. E così, seguiamo tutto il giorno il tracciato del sangue su tutto il Nord, a Kiriat Shmone, a Ar Merom, Manara, Mahanaim, a Rosh Pina, a Safed, Madjelkrum, città drusa, sul Carmel, e persino, a sera, nella base stessa, nel recinto del Comando del Nord dove abbiamo incontrato Haluz e Golan, poi di nuovo a Zfat e a Haifa... A Safed la strada centrale ha un palazzo distrutto, il rabbino dei Habad Joseph Kaplan racconta come ha portato al sicuro 80 ragazzi che erano in vacanza; a Madjelkrum missili non ne erano mai arrivati, i cittadini drusi raccontano che non sanno dove mettersi. Così a Sud, così nel cuore di Israele Nasrallah non aveva mai puntato, e i rifugi spesso non esistono: «Spazziamo adesso vecchi rifugi in disuso», racconta Eran di Haifa dopo il botto, «per ora non capiamo se dobbiamo abituarci a essere attaccati. Forse, è stato un caso».
Mentre alle otto di mattina entriamo a Kiriat Shmone sentiamo il primo dei molti bum della giornata. È una città fantasma, tutto è chiuso, tutto il Nord lo è, i turisti cancellano le visite estive. Un minuscolo supermarket resiste: «Dobbiamo pur mangiare» dice Dudu Cohen mentre serve di latte e pane, alla svelta, una donna furiosa: «Ci hanno attaccato cento volte, e noi li abbiamo lasciati fare. Eppure loro lo dicevano chiaro che il loro unico scopo è cacciarci dal nostro Paese. E noi... niente. E ancora bombe, ancora rapimenti di soldati e civili. Stavolta forse abbiamo capito».
Avi guarda con aria di sfida: «Io non ci vado nel rifugio: che l’esercito risolva il problema, non voglio avere paura a casa mia, ed è così da anni». Un reduce dell’esercito Tzadal, sostanzialmente formato da libanesi cristiani prima dell’uscita di Israele dal Libano nel 2000, vive da allora nel Nord di Israele e si chiama Rimon: «Israele non avrebbe mai dovuto uscire di là, ha dato un segno di debolezza e ha lasciato il campo agli Hezbollah. Gli Hezbollah, i siriani, gli iraniani, ridono delle paure di Israele di colpire i civili, di difendersi fino in fondo. Figuriamoci se l’esercito non sa dov’è Nasrallah: se non lo eliminano, è perchè non vogliono, e quindi che non si lamentino».
Masha Album, psicologa infantile, mostra il rifugio dove dormono tre dei suoi figli: «Abbiamo fatto qui la festa della piccola che ieri compiva 11 anni. I bambini sono in uno stato di trauma, sono quelli che più di tutti gli altri cercano una spiegazione logica: non ho fatto niente ai Hezbollah, ma loro mi sparano, perché?».
La risposta sta nella grande crisi mediorentale dai molti protagonisti e in un odio rinfocolato e sostenuto con molta forza dall’Iran minacciato della discussione sulla costruzione del suo potere nucleare. Il generale Haluz, dentro il comando che fra poco verrà colpito da un missile, entra in riunione con il ministro della Difesa Amir Peretz. Ci manda via. La radio trasmette le notizie sugli attacchi israeliani sul Libano.

Di seguito la cronaca di Aldo Baquis, alla quale la redazione ha dato un titolo del tutto scorretto:  "
Alle bombe su BeirutHezbollah risponde con i razzi su Haifa": fin dalle prime righe dell'articolo è chiaro che è Israele a rispondere a un'aggressione di  Hezbollah.
Ecco il testo:


