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La Stampa Rassegna Stampa
01.07.2006 Aggiornamento della situazione. l'analisi di Fiamma Nirenstein e l'appello di Ehud Gol
sul quotidiano che ancora confonde Tel Aviv con Gerusalemme

Testata: La Stampa
Data: 01 luglio 2006
Pagina: 9
Autore: Fiamma Nirenstein-Ehud Gol
Titolo: «Scambio di missili Israele Gaza- Salvate il soldato Ghilad»

Dalla STAMPA di oggi, 1 luglio 2006, a pag.9, riportiamo l'aggiornamento della situazione mediorientale con l'analisi di Fiamma Nirenstein e l'appello di Ehud Gol, ambasciatore d'Israele a Roma.

Nella sezione esteri, dove i due articoli vengono pubblicati, leggiamo sopra il titolo: " Tel Aviv vuole la restituzione del militare rapito". Come è possibile che un giornale come LA STAMPA non sappia che il governo israeliano ha sede nella capitale, cioè a Gerusalemme ? Poiche non possiamo credere che sia l'ignoranza a far commettere certi errori, non resta che l'ipotesi della scelta politica. A quando la scelta successiva ? Perchè continuare a scrivere Israele e non " entità sionista" ? Su questa scelta della STAMPA, invitiamo i nostro lettori a scrivere al giornale torinese.

Ecco l'articolo di Fiamma Nirenstein:

GERUSALEMME
Da Gaza assediata che ha visto fioccare in campo aperto parecchi proiettili di cannone, senza tuttavia nè morti nè feriti, ieri, con l’intenzione di fare danni e comunque di annunciare il possesso di una nuova arma, un nuovo, più perfezionato tipo di missile palestinese è planato lontano quanto nessun altro kassam fino ad ora, nella periferia della popolata città industriale di Ashkelon. L’esercito tiene i motori accesi sul confine nord mentre i proiettili di cannone spazzano il campo aperto, attenti a non colpire la gente, ma indifferenti alle strutture e consapevoli della paralisi, della fuga e della paura della popolazione. Il primo ministro palestinese Ismail Haniyeh ha fatto la sua prima dichiarazione pubblica dalla moschea della preghiera del venerdì a Gaza dicendo che il suo governo è saldo in sella e non ha nessuna intenzione di dimettersi, che non ci sarà nessuna trattativa di scambio fra il soldato e i ministri di Hamas, nel caso Israele lo intendesse, e che Israele da tempo programmava la distruzione del suo governo e che l’attuale vicenda è pretestuosa.
Quello che sta succedendo in queste ore è come un appuntamento fatale, rimandato da gennaio scorso quando Hamas ha vinto le elezioni, e oggi venuto alla sua nemesi. Il vortice adesso si è sollevato e non si ferma, anche se l’esercito israeliano è stato bloccato da Olmert all’ultimo minuto sulla soglia della parte nord di Gaza, in attesa che gli egiziani (tramite il solito potente capo dei servizi Omar Suleiman) mostrino i frutti di un buon lavoro di mediazione per ottenere ciò che conviene anche a loro: indurre alla restituzione del soldato Gilad Shalit bloccando così un’imprevedibile escalation del conflitto con un pericoloso sfondo anche islamista. Israele con le mosse compiute fino ad ora, l’ingresso da Kerem Shalom, l’ammassarsi delle truppe sul confine nord per arrivare, se entrerà, direttamente su quelli che sembrano essere i principali nidi di Kassam, l’arresto dei ministri di Hamas, ha segnalato una quantità di punti programmatici: in primo luogo, vuole indietro Gilad, già ferita e furiosa per l’uccisione a sangue freddo del colono diciottenne Eliahu Asheri la cui cerimonia di sepoltura è stata una grande adunata di disperazione intorno alla madre impietrita.
In secondo luogo, vuole minare alle fondamenta le possibilità di usare Gaza come una rampa di lancio fissa, istituzionalizzata con autorizzazione governativa, per attacchi terroristi, con missili kassam o attacchi dentro la Linea Verde. In terzo luogo, con l’arresto degli uomini di Hamas, vuole indicare il rifiuto a considerare legittimo il potere di un’organizzazione listata come terrorista; vuole indicare che Hamas ha rifiutato la scelta fra potere istituzionale e terrore respingendo le tre condizioni della comunità internazionale e intraprendendo invece tutta una serie di scelte che indicano l’intenzione di restare ferma sul proprio scopo strategico, il rifiuto di riconoscere Israele e la guerra santa.
Per ora, salvo per l’azione di ieri in cui è stato preso di mira un gruppetto diretto a lanciare un missile e un palestinese è rimasto ucciso, Israele agisce con lentezza e lasciandosi la porta aperta alle spalle, sperando ancora che le cose si possano sistemare con la restituzione del soldato: se Haniyeh lo facesse, questo probabilmente cambierebbe tutta la scena. Ma il primo ministro palestinese vive un grande dilemma. Vorrebbe che la situazione si calmasse per salvare il suo governo e anche la sua stessa persona che potrebbe esser presa di mira. Ma non vuole certo passare alla storia come il politicante che ha venduto al potere l’ispirazione religiosa che vede Israele come un indegno occupante della terra sacra all’Islam. Khaled Meshaal inoltre lo sfida da Damasco, come polo della lotta dura senza compromessi, sostenuto e finanziato dall’Iran e dalla Siria, e Haniyeh non se la sente di rompere con un personaggio così rilevante.
Inoltre anche lui, il leader povero e religioso dei credenti palestinesi, non vuole abbandonare la strada integralista. I due non hanno un buon rapporto da quando nel ‘95, in occasione delle prime elezioni dell’autonomia palestinese, Meshaal dichiarò che Hamas era contro; Haniyeh partecipò comunque e fu espulso dall’organizzazione, finchè lo sceicco Yassin richiamò indietro la pecorella smarrita perché divenisse il direttore del suo ufficio. Gli amici di Haniyeh pensano che Meshaal, specie da quando il movimento islamista è forte, ritenga che l’istituzionalizzazione di Hamas in una dimensione tutta palestinese sia un errore, perchè può portare Hamas a un ruolo marginale nella battaglia dell’Islam contro l’Occidente e alla riduzione del suo prestigio. Meshaal spinge avanti le sue posizioni forte di decine di milioni di dollari iraniani: secondo gli analisti israeliani Avi Issacarov e Zvi Barel li manda a Gaza in valige piene di contanti.

