Da REPUBBLICA del 06/07/2006 riprendiamo l'articolo di Saul Meghnagi, intitolato " I dilemmi dell'ebraismo", uscito a pag.21, un utile contributo di idee nel più vasto dibattito sull'ebraismo contemporaneo.
Ecco il testo:
Caro direttore, l´ebraismo è un patrimonio culturale complesso. È costituito da una pluralità di elementi, immateriali e materiali, propri di un modo di concepire la realtà e l´esistenza. Si fonda su una tradizione che nasce da un popolo. Si consolida grazie a testi sacri lungamente studiati, analizzati, interpretati e reinterpretati. È l´esito di una dinamica tra le diverse comunità e le realtà in cui queste erano e sono inserite. Scaturisce da valutazioni e decisioni – in alcuni casi specifiche dei rabbini, in altri degli organi della dirigenza comunitaria – assunte di fronte a necessità, esigenze, difficoltà. È un sistema di valori, di legami, di relazioni che hanno forme varie di esprimersi e manifestarsi. È una "fedeltà" e una "lealtà".
Gli ebrei non esistono come individui tipologici. Esistono ebrei nella storia. Ovvero nella società. E dunque esistono gruppi, sottogruppi, modalità di integrazione, di distinzione, di trasmissione intergenerazionale, di comportamenti. La loro storia è una storia complessiva, inquadrata in una specifica trasmissione culturale – della quale sono identificabili le radici remote e le caratteristiche presenti – fatta di scelte individuali e collettive, di atti formali, di azioni informali, di ibridazioni, di conflittualità e di solidarietà.
Per l´insieme di questi fattori, descritti in forma certamente non esaustiva, appare necessario optare tra l´idea di una società multiculturale – nella quale ogni cultura definisca se stessa indipendentemente dalle altre, stabilendo gerarchie tra religioni "dominanti" e fedi "tollerate" – e l´idea di una società interculturale – in cui le culture dialoghino tra pari. Questa seconda opzione implica l´ipotesi di una società in cui ogni cultura non si definisca in forma autoreferenziale, ma possa riconoscersi come parte di uno Stato, dotato di strumenti di regolazione, di istituzioni rappresentative, di istanze di riferimento plurime. Gli ebrei sono chiamati a decidere tra queste alternative, evitando aprioristiche chiusure di retroguardia. Come fare?
Nel corso del lungo processo che dai primi editti sulla "tolleranza" ha portato alle costituzioni liberali, dando pieni diritti di cittadinanza agli ebrei, si sono consumate, in Occidente, numerose tragedie, tra le quali la catastrofe della Shoah. L´esodo, negli ultimi decenni, della quasi totalità degli ebrei dei Paesi arabi e, più di recente, la fine dei vincoli all´emigrazione dai Paesi socialisti ha contribuito al ridisegno della geografia e della demografia dell´ebraismo mondiale. La nascita dello Stato di Israele è stata decisiva nel caratterizzare tale nuova connotazione, in ragione non solo della distribuzione delle popolazioni, ma quale fattore imprescindibile di rinascita culturale. Tale processo non ha, tuttavia, consentito – data la persistenza di minacce nei confronti degli ebrei e di Israele – il superamento di una contraddizione: quella di essere cittadini a pieno titolo e, nel contempo, soggetti "sulla difensiva" nei diversi luoghi di vita e di residenza, dalle scuole alle università, dalle sedi di dibattito ai contesti politici in cui si sviluppa il confronto con altri.
Ne consegue un tremendo dilemma: affermare che le condizioni di convivenza sociale tra diversi è impossibile e che sia bene per gli ebrei rispondere ad attacco con attacco, a critica con critica, a dichiarazione con dichiarazione, ricercando come alleati solo coloro che, qui e ora, mostrano palesemente la loro amicizia e la loro solidarietà. Oppure, sostenere che la democrazia è un processo, il confronto uno strumento, lo scambio una modalità di crescita. Interloquire con tutte le componenti di una società data. Fare della discriminazione subita una "risorsa", per promuovere la crescita di quei diritti di cittadinanza che, in Italia, sono sanciti dalla Costituzione repubblicana.
La scelta è tra un ebraismo che viva al di fuori della storia complessiva della società civile; o un ebraismo che si collochi nella storia quale soggetto straordinariamente importante nel contribuire all´individuazione delle forme di una democrazia capace di accogliere, come oggi deve saper fare, uomini e donne di altri continenti, religioni, tradizioni.
Ciò significa, anche, confrontarsi con la laicità dello Stato. Ma cosa vuol dire, per una comunità che affonda le proprie radici in una tradizione religiosa, porsi il problema della laicità?
La laicità non si esaurisce esclusivamente nella separazione fondamentale di poteri tra Stato e Chiesa. Esige risposte a questioni ancora aperte: come regolare tale distinzione in relazione all´evoluzione storica delle idee? Come considerare la mutevole composizione sociale e demografica di un Paese? Come non ignorare sensibilità di persone e gruppi diversi nella valutazione delle scelte connesse con il futuro?
La riflessione, in ambito ebraico, va sviluppata in relazione sia all´interno sia all´esterno. Non si può essere laici rispetto alle altre confessioni e integralisti nell´ambito della propria. Laicità, per gli ebrei, vuol dire sostenere, vivere e raccontare la storia di una comunità, per presentarla in una forma aperta a tutti. Porre così in evidenza non eventi isolati, a sé stanti, ma coloro che ne sono stati protagonisti, in un sistema di connessioni e rapporti.
L´ebraismo, assumendo la mediazione interculturale come riferimento su cui fondare la propria azione, potrà affermare il carattere assoluto dei propri riferimenti di fede – che solo nella discussione rabbinica potranno evolvere – ed essere in grado di partecipare – tenendo conto di una molteplicità di fonti di valore – alla costruzione, in Italia e in Europa, di una società di diversi con pari diritti.
(L´autore è presidente dell´Istituto superiore per la formazione)
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