A 24 ore dal fulmineo blitz dei guerriglieri sciiti in Galilea con la uccisione di otto soldati e il rapimento di altri due, Israele ha reagito colpendo Beirut e il Libano meridionale. In serata gli aerei con la stella di Davide sono tornati a colpire la capitale libanese: l’aeroporto, dove a notte inoltrata bruciavano serbatoti di carburante, e i rioni sciiti di Beirut Sud. Gli aerei israeliani hanno lanciato anche volantini che invitavano la popolazione a stare alla larga dagli edifici dove abitano i leader Hezbollah e dai posti dove sono installate le postazioni per lanciare i razzi a lunga gittata. Beirut ha chiesto ripetutamente un cessate il fuoco.
Gli uomini dello sceicco Hassan Nasrallah, leader di Hezbollah, hanno risposto, nel corso della giornata, colpendo con i loro razzi le città di Haifa, Naharya, Kiryat Shmone e Safed. In questa ultima città una decina di razzi sono piovuti mentre il ministro della difesa Amir Peretz si trovava nel comando della zona militare settentrionale, che è stato colpito. Peretz - scampato un mese fa a un bombardamento palestinese nella propria città di Sderot, nel Neghev - è rimasto illeso anche in questa occasione.
Il bilancio delle perdite umane è stato molto pesante. In Libano sarebbero morte una cinquantina di persone, in prevalenza civili. In Israele i morti sono stati almeno due. I feriti un centinaio.
Nasrallah ha voluto aprire un secondo fronte nel nord di Israele per intralciare la libertà di manovra di Israele che da alcuni giorni rafforza la propria presenza militare nel Sud della striscia di Gaza, in un braccio di ferro con il governo di Hamas innescato dal rapimento di un soldato, il 25 giugno. Di fronte a questi sviluppi il presidente palestinese Abu Mazen ha avvertito il pericolo che le violenze si estendano ancora, fino a diventare un conflitto regionale.
Da ieri Israele impone un blocco marino, terrestre ed aereo sul Libano, nell'intento di forzare il governo di Fuad Siniora ad esigere da Nasrallah la liberazione dei due soldati riservisti rapiti: Ehud Goldwasser, 31 anni, ed Eldad Reghev, 26. Israele esige inoltre che l'esercito nazionale libanese sia schierato lungo il confine con la Galilea, mentre il Libano meridionale pullula ancora di guerriglieri sciiti e libanesi, assistiti da consiglieri militari iraniani. Infine esige il disarmo degli uomini di Nasrallah che con i loro razzi di produzione iraniana possono colpire la zona centrale di Israele. «Temiamo che i nostri due militari possano essere condotti fuori dal territorio libanese e portati in Iran», ha detto inoltre il portavoce del miniostro degli Esteri israeliano.
Fin dalla prima mattina gli aerei da combattimento israeliani hanno colpito le piste dell'aeroporto internazionale di Beirut e di due aeroporti più piccoli nel nord del Paese. Vedette della marina israeliana hanno minacciosamente tenuto alla larga imbarcazioni che cercavano di entrare nei principali porti libanesi. E l'aviazione israeliana ha colpito la superstrada fra Beirut e Damasco: principale via di uscita verso la Siria. Nella notte un secondo bombardamento ha portato alla chiusura dell'arteria che collega le capitali di Libano e Siria.
In un giorno solo, la stagione turistica libanese è andata in fumo e numerose manifestazioni sono state annullate. Decine di migliaia di turisti sono stati visti dirigersi a precipizio verso la Siria, nella speranza di sfuggire agli attacchi aerei israeliani, diretti in prevalenza contro installazioni della guerriglia sciita.
Israele ha anche avvertito gli abitanti del rione Dahya di Beirut che devono lasciare le loro abitazioni, se hanno cara la vita. «È là che abitano tutti i leader di Hezbollah», ha spiegato il capo di stato maggiore israeliano, generale Dan Halutz. Malgrado la forte pressione israeliana, i guerriglieri Hezbollah hanno martellato la Galilea per tutta la giornata, colpendola in tutta la sua estensione e raggiungendo per la prima volta le città di Carmel, Safed e - in serata - anche Haifa che non era mai stata toccata da nessuna guerra.
Quanto durerà il confronto, è stato chiesto ai responsabili militari israeliani. Nei sei anni seguiti al ritiro di Israele dal Libano, hanno risposto, gli Hezbollah hanno ricevuto da Siria e Iran molte migliaia di razzi.
Israele cerca di colpire i loro magazzini, ma ancora i guerriglieri hanno a disposizione razzi di vario genere sufficienti per settimane di lotta. «Occorre stringere i denti, incassare i colpi e tenere duro», spiegano i responsabili militari israeliani.


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