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La Stampa Rassegna Stampa
08.07.2006 Un Islam che non esiste, quindi facile da vendere
La propaganda di Tariq Ramadan affascina il quotidiano torinese che gli dedica una pagina

Testata: La Stampa
Data: 08 luglio 2006
Pagina: 10
Autore: Ehsan Masood
Titolo: «Tariq Ramadan»

La STAMPA pubblica oggi  08/07/2006 a pag.10, una lunga intervista con Tariq Ramadan, che definisce " il predicatore islamico più controverso ". Per sapere chi è Ramadan è sufficiente leggere quanto ha scritto Magdi Allam (i suoi articoli sono su IC, basta cliccare nel motore di ricerca le parole Magdi Allam o Tariq Ramadan) per capire quale pericolo  rappresenti. E' il volto presentabile del terrorismo, è giovane e bello, che chi lo definisce sexy, come se il sex appeal contasse più delle idee che uno ha in testa. Certo, non è lo sceicco Yassin, paraplegico e in carrozzella quand'era ancora in vita. Si leggano con attenzione le domande, che prescindono completamente dalla realtà del fondamentalismo islamico, gli vengono fatte per permettergli di diffondere un'idea di Islam che possa essere accettabile anche da una mentalità occidentale. Anche se non esiste. anche se Ramadan appartiene al movimento del Fratelli Musulmani, e i suoi rapporti con al Qaida sono più di un sospetto. Gli Usa, per i suoi legami con il terrorismo, gli hanno negato il visto d'ingresso. Con l'Europa è un'altra storia, insegna e abita in Svizzera, è consulente di Tony Blair per gli affari islamici e la STAMPA gli offre una pagina di pubblicità-propaganda. Nella stessa pagina, proprio sotto all'intervista di Ramadan c'è una corrispondenza di Maurizio molinari da New York. Titolo: " L'ultima di Al Quaeda: volevano allagare Mahattan".  Sarà il caso di rifletterci sopra ?

Ecco il testo:

Dopo più di 40 anni di massiccia immigrazione musulmana in Europa, non è ancora emerso un movimento riformista dell’Islam. Perché?
«Sì, non c’è nulla di visibile. Non è sorprendente: è un processo che richiede tempo. Ma credo che sia in corso una rivoluzione silenziosa, e rapida. I musulmani rivendicano una cittadinanza nazionale, le donne sono molto più presenti. Ci sono sacche di resistenza, specie tra gli anziani, ma ci sono anche nuovi leader, nuovi trend, una nuova consapevolezza».
Lei afferma che certe democrazie liberali sono spesso più islamiche dei Paesi musulmani. Cosa intende?
«La protezione della religione, della vita, dell’attività intellettuale, della famiglia, dei beni e della dignità sono molto più consistenti in Occidente che nei Paesi islamici. Non esiste un ideale, ma dobbiamo riconoscere questo fatto».
Lei insiste che i musulmani si devono sentire a casa qui. Ma molte organizzazioni coltivano una specifica identità musulmana, contribuendo in parte alla ghettizzazione.
«Il rischio è l’autosegregazione. Avrei preferito un mix sociale con contributi reciproci. I musulmani, ovviamente, hanno lo stesso diritto alla scuola religiosa dei cristiani e degli ebrei. Ma anche se ne hanno il diritto, non necessariamente devono usufruirne».
I musulmani dovrebbero rivolgersi con i loro problemi allo Stato o al Consiglio islamico?
«C’è una contraddizione. I governi europei aspettano l’arrivo di leader che parlino a nome dei musulmani. La Francia ha perfino creato organismi musulmani. Ma nello stesso tempo non viene incoraggiata una politica di identità. I Consigli islamici devono limitarsi a un ruolo religioso, i cittadini invece devono parlare con lo Stato».
Ma molti musulmani uniscono religione e politica.
«Dobbiamo seguire le regole dei Paesi in cui viviamo. Non facciamo confusione islamizzando i problemi sociali. È vero che i musulmani hanno alcuni problemi specifici, certi tipi di discriminazione o pregiudizi, la cosiddetta islamofobia. Ma la maggioranza dei loro problemi sono gli stessi degli altri».
Cos’è per lei l’«islamofobia»?
«All’inizio usavo questa parola con prudenza. Criticare la religione e i musulmani non è islamofobia. Ma discriminare qualcuno solo perché è musulmano è islamofobia, una sorta di razzismo».
Si dice che i musulmani hanno più problemi a vivere in società occidentali rispetto ad altre minoranze religiose.
«È un dato di fatto, per i musulmani è più difficile entrare in società laiche. L’intero apparato intellettuale dell’Islam si considera qualcosa di diverso dall’Occidente, visto come entità monolitica. In Occidente, inoltre, si pensa che i musulmani siano difficili da integrare a causa della indivisibilità tra religione e politica nell’Islam. Dobbiamo smontare quest’idea».
La Francia ha bandito dalle scuole il velo e il crocifisso, e ogni esplicito simbolo religioso. Le piace questa forte tradizione laica di sinistra?
«In teoria è giusta. Ma la pratica della laicità risale a una legge del 1905. Nel 2004 ne è stata fatta un’altra solo perché la vecchia accettava il crocifisso e in Francia c’è una forte presenza musulmana. La verità è che la tradizione laica francese è stata adattata a un gruppo specifico. La società francese sta attraversando una sorta di crisi d’identità. Ho detto a tutte le ragazze francesi che, se devono scegliere tra l’andare a scuola e indossare il velo, devono scegliere la scuola. Ma nello stesso tempo essere democratici significa continuare a discutere la legge e chiederne la modifica».
Molti musulmani ritengono di vivere in un mondo islamofobico.
«È pericoloso alimentare questi sentimenti. Così si costruisce una mentalità vittimista, l’idea che tutti ce l’hanno con noi».
Lei dice che ogni donna deve essere libera di indossare il velo. E se in un Paese come l’Iran una donna potesse essere libera di non indossarlo?
«Costringere una donna a indossare il velo è contro i principi islamici e i diritti umani».
Lei dice che la pratica dell’Islam deve essere meno letterale rispetto al Corano.
«L’Islam si basa su principi non soggetti al cambiamento: la fede in Dio, nel Profeta, i libri di Rivelazione. Poi c’è l’Islam praticato: le preghiere, i digiuni ecc. Ma esiste un terzo livello che ha a che fare con l’etica. In questo campo ci sono principi immutabili e ci sono applicazioni che devono tenere conto della storia e della società. La risposta deve venire dalla creatività intellettuale, dall’«ijtihad». A dettare le regole islamiche sono gli «ulama del testo», gli studiosi. Oggi però abbiamo più bisogno di «ulama del contesto», persone con conoscenze moderne che possono aiutare gli studiosi a dare risposte più creative».
Il Corano deve essere trattato come un testo scritto da una certa persona in un certo momento storico? Oppure resta il verbo non creato di Dio?
«Per me è l’autentica parola di Dio. Che sia stato creato o meno, non ha nulla a che vedere con il problema della sua lettura. La maggior parte dei teologi concorda che contiene insegnamenti immutabili e lezioni che dobbiamo contestualizzare».
