Come al solito, sul MATTINO del 7 luglio 2006, titoli e foto contro Israele. I palestinesi rappresentati da donne in lacrime e morti ammazzati, gli israeliani dai carri armati. Il titolo dell’articolo principale recita: “A Gaza è guerra, Hamas chiama alle armi”. Par di capire che fino a ieri Hamas chiamasse alla pace, e che se non fosse stato per i criminali israeliani… Ancora una volta la storia viene capovolta: sono Hamas e il terrorismo palestinese che rispondono all’aggressione israeliana e non il contrario. C’è un reportage di Giorgio, sulla difficile situazione a Gaza, la redazione ci mette del suolo con i soliti titoli ad effetto (i “bombardamenti assordanti” sono il boom provocato dagli aerei che superano la barriera del suono, ma il titolo fa pensare a ordigni esplosivi). In una frase posta tra le colonne del pezzo si legge: “A un anno dallo sgombero delle colonie le città e i villaggi ripiombano nell’incubo della violenza”. I villaggi e le città israeliani nell’incubo dei missili che piovono dal cielo ci sono ininterrottamente da mesi e mesi. Tutto ciò nella quasi totale indifferenza de Il Mattino. Oltre a questa frase ce n’è anche un'altra volta, come i migliori manuali di propaganda e il TG3 insegnano, a far immedesimare il lettore con uno dei due contendenti: “Ma c’è ancora chi sogna di vedere Italia-Francia. E tra le macerie cortometraggio girato dai bambini”.
Allora alcune domande sono d’obbligo: a quando un reportage, con tanto di titoloni, da Sderot, Ashqelon e dai centri abitati israeliani di confine quotidianamente bombardati non con “bombardamenti assordanti” ma da missili esplosivi palestinesi? A quando un reportage tra le famiglie delle vittime del terrorismo stragista palestinese, per sentire cosa hanno da dire? Sarebbe stato interessante chiedere se anche i loro cari sventrati dal terrorista palestinese di turno vedranno, domenica sera, l’incontro di calcio tra la Francia e l’Italia; oppure andare a chiedere agli alunni di Sderot se anche loro girano un cortometraggio mentre, in dieci secondi appena dal suono della sirena, cercano un qualsiasi riparo dove mettere al sicuro (si spera!) la propria vita dalla minaccia del Qassam che sta per cadere. Domande retoriche perché non si è mai visto nulla di simile sul quotidiano napoletano. Gli israeliani sono trattati alla stregua di bestie, esseri non meritevoli di pietà alcuna.
Per rafforzare la propaganda anti-israeliana non poteva mancare il trafiletto che riporta le parole del cinico ministro degli Esteri italiano, Massimo D’Alema. A proposito: ma D’Alema e a conoscenza della pioggia di Qassam contro Israele, e a conoscenza dell’ultimo bombardamento contro una scuola di Ashqelon? A leggere le sue dichiarazioni sembra di no. Tutto questo per un soldato?! Per giunta israeliano!? Tze…
Di fronte a una simile criminalizzazione e distorsione dei fatti il lettore poco informato non potrà che biasimare e, a sua volta, criminalizzare Israele. L’opera quotidiana de Il Mattino a questo mira.
