Un articolo da stampare e tenere sottomano. E soprattutto da far leggere agli amici della "sinistra per Israele", sempre pronti a cercare le equivicinanze anche quando l'orizzonte è buio e denso di pericoli. E' uscito sul FOGLIO di oggi, 1 luglio 2006, a pag.4.
Eccolo:
Da qualche tempo, un vasto stuolo di commentatori suggerisce di guardare con ammirato stupore allo straordinario passo avanti che sarebbe rappresentato dal “riconoscimento implicito” dello Stato di Israele contenuto nella famosa Lettera dei Prigionieri.
Si potrebbe preliminarmente osservare che è comico, se non fosse tragico, che si debba gioire e considerare un passo avanti e un evento straordinario il fatto che un governo che fa del terrorismo il suo programma riconosca “implicitamente” uno stato membro dell’ONU da più di mezzo secolo. Ma lasciamo perdere e guardiamo al contenuto della tanto decantata Lettera.
Il centro di questo documento è la richiesta di creare uno stato palestinese in tutti i territori occupati da Israele nel 1967. Una siffatta richiesta conterrebbe un riconoscimento “implicito” di Israele se dichiarasse in modo inequivoco che questi territori e questi soltanto sono quelli entro cui verrebbe creato lo stato palestinese: se ne dedurrebbe allora che nel resto, su cui nessuno avanza pretese, sussisterebbe Israele.
Purtroppo, le cose non stanno affatto così, perché il documento recita esattamente: “Il popolo palestinese desidera la liberazione delle sue terre e la realizzazione del suo diritto alla libertà, al ritorno, all’indipendenza e all’autodeterminazione, incluso il diritto a stabilire uno stato indipendente con la santa Gerusalemme come sua capitale su tutti i territori occupati nel 1967”.
Chiunque conservi un minimo di buona fede non potrà non notare che il diritto a stabilire uno stato sui territori occupati nel 1967 è soltanto una parte della richiesta più generale del popolo palestinese che siano liberate le “sue” terre – senza precisare quali queste siano – e che sia realizzato il famoso diritto al ritorno dei profughi. Del resto, i rappresentanti rispettivi di Hamas e della Jihad Islamica, Abdel Khaleq Natsche e Bassam al-Sa'adi, hanno firmato la Lettera precisando che ogni tentativo di attaccare contenuti inesistenti al documento era infondato che che “esso non contiene alcuna dichiarazione o suggerimento di riconoscimento dello stato occupante”. Numerose altre dichiarazioni di esponenti di Hamas hanno sottolineato che la Lettera non contiene in alcun modo un riconoscimento, neppure implicito, di Israele.
Appare quindi evidente che il documento non rappresenta altro che una riformulazione appena attenuata del piano di Hamas, che consiste nel garantire una “hudna” (tregua) anche lunga parecchi anni in cambio del ritiro israeliano da tutti i territori occupati nel 1967, della fondazione di uno stato palestinese su questi territori e del ritorno di 5 milioni di profughi e loro discendenti in tutta la Palestina, inclusa ovviamente la parte occupata dall’entità sionista. Poi, dopo la “hudna” si ricomincerà la “trattativa”, ovviamente in condizioni tali che, se Israele non è già sparito, sarà agevolmente buttato a mare.
Quel che è assolutamente scandaloso non è tanto che esista un apparato informativo capillare ed efficiente che riesce a contrabbandare una simile truffa come un grande progresso e una straordinaria apertura, ma che vi sia chi, pur essendo dotato di raziocinio, mostri di credervi. L’unica spiegazione è che si voglia credervi a qualsiasi costo e che ci si appigli a qualsiasi battito di ciglia di Hamas per esultare e gridare alla necessità assoluta di riaprire un discorso con il governo “democraticamente eletto” in Palestina – come se in una democrazia degna di questo nome abbiano diritto a presentarsi alle elezioni movimenti che pongono al centro del loro programma la lotta contro la democrazia mediante il ricorso al terrorismo. Come spiegare altrimenti interventi come quello del direttore del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente, Janiki Cingoli, che in un’articolo su Europa, ha parlato di “accordo di grande rilevanza” perché escluderebbe Israele dai territori rivendicati – il che, come abbiamo visto, è falso – e perché rinunzierebbe alla lotta armata entro lo stato ebraico – il che è pure smentito dai più di mille missili Kassam lanciati entro i confini del 1967, nonché dagli assalti e i rapimenti compiuti entro i medesimi confini. L’unico punto su cui Cingoli ha ragione è che questa Lettera serve a raggiungere un terreno di accordo tra le fazioni palestinesi. Ed è proprio così, a patto di chiarire che i termini di accordo sono sostanzialmente quelli voluti da Hamas, e che questa vicenda mostra l’impotenza se non l’inattendibilità di Abu Mazen.
Vogliono credere a queste fole i numerosi “equivicini” che dominano la politica estera europea e, in particolare, quella italiana. La stampa ci informa che il nostro ministro degli esteri è riuscito a imporre al G8 una frase critica di Israele, contro le obiezioni del segretario di stato americano. Di certo, il nostro ministro potrà dire che la sua posizione non è tanto strana, visto che è condivisa dalla grande maggioranza delle potenze europee. Ma questo non cambia molto le cose. Perché questa politica europea non è di “equivicinanza” bensì di vicinanza con la leadership palestinese. Come giudicare altrimenti una prassi di dichiarazioni “bilanciate” in cui si omette sistematicamente ogni riferimento (per non dire ogni condanna) alla esplicita volontà di distruzione dello stato di Israele da parte della leadership palestinese e al fatto che tale volontà è sostenuta da una potenza regionale come l’Iran? Si tratta quindi di un falso equilibrio che esprime invece una posizione smaccatamente schierata da una parte. Al di là di ogni considerazione etica, questa posizione è politicamente inefficace e insulsa. Difatti – come ha molto bene osservato Piero Ostellino sul Corriere della Sera, Israele, lasciato solo, si difende come può, con i soli mezzi che possiede: barriera difensiva, ritiro da Gaza, risposta militare, peraltro di estrema moderazione: quale stato degno di questo nome sopporterebbe che le sue città (entro i confini antecedenti al 1967) siano sottoposte a continui lanci di missili e la vita quotidiana dei suoi abitanti sia resa un inferno?
Come al solito, non ci si avvede che il disordine e la guerra vengono fomentati dalle posizioni “pacifiste” ed “equivicine” che credono di “calmare” l’estremismo mostrandogli un volto comprensivo e invece incoraggiano le sue peggiori ambizioni.
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