Scontri a Gaza tra esercito israeliano e Hamas la cronaca di Aldo Baquis e l'intervista a Ehud Barak di Fiamma Nirenstein
Testata: La Stampa Data: 07 luglio 2006 Pagina: 9 Autore: Aldo Baquisn - Fiamma Nirenstein Titolo: «Gaza in fiamme: decine di morti - Barak: non resteremo nella striscia»
Dalla STAMPA del 7 luglio 2006, la cronaca di Aldo Baquis:
A quasi due settimane dal rapimento di un soldato da parte di miliziani legati a Hamas, il confronto fra israeliani e palestinesi è divampato ieri nel Nord della Striscia di Gaza. Per tutta la giornata reparti corazzati israeliani sono stati impegnati in una battaglia con i miliziani dell’Intifada, nell'intento di espellerli dalle zone da dove sparano razzi contro le città israeliane di Sderot e Aashqelon. In serata un bilancio parziale parlava almeno venti palestinesi uccisi: «in prevalenza miliziani» secondo la radio militare di Israele, ma non mancano purtroppo, tra le vittime, civili, adulti e adolescenti. Anche un soldato israeliano è rimasto ucciso. A meno di un anno dal ritiro da Gaza voluto da Sharon, il governo israeliano assicura di non avere intenzione di restare in forma permanente nella Striscia. Nel tentativo di definire nuovi rapporti di forza con Hamas, Israele ha ieri arrestato anche il vicepresidente del Parlamento palestinese Hassan Kreishe e ha prolungato gli arresti di 8 ministri e decine di deputati arrestati la settimana scorsa. Il Consiglio per i diritti umani dell’Onu ha condannato le operazioni israeliane nella Striscia e ha reclamato la liberazione degli alti responsabili palestinesi arrestati. Nel voto il rappresentante dell’Ue si è astenuto. Dall’Italia il commento del ministro degli Esteri Massimo D’Alema: «L'uso della forza in questo modo è sproporzionato». A Gaza un dirigente politico di Hamas, Hussein Abu Ajwa, è stato crivellato di colpi da palestinesi che gli hanno teso un agguato. Secondo Hamas, gli assassini agivano «per conto di Israele». Malgrado questi eventi, i lanci di razzi contro Israele sono proseguiti per l’intera giornata. Hamas ha lanciato almeno due razzi nella direzione di Ashqelon nella dichiarata intenzione di colpire la sua centrale elettrica «in ritorsione - è stato spiegato - alla distruzione della centrale principale di Gaza». Il ministro della Difesa Amir Peretz ha dichiarato ieri che se il soldato in ostaggio dei miliziani legati a Hamas fosse liberato l’attuale operazione nel Nord della Striscia cesserebbe immediatamente. Ma il padre dell'ostaggio, Noam Shalit, ha ieri manifestato viva apprensione per la sorte del figlio e ha consigliato ai dirigenti israeliani di prendere in considerazione la possibilità di liberare detenuti palestinesi: un’ipotesi finora respinta da Ehud Olmert. La Brigata Golani ha avuto ordine di entrare nel territorio di Gaza alle prime luci dell'alba, dopo giorni di attesa in cui i miliziani palestinesi avevano avuto tutto il tempo di disseminare di mine e di altri ordigni gli ingressi delle due città principali di quella zona, Beit Lahya e Beit Hanun. I soldati hanno puntato verso il villaggio di al-Atatra, a cinque chilometri dal confine israeliano, da dove è possibile lanciare razzi Qassam potenziati che colpiscano Ashqelon. La battaglia è infuriata per ore nel cosiddetto Quartiere degli ufficiali. Cecchini palestinesi hanno ferito due soldati e ne hanno ucciso un altro. Quando gli elicotteri israeliani hanno cercato di recuperare i feriti, il fuoco di sbarramento palestinese li ha bloccati per quasi due ore. Incertezza sulla sorte del popolare capo della Brigate dei Martiri di Al Aqsa (Al Fatah) a Jenin, Zacharia Zubeidi. Secondo alcune fonti Zubeidi sarebbe stato ucciso in un raid israeliano. Durante l’operazione sarebbe stato ucciso anche un palestinese di 16 anni. Il ministro dell'Interno palestinese, esponente di Hamas, Said Siam, ha ordinato in serata alle forze di sicurezza dell'Anp di respingere l'attacco israeliano nella striscia di Gaza. Il portavoce del ministero, Abu Hilal, ha detto che è stato dato l'ordine di aprire il fuoco sui soldati israeliani dentro la Striscia. È la prima volta che un membro dell'esecutivo palestinese ordina di aprire il fuoco sulle truppe israeliane. «Questa è stata solo la prima battaglia di una guerra contro il terrorismo che sappiamo sarà lunga e difficile» ha detto il generale Yoav Galant, comandante della regione meridionale di Israele, al calar delle tenebre, mentre nel Nord della Striscia i combattimenti proseguivano. Un sito palestinese ieri ha scritto che Khaled Mashaal, leader di Hamas a Damasco - considerato mente dell’operazione del rapimento dei militare israeliano -, sarebbe stato espulso in Algeria. Ma la notizia non è stata confermata.