Ecco i testi:
A Gaza è guerra, Hamas chiama alle armi
Gaza. I carri armati israeliani avanzano nella Striscia fino a due chilometri da Gaza. Ora dopo ora gli scontri si fanno sempre più sanguinosi e cruenti fino a delineare uno scenario di guerra che il governo palestinese evoca apertamente in serata. Per ordine del ministro degli Interni di Hamas, Said Siam, le forze regolari palestinesi sono chiamate a sparare sui soldati israeliani «per respingere l’attacco a Gaza». Mai nell’ultimo anno la crisi aveva raggiunto tali livelli di tensione. Le operazioni militari ordinate da Olmert dopo il rapimento del caporale Ghilad Shalit, avvenuto undici giorni fa, stanno creando una situazione drammatica dagli imprevedibili sviluppi. Nel bilancio, ancora approssimativo, degli scontri di ieri ci sarebbero 19 palestinesi uccisi, miliziani e civili, e alcune decine di feriti. Le perdite israeliane sono di un soldato ucciso e di tre feriti. La più ampia operazione dell'esercito dal giorno del ritiro di Israele da Gaza, undici mesi fa circa, è cominciata poche ore dopo la conferma della linea dura da parte del governo israeliano. Truppe e blindati, con la copertura di elicotteri da combattimento, sono penetrati, per alcuni chilometri in alcune aree nel nord della Striscia. L'esercito si è attestato prima in alcune sacche, nei pressi del valico di Erez e in quella che comprende le rovine di quelli che furono gli insediamenti ebraici di Elei Sinai, Nissanit e Dugit. Successivamente punte avanzate hanno raggiunto anche il quartiere El Atatra, a Bet Lahiya, da dove sono stati sparati negli scorsi due giorni razzi Qassam potenziati che hanno raggiunto la città di Ashqelon distante una dozzina di chilometri. La resistenza di miliziani palestinesi è stata tenace. Gruppi armati di tutte le fazioni hanno cercato di contrastare l'avanzata delle truppe sparando razzi anticarro e Qassam e col fuoco di cecchini e di armi automatiche. Un soldato israeliano è stato ucciso. Il tentativo palestinese di contrastare con le armi la potenza militare di Israele è stato pagato a caro prezzo. Cinque miliziani di Hamas sono stati uccisi in mattinata a Bet Lahiya e altri in serata da razzi sparati da elicotteri contro quelli che le fonti militari hanno definito un «gruppo di armati». I palestinesi affermano, però, che tra gli uccisi e i feriti, questi ultimi una ventina circa, ci sono anche civili. Poco dopo, nella stessa area, altri due miliziani sono stati uccisi dai soldati. Aspri combattimenti ci sono stati anche nel sud della Striscia. A Abassan, a est di Khan Yunes, vicino al valico con Israele di Kissufim, altri due miliziani, che secondo un portavoce militare avevano sparato sette razzi anticarro, sono stati uccisi dal fuoco di risposta israeliano. Per Tel Aviv in totale ci sarebbero stati dieci morti tra i palestinesi, ma per altre fonti le vittime sono state 17. In serata la crisi si è ulteriormente aggravata con l'ordine dato dal ministro dell'Interno palestinese alle forze della Sicurezza Nazionale di partecipare ai combattimenti contro le truppe israeliane che hanno invaso la Striscia. È la prima volta che un membro ufficiale dell' esecutivo palestinese ordina di aprire il fuoco sui militari israeliani. Il premier palestinese Ismail Haniyeh ha affermato che le operazioni militari israeliane sono una «punizione collettiva» della popolazione palestinese e ha invocato l'urgente intervento della comunità internazionale affinchè cessino. Il premier Ehud Olmert avrebbe deciso di creare una «zona cuscinetto» nel nord della Striscia in modo da impedire ai razzi Qassam di raggiungere il territorio israeliano. La rioccupazione di alcune aree della Striscia - è stato precisato - avrebbe un carattere provvisorio anche se di indeterminabile durata. In questo drammatico contesto si è levata la voce di Noam Shalit, padre del soldato rapito. Chiede uno scambio di prigionieri per salvare la vita al figlio. mi.gi.
D’Alema: sproporzionata la reazione di Tel Aviv
«L’uso della forza in questo modo è sproporzionato». Così il vicepremier e ministro degli Esteri Massimo D’Alema ha commentato ieri sera la reazione di Israele al rapimento del caporale dell’esercito israeliano Gilad Shalit. «Non si può pensare che per salvare un ostaggio - aggiunge D’Alema - ci si imbarchi in una operazione che porti all’uccisione di decine di persone».
