Le guerre non sono unilaterali una semplice verità smaschera l'ipocrisia di chi chiede
Testata: Il Foglio Data: 05 luglio 2006 Pagina: 3 Autore: la redazione Titolo: «Euroequivicinanza - Israele e il diritto di reazione»
Da pagina 3 del FOGLIO del 5 luglio 2006 l'editoriale "Israele e il diritto di reazione":
Magdi Allam critica il fatto che, sulla crisi tra Israele e palestinesi, “i nostri media hanno addossato la responsabilità della nuova ‘spirale dell’odio’ alla ‘invasione’ e ‘occupazione’ nonché al ‘massacro’ imputato a Israele, nel momento in cui ha adottato le misure necessarie per salvare la vita del suo soldato”. Si potrebbe aggiungere che la gran parte delle autorità sovranazionali, dall’Onu all’Unione europea, non fanno altro che lanciare appelli a Israele perché agisca con la “massima moderazione”, ma nessuno ha assunto una qualche iniziativa perché i terroristi protetti dal governo di Hamas liberino il sequestrato e mettano fine agli attacchi missilistici contro il territorio israeliano. Sembra che ad Hamas, il cui leader supremo, Khaled Meshaal, sotto la protezione del governo siriano, ha approntato il piano degli ultimi attacchi a Israele, debba essere permesso tutto, mentre Israele dovrebbe combattere il terrorismo con le mani legate dietro la schiena. Eppure si dovrebbe capire che la volontà di non subire in Israele è generalizzata. Il fatto che sia stato il leader laburista Amir Peretz, dal ministero della Difesa, ad avvertire il presidente siriano della responsabilità che si assume proteggendo il capo di Hamas, dovrebbe essere abbastanza eloquente. Se in una società democratica, come quella israeliana, si crea l’unanimità sull’esigenza di reagire ai ricatti, vuol dire che la solita tesi dell’aggressività sionista è destituita di ogni fondamento. Hamas, in difficoltà sul piano interno, ha scelto di aggredire Israele, prima con i razzi e poi con i sequestri e gli omicidi di coloni, per assumere la guida di un nuovo assalto allo stato ebraico. Ha disdetto la “tregua” che aveva proclamato senza mai rispettarla effettivamente e questo significa che si considera in guerra con Israele. Orbene le guerre non sono mai unilaterali, a meno che non si pensi che gli israeliani, forse perché sono ebrei debbono lasciarsi uccidere o rapire senza aver diritto a reagire. Ma il Terzo Reich è caduto da tempo.
In prima pagina, un'intervista al corrispondente di The New Repubblic a Gerusalemme Yossi Klein Halevi:
Bruxelles. Ieri mattina, Israele ha lasciato scadere l’ultimatum posto dai miliziani palestinesi che hanno rapito il soldato Ghilad Shalit. Immediatamente, il braccio armato di Hamas, le Brigate Ezzedine al Qassam, ha abbandonato il tavolo delle trattative aperte dai mediatori egiziani. Ma, secondo il quotidiano arabo stampato a Londra al Hayat, i negoziati sono ancora in corso e i palestinesi sono pronti a consegnare il caporale Shalit all’Egitto o alla Francia in cambio di garanzie israeliane sulla liberazione di prigionieri palestinesi e il ritiro delle truppe da Gaza. Il primo ministro del governo Hamas, Ismail Haniye, ha lanciato un appello a negoziati più serrati e chiesto ai sequestratori di non uccidere Shalit. Olmert ha dato ordine di procedere con le operazioni “contro i terroristi, chi li protegge e chi li guida”, lasciando intendere che la Siria – dove si trova il leader di Hamas, Khaled Meshaal – potrebbe essere presa di mira. Le diplomazie europee temono che il conflitto si estenda alla regione. L’aggravarsi della crisi segna un ritorno alle tradizionali posizioni dell’Europa. Nelle prime reazioni ufficiali, i responsabili dell’Unione avevano abbozzato un’attitudine equilibrata, chiedendo agli israeliani “moderazione” e a Hamas di liberare senza condizioni Shalit. “Non possiamo far altro che ripetere che tutte le parti devono esaminare molto attentamente le loro responsabilità”, aveva dichiarato sabato scorso la commissaria alle Relazioni esterne, Benita Ferrero-Waldner. Dall’equilibrio si è rapidamente passati all’equivicinanza. Lunedì, il presidente della commissione, José Manuel Barroso, si è detto “molto preoccupato” per la situazione; la nuova presidenza finlandese ha espresso, a nome dei Venticinque, “la sua specifica preoccupazione per la detenzione dei membri eletti del Parlamento e del governo palestinese”. L’Ue vuole credere che questo sia “un conflitto razionale, in cui basta mettere i moderati attorno al tavolo per trovare la soluzione”, spiega al Foglio Yossi Klein Halevi, corrispondente di New Republic a Gerusalemme. Ma basta leggere l’accordo tra Abu Mazen e Hamas (sul documento dei prigionieri palestinesi, ndr) – spiega – per scoprire che il “sogno della grande Palestina non è finito”.
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