Di seguito l'intervista all'ex premier Ehud Barak:
Ehud Barak è stato il primo ministro di Israele che più di ogni altro, tentando a Camp David concessioni territoriali che neppure Rabin aveva mai concepito,e uscendo dal Libano nel maggio 2000, ha cercato la pace. 63 anni, ex membro dell’unità speciale Saieret Matkal, ex capo di Stato Maggiore, più volte ministro, oggi dal partito laburista guarda i carri armati rientrare a Gaza con trepidazione, ma anche con l’occhio professionale di un leader che sente che la storia potrebbe chiamare di nuovo, come uomo di guerra e di pace. Israele se n’era andata da Gaza solo 10 mesi fa. Non le sembra un terribile fallimento rientrare, con morti e feriti? Oppure avevate compiuto un errore? «Né errore né fallimento. Era del tutto giusto uscire da Gaza, è stato un grande risultato di Sharon riuscire ad evacuare un’area così controversa e pericolosa nonostante la potente opposizione interna; le ragioni per cui lo fece erano tutte giuste, e dobbiamo continuare a tentare di separarci dai palestinesi perché il nostro popolo non ha nessun interesse a dominarne un altro, ma...». Ma la zona di Dugit Nissanit torna nelle mani di Israele. «Non è vero. E’ oggetto di un’operazione limitata nel tempo e nei mezzi, che serve solo a bloccare il lancio dei missili e a cercare il soldato Gilad Shalit». Quanto durerà? «Spero il meno possibile, e spero che non si perda di vista l’obiettivo, che impone ritegno, attenzione a non colpire la popolazione civile. Ma spero, e credo, che sia chiaro a tutti: bloccare i missili è l’unica cosa possibile, non c’era nessun discorso possibile con Hamas che ci attacca tutti i giorni dentro i nostri confini». Con Abu Mazen è possibile parlare? «Penso di sì, ma sta ai palestinesi decidere se è lui che li rappresenta, o Hamas. Abbiamo fatto tutto il possibile per dare ai palestinesi un’altra opportunità di pace. Più che uscire da Gaza... Cosa farebbe l’Italia se le bombardassero da oltre confine Milano e Torino? Se rapissero un soldato?» I kassam non fanno grande danno. «Sono razzi non teleguidati, ma uccidono, fanno danni, rendono impossibile la vita della gente». A che serve rientrare a Gaza? I kassam verranno spostati, c’è tanto spazio. «Penso che siamo in grado con l’esercito di bloccare gran parte dell’attività. Ma soprattutto si tratta di inchiodare la leadership di Hamas alla sua responsabilità, alla terribile scelta di promuovere il terrorismo, e farne la bandiera dei palestinesi». La gente sarà sempre più legata a Hamas, quanto più l’esercito attacca. «La cosa più giusta e più chiara è indicarne le responsabilità, perché c’è comunque una profonda contraddizione fra gli obiettivi jihadisti di Hamas, oggi eccitata da un contesto internazionale che ne supporta l’estremismo, e i bisogni della popolazione. Il fallimento della loro politica può creare un avvicendamento di leadership che riporti su un terreno più normale, dove si possa riprendere a parlare di pace. E comunque, per noi un loro cambio di leaderhip è essenziale, perchè questa è terrorista, ci bombarda le case da un terreno da noi lasciato alla loro gestione». Tutto è perduto per la pace? «Niente affatto: gli israeliani nella stragrande maggioranza, circa l’80%, sono per la pace, anche a caro prezzo. Questo governo è stato eletto su una piattaforma di sgombero da gran parte dellla Cisgiordania. Certo, vedendo che Gaza è stata usato per avvicinare i lanciamissili alle nostre città, il supporto rischia di cadere». Le minacce di Ahmadinejad aumentano l’insicurezza? «Sono sconcertanti, ma siamo un popolo forte, abbastanza intelligente per resistervi. Difenderci non è difficile: lo si fa coi propri sacrifici. Ma per la pace, bisogna essere in due a ballare il tango». Cosa si può fare? «Il supporto internazionale è essenziale. Confido che tutto il mondo abbia compreso in che situazione ci troviamo. Abbiamo dato prove concrete di volere la pace anche a costo di gravi sacrifici. Adesso possiamo compiere un’altro sgombero, dalla Cisgiordania, ma abbiamo bisogno di incoraggiamento, di fiducia. Ho sempre considerate indispensabili tre cose per Israele: la capacità di difendersi dal terrorismo; la conquista dell’opinione pubblica mondiale che tiene per la libertà; l’unità interna. Se c’è stima e fiducia, siamo più motivati ad agire di concerto col mondo, altrimenti il senso di abbandono porta una parte a dire: “non volete capire, è inutile, perché ci dovremmo sforzare?”». Il governo vuole prendere di mira chiunque sia responsabile di atti terroristici. Riguarda Haniyeh e Meshaal? «Quando c’è un gruppo violento che agisce su larga scala, molto più delle Brigate Rosse, si cerca di processarli, ma se non si arrendono sei costretto al fuoco. Siamo attaccati, spariamo solo ai responsabili degli attacchi. Difficile chiederci di più, quando Hamas mira ai nostri civili». Non è pentito della sua scelta di uscire dal Libano? «Niente affatto, ha un suo significato di pace, e sono fiero di avere trasformato gli Hezbollah in una forza che chiacchiera invece di sparare. Sono quasi sei anni che non tormentano il nord di Israele come prima». Cosa pensa della proposta di Dennis Ross per cui ogni attacco da Gaza deve subire la condanna dell’Onu? «E’ il tipo di idea giusta, che aiuta la pace»
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