Negli ospedali senza luce tra le «bombe assordanti»
MICHELE GIORGIO Gaza City. Come ogni giorno, anche ieri Sami El-Haul, 22 anni, ha raggiunto il suo ufficio, all'associazione culturale Al-Assria, e ha cominciato un intenso giro di telefonate. Nonostante la giovane età, Sami è responsabile del più ambizioso progetto avviato dalla sua associazione: realizzare un cortometraggio scritto e girato dai bambini del campo profughi di Jabaliya, a nord di Gaza. «Gaza è una terra difficile, eppure bisogna dare delle opportunità ai più giovani, ai bambini, di fare dei sogni belli e non soltanto avere incubi», dice Sami, fiero del suo cortometraggio «Caak ala rasif» (Il pane sul marciapiede). Un film che continua ad essere girato mentre soffiano i venti di guerra. Non è facile dimenticare la realtà di guerra di Gaza, non sentire i boati dei colpi sparati dall'artiglieria israeliana nelle campagne di Beit Hanun, ad appena tre chilometri di distanza da Jabaliya. Ieri i mezzi corazzati israeliani si sono spinti fino a Beit Lahiya, dove sono rimasti uccisi una quindicina di palestinesi e un soldato israeliano. La scia di sangue peraltro pare destinata ad allungarsi: i palestinesi continuano a lanciare razzi contro le cittadine di Sderot e Ashqelon e le forze armate israeliane non accennano a porre fine ai raid aerei e alle incursioni di terra sempre più profonde all'interno di Gaza, evacuata meno di un anno da militari e coloni israeliani. Tutto lascia pensare che il peggio debba ancora venire. Gli ultimi giorni, dopo l’incursione delle forze armate israeliane, sono stati tra i più difficili per il milione e mezzo di palestinesi che vivono ammassati a Gaza, uno dei luoghi a più alta densità di popolazione del mondo. L'attacco aereo israeliano contro la centrale elettrica ha lasciato senza corrente circa 700mila persone. Il Comune ha attivato i suoi generatori autonomi - in modo da distribuire l'elettricità per almeno tre-quattro ore al giorno - ma deve fare i conti con la penuria di gasolio, necessario per tenerli accesi. Il dottor Jumaa Sakeh è responsabile delle relazioni esterne dell'ospedale «Shifa» di Gaza City. «Siamo ormai al collasso - racconta tra l’ululato delle ambulanze - Ogni giorno avremmo bisogno di 5.000 litri di gasolio per il funzionamento del generatore, ma reperirlo è una impresa che diventa sempre più difficile». Il dottor Sakeh lancia anche un allarme sui danni causati dagli F16 israeliani che, più volte al giorno, superano la barriera del suono a bassa quota su Gaza, provocando quelle che i palestinesi chiamano «bombe assordanti» per il boato terrificante che generano. «Abbiamo registrato nelle ultime settimane un sensibile aumento degli aborti spontanei e dei parti prematuri: li colleghiamo alle bombe assordanti», racconta il medico. Come i suoi colleghi, il dottor Sakeh non riceve lo stipendio da quattro mesi, a causa del taglio dei finanziamenti internazionali all'Autorità nazionale palestinese. Ma non si perde d'animo. «Vado avanti con prestiti bancari e non posso permettermi grandi spese, ma appena ho un po’ di tempo porto la mia famiglia in spiaggia. È l'unico diventimento che ci è consentito». Lunedì scorso Israele ha riaperto, dopo una settimana, il valico commerciale di Karni, permettendo il passaggio di decine di autocarri carichi di merci che hanno alleviato i disagi della gente di Gaza. Il carburante invece entra con il contagocce. «Sono qui da oltre un'ora e il mio turno è ancora lontano...ma alla fine riuscirò a fare il pieno», dice Riad Yizji, in fila davanti ad una stazione di rifornimento. Halul, invece, spera di poter comprare anche una tanica di nafta per il suo generatore di elettricità. «Domenica c'è Italia-Francia e non voglio perderla per niente al mondo», sorride. In lontananza riecheggiano spari a intermittenza. La guerra non fa pause, neanche per i Mondiali.
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