Per molti, i versi del Corano che invitano le mogli del Profeta a coprirsi sono un comandamento. Ma potrebbero anche essere interpretati come un invito a vestirsi con modestia, o a non vedere le donne come oggetti sessuali.
«Le scuole islamiche interpretano questi versi come una prescrizione a coprirsi i capelli. Ma questo precetto serve spesso a segregare la donna. Il velo è un precetto e sono d’accordo che la modestia vada protetta. Ma dedurre da questo che le donne non abbiano il diritto di lavorare è sbagliato».
È accettabile che un musulmano rinunci alla fede?
«Condivido la teoria di Al-Thawri, dotto dell’ottavo secolo: il Corano non prevede la morte per chi cambia fede. Molte persone che circondavano il Profeta hanno cambiato religione e non sono stati puniti. L’Islam non vieta di cambiare religione se sei infelice».
Chi decide se un verso del Corano va letto letteralmente o meno?
«Nella tradizione sunnita c’è una crisi di autorità. Ci vuole gente che provenga da letture diverse del Corano, che dia una direzione. Ci vuole tempo, ma i musulmani non possono rimanere ciechi di fronte ai cambiamenti. Finora sono stati passivi e continuano ad accusare di tutto «gli altri».
Vorrebbe che questa corrente divenisse maggioritaria anche in Egitto o in Pakistan?
«Penso che accadrà. Ma sarà un processo lungo. In Paesi islamici la religione viene strumentalizzata dalla politica. Non c’è libertà».
Si può essere musulmani e gay? Potrà mai esserci un imam omosessuale, come i vescovi anglicani?
«Sì, se questo imam non dichiara di essere gay. Non ci si può aspettare la promozione dell’omosessualità, che non viene percepita come progetto divino per uomini e donne. Oggi dobbiamo dire agli omosessuali: non sono d’accordo con quello che stai facendo, ma ti rispetto. Puoi essere un musulmano. È una faccenda tra te e Dio».
Si può essere musulmani e non pregare?
«Nel momento in cui dichiari la shahada («Credo che non ci sia altro Dio e che Maometto è il suo Profeta») diventi musulmano. Che tu preghi o meno è una tua responsabilità: nessuno ha il diritto di cacciarti dal regno dell’Islam».
Ma nei Paesi islamici è spesso lo Stato a decidere chi è musulmano e chi no.
«Vogliono mostrarsi come difensori delle regole dell’Islam. L’ipocrisia è il cuore del problema».
All’inizio l’Islam era superiore al Cristianesimo nelle scienze e nell’economia. Ma dal 1100, ben prima del colonialismo, tutto è cambiato. Il re Abdullah di Giordania ha detto che ciò è accaduto perché è stata scoraggiata la «ijtihad», le decisioni prese in base al pensiero razionale.
«È così. Nel secoli XIII-XV i musulmani hanno capito che rischiavano di farsi dominare dall’Occidente. Prima, erano loro a dominare ed essere creativi, da allora cercano di difendersi dal dominio degli altri. Così i musulmani sono diventati meno creativi e meno sicuri. Ho sempre detto ai musulmani d’Occidente che devono credere in se stessi per diventare creativi. Per questo sono sempre stato cauto su certe fatwa che mandano un messaggio di paura».
Ciò è comprensibile per comunità emarginate del Terzo Mondo. Ma per i musulmani nati in Gran Bretagna?
«C’è chi pensa che in questa società un musulmano dovrebbe remare contro, senza fine. Ci sono tre ragioni per questo. Essere cresciuti in famiglie musulmane, innanzitutto: le prime generazioni di immigrati dicono che ci siamo «noi» e c’è «l’Occidente», e non potranno mai essere la stessa cosa. La seconda riguarda la politica internazionale: l’Iraq, la Palestina. La terza è socioeconomica: molti musulmani non si sono integrati».
E l’élite? Quelli che sono andati a scuola, all’università?
«Tra gli studenti regna la percezione che questa società non ci vuole. Il discorso sull’Islam oggi in Europa non ha toni positivi e loro se ne accorgono. Per questo è importante predicare la fiducia nelle proprie multiple identità. Manifesta pure la tua preoccupazione verso la Palestina, ma la tua vita è qui».
Qualcuno la accusa di parlare di come far cambiare l’Islam ai non musulmani, ed essere molto più conservatore con i musulmani.
«Per anni ho sentito dire: attenti a Ramadan, dice una cosa in francese e un’altra in arabo. Non è vero. Se il mio messaggio ai musulmani fosse differente, avrei il permesso di entrare in Paesi come la Tunisia, l’Arabia Saudita o l’Egitto. Io ho criticato le loro dittature».
Lei ha chiesto una moratoria sulle punizioni corporali. Ma perché non dire semplicemente che è sbagliato?
«Sono contrario a lapidazione, pena di morte e punizioni corporali. Non possiamo negare che queste pene vengono menzionate nei testi. Ma le condizioni sono cambiate e quindi bisogna smettere».
Come sarà il mondo musulmano tra 30 anni? Più aperto o più ostile all’esterno?
«Non so cosa accadrà, ma sono molto ottimista. Penso che i cambiamenti iniziati alla periferia del mondo islamico, in Indonesia, in Malaysia e in Occidente, avranno un impatto globale. L’esperienza europea e americana si ripercuoterà presto nei Paesi islamici».

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