Tra i doveri dell'ospitalità, il primo è il rispetto dell'ospite, ed è quanto avvenuto tra il presidente del Consiglio Prodi e i delegati al Congresso nazionale degli ebrei italiani. Ma rispetto non esclude sincerità, e quella dell'altro giorno non è stata una giornata fra le più riuscite per il neo premier. Se contava sulla perdita di memoria della platea gli è andata buca. Nessuno aveva dimenticato la sua presidenza dell'Unione Europea, quando aveva tenuto nascosto il rapporto dell'università di Berlino sulla rinascita dell'antisemitismo in Europa, che venne alla luce solo grazie alla scoperta fortuita da parte di un eurodeputato socialista. E nessuno aveva dimenticato il sondaggio fatto a livello europeo nel quale si chiedeva qual era il Paese che " metteva più a rischio la pace mondiale", domanda posta in termini tali che la risposta " Israele" era quasi automatica. Così come dalla poltrona di commissario emise una netta condanna verso Israele per la costruzione della barriera di sicurezza. Se era convinto che il richiamo alla stella di Davide e alla comune radice ebraico- cristiana del nostro Paese sarebbero stati sufficienti a commuovere i presenti, si è sbagliato. I tempi sono cambiati, e gli ebrei, magari pure de sinistra , hanno smesso da tempo di rilasciare cambiali in bianco. Il richiamo ideologico alla resistenza antifascista non serve più a coprire i tradimenti di oggi. Chi non sta dalla parte della difesa della democrazia israeliana contro il terrorismo palestinese che si propone di distruggerla, di alleati ne troverà ancora. Ma il consenso è finito, come ha dimostrato il voto di aprile degli israeliani di origine italiana, che è andato per più del 60% alla Casa delle libertà. Non era mai successo prima. Ci sono poi i silenzi, che possono avere un peso maggiore delle affermazioni. Non aver fatto alcun cenno alla sorte di Ghilad Shavit, il giovane soldato nelle mani di Hamas, non aver fatto alcun riferimento alle minacce di Ahmadinejad ( da poco ricevuto alla Farnesina con tutti gli onori), che vuole distruggere lo Stato ebraico appena in possesso dell'arma nucleare, questi silenzi hanno pesato come macigni sul giudizio complessivo del suo intervento. Ambiguità assoluta anche sull'equivicinanza dalemiana: chi voleva capirne di più è rimasto deluso. Il linguaggio politico- diplomatico del nostro ministro degli Esteri, pur essendo enigmatico come il lessico inventato da Aldo Moro, è molto chiaro quando indica da che parte pendere. E quella parte non è Israele. Qualcuno perde anche la pazienza, come Amos Guetta, delegato della lista " per i giovani insieme", che rimprovera ad alta voce Prodi di essersi dimenticato di Israele in un congresso di ebrei. Povero Prodi, si era illuso che bastasse avere un portavoce che facesse di cognome Levi per navigare in acque tranquille, che fosse sufficiente avere nell'Unione dei deputati dal cognome altrettanto indicativo per superare gli esami senza studiare. Errore, caro presidente: i nodi alla fine vengono al pettine. Succede persino in una assemblea ben disposta, che ha addirittura invitato il segretario di Rifondazione comunista, il cui quotidiano è specializzato nella pubblicazione di vignette antisemite. Come vede, un'assemblea aperta, criticabile semmai per non aver invitato Marco Pannella, l'amico vero dei tempi difficili, quando c'era ancora l'Urss e in Italia gli ebrei non andavano di moda e il Pci era quello dell'obbedienza cieca e assoluta. Certo, oggi tutto è cambiato, ma proprio per questo il suo è stato un errore ancor più deprecabile. Si direbbe che non ha capito dove si trovava.