E l'articolo di Ehud Gol:

ESATTAMENTE dieci mesi fa, a metà agosto 2005, Israele ha sgomberato la Striscia di Gaza, ponendo termine alla sua presenza lì da 38 anni. Nel corso di soli sei giorni l’esercito israeliano si è ritirato da Gaza, dopo aver assicurato lo smantellamento di tutti e 25 gli insediamenti e il trasferimento in Israele di ben 8.500 tra uomini e donne.
Questo atto coraggioso del governo ottenne il plauso della comunità internazionale più avveduta, in quanto primo vero passo verso il conseguimento della pace tra noi e i nostri vicini, che avrebbe dovuto portare gradualmente alla costituzione di uno stato palestinese indipendente, al fianco d’Israele, e non al suo posto, come invece aspirano in molti dalla parte araba.
Con nostro rammarico la risposta palestinese a questo passo coraggioso è stata molto negativa. Non era passato nemmeno un giorno dal completo ritiro israeliano quando i terroristi palestinesi iniziarono il lancio di razzi Qassam verso centri abitati israeliani, in particolare verso la città di Sderòt, mettendo in pericolo la tranquillità e la vita quotidiana dei suoi abitanti, bambini, adulti e anziani. Ma, peggio ancora, pochi mesi dopo, in assoluta contrapposizione agli avvertimenti lanciati da Israele, è stato consentito a Hamas di partecipare alle elezioni, mediante un cinico sfruttamento del processo democratico, permettendo così la salita di un governo terrorista al potere presso l’Autorità palestinese. Da allora si è aperta la strada a un’attività terroristica estesa e intensiva, il cui unico scopo è l’uccisione di cittadini israeliani in quanto tali.
Negli ultimi mesi sono caduti su Sderòt e nei suoi dintorni migliaia di razzi. Dubito che esista al mondo uno Stato che abbandonerebbe i propri cittadini a una tale aggressione terroristica senza difendere la loro vita.
Ha fatto bene la comunità internazionale a porre immediatamente a Hamas tre precondizioni per qualsiasi contatto con essa (il riconoscimento del diritto di Israele a esistere, lo smantellamento delle strutture terroristiche e l’accettazione di tutti gli accordi firmati in precedenza con l’Olp). Ma, anche di fronte a tali condizioni, non è cessato l’intrecciarsi di terrorismo e provocazioni contro Israele e, anzi, Hamas ha deciso di lanciare una sfida non soltanto a noi, ma anche a tutti i componenti del Quartetto \.
Domenica scorsa è stata attaccata una postazione dell’esercito in pieno territorio israeliano, due militari sono stati uccisi e un terzo è stato rapito dai terroristi di Hamas. Israele ha fatto tutto il possibile per esperire tutti i canali diplomatici a sua disposizione, dando anche al presidente dell’Anp l’opportunità di agire per la restituzione del soldato rapito. Abbiamo ribadito che, anche se diamo la priorità agli sforzi diplomatici, non ci rassegneremo comunque alla detenzione di un cittadino israeliano ostaggio nelle mani di Hamas e faremo tutto il possibile per la sicurezza dei nostri cittadini. Quando noi israeliani mandiamo i nostri figli e le nostre figlie a svolgere il servizio militare in difesa della patria, questi sanno sempre che un’intera nazione si schiera dietro di loro e che mai li abbandoneremo né scenderemo a compromessi sulla loro sicurezza. In ciò ha sempre risieduto la nostra forza morale, che continuerà a essere come una lampada per i nostri passi per sempre.
Siamo usciti dalla Striscia di Gaza con un potente messaggio di pace e per non ritornarci, ma non accetteremo che sia fatto del male ai nostri uomini, e continueremo ad agire nel nostro pieno diritto all’autodifesa.
Contemporaneamente al rapimento del soldato è avvenuto anche quello di un ragazzino israeliano, che è stato assassinato dai terroristi subito dopo il rapimento. I responsabili saranno trovati e puniti con la massima severità.
In questo momento l'esercito israeliano opera a Gaza, nell’ambito degli sforzi diretti alla localizzazione del soldato Gilad Shalit e alla sua liberazione. L’operazione è condotta con il massimo sforzo per evitare di colpire persone innocenti. Non siamo interessati a punire la popolazione palestinese, e, pertanto, quanto prima sarà liberato il soldato rapito, tanto meglio sarà per tutti.
Da parte nostra alla comunità internazionale è richiesto che essa continui a esercitare la propria pressione per la liberazione del soldato e per la cessazione del terrorismo di Hamas che colpisce noi, ma soprattutto gli stessi palestinesi. Soltanto così si potrà ritornare a procedere verso una vera pace nella nostra regione.
*Ambasciatore d'Israele a Roma

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